L’exploit delle birre di qualità e la riscoperta dei cocktail spingono il settore, già favorito dalla pandemia. Un mercato complessivo da 1.500 miliardi di dollari che resiste agli aumenti dei costi e alle turbolenze.
L’exploit delle birre di qualità e la riscoperta dei cocktail spingono il settore, già favorito dalla pandemia. Un mercato complessivo da 1.500 miliardi di dollari che resiste agli aumenti dei costi e alle turbolenze.Investire nel food & beverage, ovvero nei consumi primari, viene considerata tradizionalmente una scelta difensiva e antirecessiva poiché si parla spesso di beni essenziali. All’interno di questo comparto, gli alcolici fanno un po’ storia a sé, poiché a trainarne i consumi ci sono diverse forze, a partire da quella demografica. Senza contare che la pandemia ha, secondo diversi studi, contribuito ad allargare ulteriormente il mercato. Oggi, infatti, diverse analisi indicano le bevande alcoliche fra i segmenti in più rapida crescita nella categoria dei beni di prima necessità.Nei Paesi asiatici bagnati dal Pacifico, si prevede che il mercato delle bevande alcoliche registrerà una crescita annua del fatturato di oltre il 10% nei prossimi anni, anche se l’Europa resta fra i principali produttori e consumatori di bevande alcoliche al mondo. Quando si parla di alcolici, si stima un mercato da 1.500 miliardi circa di dollari, e secondo gli analisti la crescita continuerà nei prossimi anni.«La parte del leone nei consumi è quella delle birre premium, particolarmente forti negli Usa e nel Regno Unito, tenendo conto anche che negli ultimi anni gli alcolici stanno riconquistando le posizioni di testa in alcuni mercati chiave come gli Usa, grazie alla rinascita della cultura dei cocktail», spiega Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert Scf.La maggior parte delle aziende di liquori o bevande alcoliche ha tra l’altro marchi forti e un elevato potere di determinazione dei prezzi. Oltre a una rete di distribuzione globale e un flusso di cassa elevato: le valutazioni, proprio per queste caratteristiche premium, sono mediamente elevate e questo fatto va considerato nella scelta dei titoli e nel peso nei portafogli.È possibile investire in questo settore indirettamente attraverso alcuni Etf o fondi che seguono il comparto, oppure selezionando i campioni del settore nella produzione e nella distribuzione che spesso detengono decine di marchi e che in questi anni, attraverso fusioni e acquisizioni, hanno spinto ulteriormente al rialzo le valutazioni del settore.«Analizzando le principali società del settore alcolici, ovvero Campari, Diageo, Pernod Ricard e Remy Cointreau, osserviamo come nell’ultimo anno le rispettive quotazioni siano state penalizzate dal ciclo economico finanziario», spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro. «I rialzi dei tassi d’interesse, l’effetto Russia, i blocchi cinesi, l’inflazione e le preoccupazioni di un rallentamento economico hanno comunque penalizzato il comparto, con Remy Cointreau a catalogare da gennaio 2022 la maggiore correzione (-20%). Cadute che tuttavia si sono mantenute ben al di sotto del settore dei beni discrezionali americani. L’aumento dei costi, sebbene presente all’interno dei bilanci, con Campari che registra un aumento nel terzo trimestre del 2022 del 40% (anno su anno) del costo del venduto, non ha influito sui margini. Segnale di un’ottima capacità delle aziende di saper trasmettere i rincari al cliente, mantenendo inalterata la redditività».
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
I magistrati sostengono che chi ha conquistato l’istituto si è messo d’accordo su cosa fare. Ma questo era sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di intercettazioni. E se anche il governo avesse fatto il tifo, nulla cambierebbe: neanche un euro pubblico è stato speso.
Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.






