2025-06-28
Mentre indagava su via D’Amelio, gli perquisivano casa
Giovanni Tinebra e Agostino Cordova (Ansa)
In una maxi-inchiesta su mafia e massoneria avviata da Agostino Cordova venne setacciato l’alloggio di Giovanni Tinebra.Le perquisizioni ordinate dalla Procura di Caltanissetta per trovare «documentazione idonea a comprovare l’appartenenza a logge massoniche» dell’ex magistrato Giovanni Tinebra, colui che per primo indagò sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio, avrebbero un precedente. I ricordi sono sbiaditi, ma chi era in servizio nel Palazzo di giustizia di Nicosia (Enna) un lontano mattino del 1994, rammenta con precisione quando alcuni poliziotti si presentarono per perquisire gli alloggi in cui aveva dimorato l’allora procuratore Giovanni Tinebra.A spedire gli investigatori all’ultimo piano del Tribunale non era stata una Procura qualunque, ma quella di Palmi, dove Agostino Cordova aveva avviato una grande inchiesta sulla massoneria deviata. L’indagine prese avvio nel 1992 e proseguì fino al 4 giugno 1994, quando il fascicolo fu trasmesso a Roma per competenza territoriale, con un elenco di 64 indagati a cui erano contestate l’associazione a delinquere e l’associazione segreta. Un anno prima, nel luglio del 1993, Cordova era stato nominato procuratore a Napoli. In un anno di lavoro aveva raccolto una mole immensa di materiale e aveva disposto innumerevoli sequestri soprattutto presso obbedienze e logge massoniche. Di fronte alla prova delle infiltrazioni della criminalità organizzata tra i grembiulini l’allora Gran maestro del Grande Oriente d’Italia (Goi) Giuliano Di Bernardo si dimise.pesca a strascicoNel 2000 il fascicolo venne archiviato dal gip Augusta Iannini, che dichiarò il non «doversi promuovere l’azione penale». Il giudice biasimò il modus operandi di Cordova e in particolare la pesca a strascico nei confronti dei massoni, i cui elenchi andarono a costituire «una vera e propria banca dati sulla cui utilizzazione è fondato avanzare dubbi di legittimità». Nel 2017, Rosy Bindi, allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, al lavoro sui rapporti tra mafie e massoneria, chiede al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone di poter consultare l’Archivio Cordova, scoprendo che era già stato restituito al Goi.Piera Amendola, ex responsabile dell’archivio della Commissione P2 e autrice del libro «Padri e padrini delle logge invisibili», ha detto al giornalista Gianni Barbacetto: «Ancora oggi non sappiamo che fine abbia fatto l’Archivio Cordova presso la Procura di Roma. Eppure Cordova è stato il primo a indagare sui rapporti tra ’ndrangheta e massoneria. Dopo di lui, altri magistrati hanno affrontato l’argomento […]. Oggi possiamo dirlo: Cordova aveva ragione».La Amendola è stata ingaggiata come consulente dai pm di Caltanissetta e ha spiegato nei dettagli i collegamenti tra la massoneria e club come il Rotary, i Lions, i Kiwanis, di cui Tinebra era stato esponente.Dunque già trent’anni fa alcuni magistrati si erano messi sulle tracce di Tinebra nell’ambito di un’inchiesta sulla massoneria deviata o quanto meno coperta. Adesso il pallino è passato alla Procura di Caltanissetta, guidata da Salvo De Luca, il quale ha aperto un importante fascicolo sulla strage di via D’Amelio in cui si ipotizzano i reati di strage e depistaggio che sarebbero stati commessi per favorire la mafia.In questo alveo si è inserito il filone sulla massoneria e su Tinebra. Nel decreto di perquisizione si ricorda come un massone chiacchierato come Salvatore Spinello ebbe a dire in un’intercettazione ambientale del marzo del 1999: «Tinebra è dei nostri anche lui, era della loggia di Nicosia...». In un’altra captazione Spinello si era vantato dell’amicizia con l’ex procuratore. A registrare queste conversazioni era stata proprio la Procura di Napoli guidata da Cordova.il professoreMa sulla possibile appartenenza del magistrato alla massoneria aveva fatto una battaglia un professore di matematica di Nicosia, Felice Di Figlia, detto Felicino. Nel gennaio del 1993, partecipò a un dibattito in occasione del nono anniversario dell’uccisione da parte della mafia del giornalista Giuseppe Fava. Intervenne in veste di consigliere comunale del Pds di Nicosia. Di Figlia era una specie di grillo parlante del paese e, in quell’incontro, racconta di come l’ex procuratore per dieci mesi avesse raccolto le sue denunce sull’amministrazione locale, cercando di carpire le sue fonti, lo avesse ascoltato per ore, gli avesse offerto il caffè, lo avesse portato a braccetto in giro per la Procura, ma poi avesse affossato tutti i processi. Motivo che lo aveva convinto a non fidarsi più di lui. Un uomo che per 24 anni era rimasto a Nicosia, ma che «non aveva amministrato la giustizia, né poteva amministrarla perché se era diventato procuratore lo era diventato anche grazie ai politici locali». Di Figlia racconta la sua marcia di avvicinamento a Tinebra: «Due funzionari della Prefettura di Palermo» lo avrebbero messo in guardia, gli avrebbero detto di conoscerlo bene, ma poi avrebbero organizzato l’incontro con lui («Ma non gli porti tutto» si sarebbero raccomandati).«ha in mano tutto»Il consigliere comunale ha la voce angosciata, sottolinea che a Caltanissetta Tinebra ha in mano tutto, «ha chiesto di avocare a sé anche i fascicoli su Bruno Contrada». Quindi si lancia nell’ultima parte della sua filippica: «Bisogna seguire bene come ha fatto carriera» dice. «Nell’80 fonda il Kiwanis, lui è presidente per un paio d’ anni, chiama lì tutte le persone che contano, attualmente là ci sono tutti avvocati, inquirenti inquisiti, tutta una grande famiglia, ma quello che più conta è che dall’81 fa il grande balzo, si iscrive alla massoneria, sappiamo quale massoneria, chi lo ha presentato, a Nicosia è cosa nota». La conclusione è un po’ farfugliata: «Sono arrivato a una verità assoluta per cui la massoneria… oggi si parla tanto di servizi segreti eccetera… è chiaro che la mia perplessità a questo punto è enorme […] dalle carte questo risulta… non ha fatto il suo dovere, né poteva farlo […] ora si trova là» dice. Alla fine Di Figlia prova a condividere con i presenti il peso della propria denuncia: «Nel momento in cui io parlo di fronte a tutti è come se in un certo senso la responsabilità non fosse più mia, ma diventasse anche di chi mi ascolta». Da allora sono passati 32 anni e adesso che qualcuno ha iniziato a indagare approfonditamente sui rapporti di Tinebra con la massoneria forse Di Figlia potrà dare il proprio contributo.
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Carlotta Vagnoli (Getty Images)