2023-10-27
Toh, europeisti e wokisti scoprono i guasti di Ue e wokismo
Le lodi agli estremisti scuotono gli editorialisti libdem, in lotta tardiva con le «avanguardie settarie» e indignati dall’Ue divisa.È l’ora dei grandi risvegli. Ieri il New York Times ha pubblicato un lungo articolo per spiegare che, in effetti, nonostante tutto ciò che è stato scritto dalle nostre parti sulla sua follia, la sua morte, la sua deposizione e il suo inevitabile crollo Vladimir Putin sta «ottenendo ciò che vuole». Il quotidiano statunitense ha licenziato una amara conclusione: «Sostenendo l’Ucraina negli ultimi 600 giorni, e ora al fianco di Israele nell’ora più buia, i funzionari occidentali hanno cercato di convincere il resto del mondo che l’ordine globale è in pericolo e che i valori democratici sono minacciati. Ma mentre Israele e Hamas precipitano in un vortice di violenza, l’Occidente è lungi dal vincere la battaglia delle narrazioni. La guerra in Ucraina è passata in secondo piano; la diplomazia guidata dagli Stati Uniti in Medio Oriente è allo sbando; e l’Occidente e gli altri si fronteggiano su un abisso di reciproca incomprensione». A quanto pare, il vizio oscuro dell’Occidente liberal-progressista di trasformare ogni battaglia in scontro di civiltà al fine di ribadire la propria superiorità prima di tutto morale sta mostrando la corda. Il conflitto in Ucraina non sta andando come la grancassa mediatica aveva promesso, e anzi sembra essersi esaurito in sordina dopo aver lacerato gli animi per quasi due anni.Fortuna che qualcuno se n’è accorto anche fra i ranghi della stampa illuminata, benché decisamente fuori tempo massimo. Questa però è la regola: prima il sistema politico-mediatico individua una «buona causa» a cui per forza si deve aderire. Poi la impone con notevole intolleranza, riducendo il dibattito pubblico a una serie di luoghi comuni da ripetere, rispetto ai quali non sono ammesse contestazioni né deviazioni. Alla fine, quasi sempre, la «buona causa» si rivela non essere poi così buona (come per altro critici ed eretici vari avevano fatto notare), e il sistema si limita ad abbandonarla. La cancella, ovviamente senza alcuna riflessione sui propri errori e senza alcuna ammissione di colpa. Di solito si verifica, appunto, un improvviso risveglio: un bel giorno ciò che prima non si poteva dire diviene una verità condivisa e autoevidente, da non commentare oltre, in modo che si possa passare alla narrazione successiva senza colpo ferire. Un esempio di questo strabiliante metodo lo fornisce Repubblica. Ieri in prima pagina pubblicava un commento del romanziere Antonio Scurati rabbiosamente critico sulla «avanguardia settaria». Con chi se la prendeva, Scurati? Con gli studenti di prestigiose università americane (tra cui Harvard) che in queste ore hanno manifestato contro Israele. Da un decennio, sostiene lo scrittore, «nelle università statunitensi frange estremiste impediscono ai docenti di letteratura di insegnare». Queste frange «fanno il deserto e lo chiamano cultura», sono composte da «paladini degli oppressi pronti a trasformarsi in oppressori», ricordano «il fanatismo settario delle sedicenti avanguardie della rivoluzione comunista mondiale». Ma pensa: grazie a Scurati quelli di Repubblica hanno scoperto il cosiddetto wokismo e la cultura della cancellazione, e li hanno scoperti proprio adesso che - guarda caso - la linea politica esibita dagli atenei americani è contraria a quella di Repubblica. Forse si indignavano, i cari progressisti, quando le stesse università cacciavano professori presunti omofobi o razzisti? Certo che no. Anzi, Repubblica è stata l’avanguardia del wokismo in Italia, ancora ieri infieriva contro i presunti «complottisti» di Byoblu accusandoli di essere rossobruni e chiedendone più o meno velatamente la messa al bando. Chiaro: i woke vanno bene fino a quando sono funzionali agli interessi del sistema dominante, quando rimangono fedeli alla linea dei progressisti chic. Ma se esagerano appena divengono in un lampo nemici del popolo. Una riflessione analoga a quella di Scurati la porta avanti Paolo Mieli nel suo nuovo libro, Il secolo autoritario (Rizzoli). Anche lui se la prende con il wokismo, pur non riconoscendone fino in fondo il legame con il settarismo progressista degli anni che furono. «Si ha l’impressione che stavolta ci sia qualcosa di più radicale di quel che fu con le manifestazioni studentesche della fine degli anni Sessanta. Il «wokismo» non ha obiettivi politici come fu ai tempi la cessazione delle ostilità in Vietnam. Adesso, soprattutto nel mondo anglosassone, una parte consistente dell’Occidente è rivolto contro se stesso, la propria storia, la propria identità. Produce un moto corrosivo, all’apparenza inarrestabile. Che genera contraccolpi come il trumpismo e intravede rischi di autoritarismo solo nel proprio Dna». Splendido: anche Mieli si accorge del delirio woke, ma finisce ad attaccare Trump. Mieli, in ogni caso, dice una cosa vera. «D’altra parte, le imprese militari dell’Occidente successive al 1989 si sono concluse con un insuccesso», ammette. «Insuccesso che ha provocato come contraccolpo un progressivo senso di insicurezza, un crescente venir meno delle certezze identitarie. Tanto più che qualsiasi forma di incoraggiamento alle battaglie nel mondo a favore della libertà ha dato frutti avvelenati. Talché è doveroso chiederci se come autentico «secolo autoritario» non vada più considerato il Novecento ma piuttosto quello attuale. Il primo del terzo millennio. Il secolo in cui stiamo vivendo». Davvero suggestivo. Gli intellettuali liberal-progressisti notano il declino dell’Occidente, ne colgono le derive autoritarie, ma si guardano bene dall’ammettere di averle favorite e di continuare a sostenerle (stigmatizzano il dissenso persino quando arriva dalla loro parte). Un po’ come faceva ieri Paolo Valentino nell’editoriale del Corriere della Sera. L’illustre firma (anche giustamente) rimarcava l’impotenza e l’irrilevanza dell’Unione europea nell’attuale scenario geopolitico. Le élite continentali sono divise e inconcludenti, nota il Corrierone e di nuovo viene da dire: evviva, benvenuti pure voi, la colazione è servita per chi si è appena destato. Dopo aver presentato l’Ue come paradisiaco approdo di ogni giusta istanza, ecco che adesso i raffinati commentatori ne scoprono l’insignificanza. Lo spettacolo è un po' triste: l’Occidente democratico e moralmente superiore, non appena si guarda allo specchio si scopre flaccido e rancoroso. Ma non ne trae le dovute conseguenze, anzi si dà una pacca sulla spalla e torna all’opera, borioso come prima, mentre intorno fioriscono le rovine.