2025-05-23
Tommy Graziani: «Quando babbo Ivan usciva di casa correvo a suonare la sua batteria»
Tommy Graziani. Nel riquadro, da bambino assieme al padre Ivan
Il musicista: «Fin da bambino ho seguito da vicino i concerti. Con mio fratello ho realizzato un album di inediti di papà».È difficile conoscere nei dettagli dove il cantautore Ivan Graziani attingesse per scrivere le sue storie, che musicava e interpretava con quell’inconfondibile intonazione vocale che fece da sinfonia a tanti amori, a tante amicizie. Sapeva essere romantico e faceva riflettere su incontri apparentemente perduti nel tempo, chiedersi il perché, oltre i luoghi comuni, di condizioni e destini di persone qualsiasi, quelle che possiamo incontrare ogni giorno. Alla moglie, Anna Bischi, dedicò un brano stupendo, E sei così bella. Nato a Teramo il 6 ottobre 1945, se ne andò per una malattia oncologica a 51 anni, nel giorno di Capodanno del 1997. Lasciò un vuoto che si trasformò in mito e anche i giovani di oggi ne sono attratti. Tommy Graziani, all’anagrafe Tomaso, classe 1973, ottimo batterista, è il figlio dell’artista, che compirebbe 80 anni, e abita nella casa di Novafeltria, nel Riminese, dove l’artista ha vissuto con la famiglia. Anche tu hai fatto della musica una professione. L’arte di tuo padre ti affascinava? «A casa, papà aveva fatto quello che si chiama l’home studio, dove lui ci ha registrato gli ultimi dischi, da Ivangarage in poi, ma anche Malelingue. Quando lui non era in studio entravo e suonavo la batteria. Ho imparato senza essere spinto da papà. Era proprio perché avevo voglia di farlo. Lo strumento era disponibile e, fra tutti quelli che c’erano, ho scelto la batteria. Sembra strano, ma a un certo momento ho quasi chiesto un provino a papà. Avevo circa 19-20 anni. Mi sentivo già pronto, anche se non lo ero. Papà sapeva che stavo suonando. Abbiamo iniziato a fare le prime registrazioni qui in studio lavorando su delle idee che aveva lui. È uno dei ricordi più belli che ho del rapporto con papà, stavo lavorando con lui ed era il lavoro che sognavo di fare Non canto, non scrivo e non so disegnare, cose che mio fratello (Filippo, classe 1981, ndr.) e mio papà hanno fatto benissimo». Ivan era un grande chitarrista…«Il fratello di mia mamma, Gigi, più piccolo di papà di 10 anni, suona ancora la batteria. Forse per questo ho scelto la batteria e non la chitarra». Quest’anno compirebbe 80 anni. Quali iniziative avete preparato? «Abbiamo appena finito la prima parte di un piccolo tour teatrale dedicato agli 80 anni di papà, Milano, Firenze, Bologna, Ancona, Rimini e altre città… Ci sarà uno spettacolo e per l’occasione lo scultore Marco Lodola, autore della statua colorata di papà che suona la chitarra sul corso principale di Teramo, ha realizzato una torta di compleanno che portiamo in giro… A luglio, qui a Novafeltria, ci sarà un evento che comunque è alla terza edizione. Dopo l’estate di saranno altre 6-7 date del tour teatrale». Nel 1996 hai partecipato a una tournée con tuo padre. Come ricordi quei concerti? «Prima che nascesse mio fratello, era anche più facile per i miei genitori portarmi ai concerti di papà. Quindi ho tanti ricordi da bambino, del palco, del retropalco, della festa di piazza. Il mio sogno era stare su quel palco, al posto di Pasqualino Venditto, uno dei batteristi storici di papà. Lo guardavo pensando «cazzo, vorrei farlo anch’io». Pensavo di fare come mio padre, da autodidatta, suonare mettendo una cassetta e registrando… Poi, alla fine, iniziai a lavoricchiare con lui. E lui, probabilmente consapevole anche del fatto che era un anno delicato - era già stato male uno-due anni prima - non so, forse ha voluto anche cogliere l’occasione di condividere una cosa con me e quindi mi coinvolse nei suoi concerti». Una bella soddisfazione… «Papà si è voluto accertare che fossi capace per il lavoro che ci dà da vivere e che andava preso con la massima serietà. Abbiamo fatto due settimane io e lui, chitarra e batteria, dove mi spiegava i pezzi, come dovevo suonarli, un altro ricordo meraviglioso. Poi la tournée, ed ero come tutti gli altri musicisti, senza alcuna agevolazione. Papà è mancato il 1° gennaio 1997 e noi abbiamo fatto l’ultima esibizione a fine novembre ’96. Lui non stava benissimo. Ho visto anche la fatica con cui portava avanti ciò che stava facendo, ma mi ha fatto fare questa esperienza e l’ultima serata mi ha presentato come suo figlio, cosa che prima non aveva mai fatto».Ha lavorato fino all’ultimo.«Diciamo che non è mancato sul palco ma quasi. Ha fatto tutto quel che doveva fino alla fine, fin che è riuscito a farlo». Una cosa comprensibile e bella. E, in famiglia, nei momenti informali, com’era? «Normalissimo, divertente, particolare perché faceva un lavoro particolare. Era spesso in tv, ma io e mio fratello abbiamo avuto un’infanzia praticamente normale. Mi ricordo le risate, anche con mio nonno, le cene…». Come si sono conosciuti con tua madre, Anna Bischi?