2025-04-15
Azione e adrenalina. «The Last of Us» torna su Sky con la seconda stagione
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La prima stagione dello show è stata un lungo viaggio attraverso i pericoli del mondo esterno. La seconda, al debutto su Sky lunedì 14 aprile, sarà altro: un balzo in avanti di cinque anni, Joel ed Ellie ancora calati nel piccolo eden alle porte del mondo che il fratello di lui, Tommy, ha costruito insieme alla compagna Maria.La prima stagione è finita con due parole, a suggello di una promessa. «Lo giuro». Poi, più nulla. The Last of Us s'è interrotta su quel che avrebbe dovuto essere il più bello: la possibilità che la vita del genere umano, la sua sopravvivenza e sviluppo, potesse riprendere a fluire.La serie televisiva, la cui prima stagione è stata accolta all'unanimità come il miglior adattamento di un videogioco mai realizzato, l'ha lasciata lì, però, quella speranza, racchiusa in due sole parole. "Lo giuro", che al mondo, quel mondo disastrato, reso cenere da un virus che ha trasformato l'uomo in zombie, una cura avrebbe potuto esserci.Pedro Pascal, Joel nello show, ha concluso la prima stagione con una scoperta potenzialmente rivoluzionaria. Altri, oltre ad Ellie (Bella Ramsey), sembrano essere immuni al Cordyceps, il fungo colpevole di aver trasformato i contagiati in esseri mostruosi. Non zombie, non morti, creature a mezza via tra mostri e vegetali, condannati per l'eternità a starsene silenti sotto terra, per nutrirsi al bisogno di altri esseri viventi. The Last of Us, adattamento televisivo del videogioco omonimo, ha raccontato il crollo della civiltà occidentale. Non esistono città, nello show. I grandi palazzi statunitensi, i grattacieli che hanno reso magnifica l'America sono stati mangiati dalla vegetazione, abbandonati da chi li abbia mai abitati. Il po' di umanità che è riuscita a sopravvivere alla pandemia si è riorganizzata in roccheforti, governate da una sorta di dittatura militare. Nessuno entra, nessuno esce. Le classi sociali sono immobili. Si obbedisce, pensando ad arrivare a fine giornata. Senza pretese, senza altra ambizione all'infuori dell'aver salva la vita. Joel, che nell'epidemia di Cordyceps ha perso moglie e figlia, ha sempre fatto quel che l'ordine governativo gli ha chiesto. Poi, però, qualcosa è cambiato. I ribelli lo hanno pregato di portare Ellie, una ragazzina immune al fungo, in un luogo sicuro, dove la sua resistenza possa diventare il punto di partenza di un vaccino.La prima stagione dello show è stata questo, un lungo viaggio attraverso i pericoli del mondo esterno. La seconda, al debutto su Sky lunedì 14 aprile, sarà altro: un balzo in avanti di cinque anni, Joel ed Ellie ancora calati nel piccolo eden alle porte del mondo che il fratello di lui, Tommy, ha costruito insieme alla compagna Maria. L'armonia degli inizi, però, è scomparsa. Ellie e Joel a malapena si parlano. Troppi segreti, troppi non detti, a partire dal più complesso. Joel, sul finire della prima stagione, ha deciso di salvare Ellie da morte certa, negando parimenti all'umanità la possibilità di una cura. Le avrebbero asportato la gran parte del cervello, per studiarlo e provare a sintetizzare un vaccino. Ma Joel, che in quella ragazzina ha rivisto la figlia perduta, non lo ha permesso. L'ha portata via, e la seconda stagione dello show è stata travolta da un irreversibile effetto farfalla. I mostri sono incattiviti, gli uomini persi. The Last of Us 2 è azione e adrenalina, come il capitolo che l'ha preceduta. Forse, tuttavia, è meno incisiva, meno capace di ricalcare i ritmi e il dinamismo del gioco dal quale è tratta.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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