2021-11-22
Il fondo Usa offre 11 miliardi per Tim e tende la mano al governo sulla rete
Ieri il cda straordinario dell'azienda di telecomunicazioni si è riunito per valutare la proposta di Kkr che scombussola i piani di Vivendi. Draghi segue la partita e avvia, come da prassi, il golden power.Nella serata di sabato è arrivata sul tavolo di Luigi Gubitosi, ad di Tim, l'offerta del fondo americano Kkr. Obiettivo, acquisire tutto il gruppo di telecomunicazioni. Il fondo, che vale all'incirca 400 miliardi di dollari, conosce bene il settore perché da un anno è azionista per il 37,5% di FiberCop, una delle due società che stanno costruendo la rete di fibra ottica in Italia (cosiddetta rete secondaria) assieme alla stessa Tim che ne detiene circa il 60%. Negli ultimi anni ha partecipato alle acquisizioni della società spagnola di telecomunicazioni MasMovil e di quella di fibra ottica britannica Hyperoptic. Stavolta, se l'iniziativa andasse in porto, Kkr realizzerebbe una delle maggiori operazioni nel settore delle Tlc. Sul tavolo, secondo indiscrezioni, ci sarebbe un prezzo di poco inferiore ai 50 centesimi per azione. la valutazioneIn pratica, un esborso superiore agli 11 miliardi di euro. Come anticipato dal Corriere della Sera, ieri pomeriggio si è tenuto il consiglio straordinario per valutare la missiva Usa che appare chiaramente come un'Opa amichevole. Al termine del cda, l'azienda ha fatto sapere di prendersi 4 settimane per una due diligence confirmatoria e che comunque la proposta di Kkr è «non vincolante e indicativa» e diventerebbe effettiva solo con l'adesione del 51% del capitale votante. Ciò significa che c'è margine per arrivare a 15 miliardi di esborso inserendo premi e altre valutazioni accessorie.In ogni caso, il primo risultato è comunque di sterilizzare l'assalto dei francesi di Vivendi all'attuale management. Non bisogna infatti dimenticare che, giusto 72 ore fa, tramite collegio sindacale, era stato richiesto un altro cda straordinario fissato per venerdì prossimo. L'obiettivo era mettere in crisi Gubitosi e imporre il ricambio. Con una tale offerta sul tavolo sarà difficile per Vivendi portare avanti il progetto. Nonostante i francesi abbiano un prezzo di carico del titolo, che è ben superiore (circa 86 centesimi), non potranno ignorare il drastico cambio di passo della situazione. E scendere a compromessi. Anche se già ieri hanno fatto trapelare la volontà di dare mandato al management di stoppare ogni trattativa. Kkr ha però una potenza di fuoco nettamente superiore al gruppo del finanziere Vincent Bolloré, il quale ieri ha incassato un'ulteriore botta. Il fondo Cvc, che inizialmente sarebbe dovuto scendere in campo al fianco di Vivendi, ieri ha tenuto a precisare che sta studiando il dossier, valutando però una soluzione di sistema. Come dire, nulla che comporti spaccature a livello politico. C'è infatti un altro player in campo che è destinato a fare da ago della bilancia. Si chiama Mario Draghi. Al termine del cda straordinario di ieri, il governo ha fatto sapere di osservare da vicino le scelte di Tim e di essere pronto a riunire il comitato del golden power sia sulla rete che sulla società Telecom Sparkle, il gioiellino che contiene cavi sottomarini e snodi digitali con informazioni iper sensibili. Basti pensare che l'80% delle informazioni da e per Israele passano attraverso Sparkle. Un dettaglio che spiega la rilevanza geopolitica dell'operazione. Fonti di governo ieri hanno fatto sapere che al comitato effettivo si uniranno ai lavori di valutazione anche i ministri Franco, Giorgetti, Colao, assieme ai sottosegretari Gabrielli, Garofoli, il capo di gabinetto del Mef, Giuseppe Chiné, e il consulente Francesco Giavazzi.la procedura L'avvio della procedura del golden power è però un atto dovuto e non deve essere inteso come una volontà di stoppare gli americani. Al contrario, il governo non vede certo con diffidenza l'arrivo di Kkr. Non solo perché è già presente nella rete secondaria ma anche perché porta con sé un importante sostegno politico. Le prossime settimane sono le più delicate per l'attuale governo. C'è la campagna elettorale per il Colle e la firma del Trattato del Quirinale che rischia di legare Roma e Parigi in modo indissolubile. Subire passivamente l'assalto francese non sarebbe solo un problema industriale e di valorizzazione del titolo, ma anche politico. Fino alla nomina del nuovo presidente della Repubblica, nessuno sembra disposto a prendere decisioni di lungo termine. Ecco perché gli azionisti di maggioranza relativa di Tim in queste ultime settimane hanno spinto per disarcionare Gubitosi e poter trattare direttamente con il governo su temi delicati come la rete e tenendo nel cassetto l'intento di incanalare operazioni di spezzatino sulla pay tv che chiamano di conseguenza in campo anche tutta la partita sui diritti del calcio. Bolloré e Arnaud de Puyfontaine, capo del consiglio di gestione di Vivendi, dopo aver di fatto archiviato l'operazione ostile contro Mediaset, avrebbero potuto concentrarsi sulla partnership tra MyCanal e Tim Vision con l'idea di trasformarla in un asset francese su territorio italiano. Adesso resta da capire come si muoverà l'ad di Tim e soprattutto quali paletti il governo chiederà agli americani di Kkr per prendersi eventualmente Tim. La presenza nel super comitato di Franco Gabrielli lascia intendere che si sarà un dialogo serrato con le controparti del Dipartimento di Stato.Intanto aspettiamo stamattina la reazione della Borsa e dei mercati.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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