«So che si sono conosciuti a Urbino, a scuola». Si sono sposati in chiesa? «Sì sono sposati in chiesa in un paese qui vicino e ci sono anche le prove perché se apri la copertina del disco La città che io vorrei, c’è la foto del matrimonio». Qual era la posizione di Ivan nei confronti della religione?«Ci sono persone che hanno l’abitudine di frequentare la chiesa tutti insieme. Io ho fatto comunione, cresima, catechismo, ma la chiesa l’abbiamo frequentata poco». La ragazza di cui il paese sparla e che il padre picchia di Maledette malelingue («E che diamine / ci vuole sicuro un po’ di moralità»), del 1994, e le altre sue storie. «Papà, nelle sue canzoni, spesso ha raccontato storie di persone, pensa ad Agnese, a Marta di Lugano addio. Sono come dei racconti abbastanza precisi, anche ricchi di particolari, ad esempio Scappo di casa, bellissima storia con un sacco di particolari. Secondo me c’è sicuramente una fonte di verità, da qualche parte lui avrà avuto l’ispirazione e poi la metteva in musica…».È bello ricordare anche la celebre Signora bionda dei ciliegi (1983). Tuttavia si esprimeva anche disegnando…«Abbiamo in casa molti suoi disegni: al mare vedeva l’uomo in costumino che poteva sembrare anche ridicolo e lo disegnava. Papà disegnava tantissimi personaggi, ad esempio quello intitolato L’impresario, un impresario con valigetta in mano e soprabito. Da dietro gli esce una coda, come un serpente, per dire cosa si nasconde dietro la facciata, questa cosa mio padre ce l’aveva».La canzone Monna Lisa, 1978: «Sì, vorrei rubarla, / vorrei rubare quello che mi apparteneva / Si, vorrei rubarla / e nasconderla in una cassa di patate, / di patate». Significato?«Si riferiva a una vicenda di cronaca accaduta (nel 1911, Vincenzo Pietro Peruggia la trafugò dal Louvre e dopo 2 anni fu arrestato: rispose che la sua voleva essere un’azione patriottica, ndr.) e anche si riferiva al fatto che la Gioconda è nostra, è italiana…». Firenze (canzone triste), uno dei suoi pezzi più famosi. Chi sarà stato quel Barbarossa, studente in filosofia? Innamorati della stessa donna. «C’è un carissimo amico di papà di Firenze che sostiene di conoscere tutta la storia, come c’è un’altra amica nostra di Lugano che conosce tutta la storia di Lugano addio. Io no… Sono sicuro che partisse sempre da una storia vera. Adesso magari le canzoni le scrive l’intelligenza artificiale». «Signore è stata una svista / Abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista» (Il chitarrista, 1983).«Una frase bellissima, Signore abbi un occhio di riguardo per chi ha fatto ’sta cosa, forse il fatto di rivolgersi al Signore è un modo di dire…». C’erano cose che lo facevano arrabbiare e trasformava in canzoni?«Non scriveva particolarmente di politica».Ma si arrabbiava?«Mah, io l’ho visto incazzato una volta che non ho dato un esame all’università… Ma non l’ho mai sentito dire «governo ladro» o alzare il pugno. Poi suonava alla Festa dell’amicizia come alla Festa dell’unità… È questo che facciamo, intratteniamo la gente». E le cose che amava di più?«Mia mamma cucina benissimo, da sempre. Ho tanti ricordi di amici di papà e colleghi che venivano a cena qui a casa vicino a Rimini. Poi ricordo con gioia le vacanze in Sardegna ad Alghero perché la mamma di papà era algherese e invece mio nonno abruzzese, di Teramo e si trasferirono ad Alghero, città bellissima. Ricordo tutti i parenti, lo stabilimento balneare, mio nonno, divertentissimo, poi quando il fratello di mio padre, più grande di lui, arrivava dal Canada - ora molto anziano, era insegnante - poteva succedere di tutto. Alghero era un ricordo bellissimo anche per papà».Ma le canzoni le scriveva a casa o altrove? «Sì, in questo granaio trasformato in studio da papà, dall’altra parte del giardino, le ultime cose le ha scritte qui, ma secondo me molte le scriveva anche in viaggio». Recentemente hai ritrovato alcuni suoi inediti. «Poco prima del Covid ho trovato questi nastrini a casa, che risalgono alla metà-fine anni ’80. Ho trovato un macchinario per convertirli, anche difficile da reperire, ho chiamato un tecnico in pensione che mi ha spiegato come fare, erano dei vhs più piccoli. Li ho registrati in un computer. Sotto pandemia li ho girati e mio fratello Filippo e lui ha cominciato a intervenire, anche perché dentro c’erano tanti momenti in cui papà parlava, c’era anche la voce di mio fratello da piccolo. Filippo ha fatto gli arrangiamenti, io ho suonato la batteria e gli altri ragazzi hanno fatto il resto, tenendo le chitarre originali di papà. Siamo usciti con la Sony con questo disco intitolato Per gli amici, inediti di papà tipo L’italianina, un chitarra voce e violino e poi La rabbia, canzone particolarissima dove papà canta in un registro abbastanza basso. Con le vendite dei vinili siamo arrivati anche alti in classifica». Se potessi rincontrarlo, cosa gli diresti?«Gli chiederei di suonare con me e con Filippo».
Il premier indiano Narendra Modi (Getty Images)