
Offerta per l’addio alla Borsa da 43 euro ad azione: Diego Della Valle in maggioranza ma sale il fondo partecipato da Lvmh. A Vitol una quota (35%) del gruppo petrolifero dei Moratti.Le scarpe di lusso italiane, quelle targate Tod’s, sono da oggi un po’ più francesi, mentre una bella fetta della raffinazione di petrolio made in Italy, anzi made in Sardegna, ha iniziato il percorso per finire in mani olandesi. Un fine settimana complicato per la finanza tricolore che vale la pena raccontare dall’inizio. Da quello che è successo a partire da sabato notte. Dal nuovo tentativo di Tod’s per uscire dalla Borsa. Questa volta però l’operazione di delisting non ammetterà la parola sconfitta: la famiglia Della Valle e il private equity L Catterton, che ha tra i soci accomandanti Bernard Arnault, e quindi Lvmh, il colosso francese che controlla ad oggi più del 60% del mercato globale della moda e del lusso, hanno infatti deciso che qualora l’obiettivo non fosse raggiunto con l’Opa totalitaria, sarà perseguito mediante la fusione per incorporazione di Tod’s in Crown Bidco, riconducibile allo stesso fondo. Ma a questo giro sia la famiglia degli ex proprietari della Fiorentina che i manager della società americana sono convinti di arrivare a dama già con la loro Opa da 43 euro per azione che prevede un premio del 17,59% rispetto alla chiusura di venerdì a 36,4 euro (+20,58% rispetto alla media degli ultimi 12 mesi) per un valore complessivo dell’operazione di 512 milioni. Va ricordato infatti che il tentativo dell’agosto 2022 si era fermato a 40 euro per azione, per un investimento fino a 338 milioni (con un premio del 20,37%). Un anno e mezzo fa l’operazione conclusasi con un nulla di fatto era stata portata avanti da DeVa Finance, società interamente detenuta da una finanziaria di Diego Della Valle, mentre a questo giro la novità è rappresentata dal forte coinvolgimento di L Catterton e quindi dell’imprenditore transalpino Arnault. Oggi Della Valle detiene il 64% di Tod’s, mentre Lvmh controlla il 10% del gruppo. A operazione conclusa, i fondatori manterranno il 54% mentre la restante parte andrà al fondo americano e a Lvmh. «Le parti», si legge in una nota, «si sono impegnate a sottoscrivere, alla data del delisting, un patto parasociale volto a disciplinare i rispettivi diritti e obblighi in qualità di azionisti» con la garanzie per l’offerente di una rappresentanza nel cda e di alcuni diritti di governance e di exit. Cosa succederà lo sapremo a breve, visto che il documento di offerta sarà presentato entro 20 giorni di calendario (a partire dal 10 febbraio), mentre il periodo di adesione sarà concordato con Borsa Italiana e avrà una durata compresa tra un minimo di 15 e un massimo di 40 giorni di Borsa aperta. «Sono molto soddisfatto di questa operazione che porterà ulteriori benefici allo sviluppo futuro del gruppo Tod’s», ha commentato in una nota il presidente e ad Diego Della Valle, «in questo momento, uscire dalla Borsa, con la quale abbiamo sempre avuto ottimi rapporti, riteniamo sia la scelta strategicamente più idonea». Mentre per Michael Chu, global co-Ceo e co-fondatore del fondo americano «Tod’s è sinonimo di lusso, qualità e artigianalità e incarna lo stile italiano che la famiglia Della Valle ha saputo rappresentare». Inutile nascondersi però che da più parti l’operazione è vista come una sorta di passaggio di mano amichevole e soft verso Lvmh che in qualche modo fa seguito alle parole di Diego Della Valle che nel 2021 rispondendo a una domanda della direttrice del Financial Times, Roula Khalaf non mostrava nessuna fatica a riconoscere la sua stima e il suo legame con Bernard Arnault: «Se un giorno decidessi di vendere sarebbe a Bernard al 100%».Non c’è probabilmente lo stesso legame affettivo, ma procede ancor più veloce l’affare che porterà Saras a diventare olandese. Nella serata di ieri i membri della famiglia Moratti hanno annunciato l’accordo per cedere il 35% di Saras a Vitol per 1,75 euro per azione. «Il completamento dell’operazione», si legge in una nota, «è subordinato all’ottenimento delle autorizzazioni regolamentari. Al completamento dell’operazione, l’intera partecipazione dei Moratti sarà trasferita a Vitol. Operazione che determinerà l’insorgere di un obbligo d’Opa sul capitale azionario di Saras».
Agostino Ghiglia e Sigfrido Ranucci (Imagoeconomica)
Il premier risponde a Schlein e Conte che chiedono l’azzeramento dell’Autorità per la privacy dopo le ingerenze in un servizio di «Report»: «Membri eletti durante il governo giallorosso». Donzelli: «Favorevoli a sciogliere i collegi nominati dalla sinistra».
Il no della Rai alla richiesta del Garante della privacy di fermare il servizio di Report sull’istruttoria portata avanti dall’Autorità nei confronti di Meta, relativa agli smart glass, nel quale la trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci punta il dito su un incontro, risalente a ottobre 2024, tra il componente del collegio del Garante Agostino Ghiglia e il responsabile istituzionale di Meta in Italia prima della decisione del Garante su una multa da 44 milioni di euro, ha scatenato una tempesta politica con le opposizioni che chiedono l’azzeramento dell’intero collegio.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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