Clò: «Un tetto al gas? Impossibile. Chi in Europa lo promette non conosce mercato e contratti»

Secondo l'ex ministro Alberto Clò è impossibile imporre un tetto al prezzo del gas
«Un grande pasticcio. Un annuncio inconsistente, per non dire di più. In ogni caso un progetto a cui voglio proprio vedere come faranno a dare seguito».
Alberto Clò non usa giri di parole nel commentare la notizia secondo cui l’Unione europea è ormai ad un passo nel mettere un tetto al prezzo del gas. Economista, già ministro dell’Industria e del Commercio con l’Estero nel governo presieduto da Lamberto Dini nel 1995-1996, Clò è tra i maggiori esperti di energia europei.
Insomma, secondo lei stiamo parlando di un tetto senza pareti che lo sostengono?
«Intanto una premessa. Gran parte delle importazioni di gas fanno riferimento a contratti a lungo termine e quindi stipulati in un momento in cui i prezzi erano inferiori a quelli odierni. E qui il tetto non c’entra. Poi ci sono le quotazioni espresse dalle Borse, che tra l’altro spesso non hanno transazioni fisiche. In ogni caso sono quotazioni che fa il mercato finanziario. E quindi come si fa a mettere un tetto?»
Ma se l’Europa si mostra compatta...
«Oggi, vista la situazione internazionale, il prezzo lo fa il venditore. E le navi metaniere cioè quelle che trasportano il gas naturale liquefatto, si dirigono dove spuntano il prezzo migliore. Se l’Europa punta i piedi, le navi orientano la prua verso Oriente o altri lidi. Ma c’è di più....»
Che cosa?
«Lasciamo stare il gas russo, che certamente non può far parte di un progetto di sconto per la guerra in Ucraina ed il muro tra Ue Russia. Concentriamoci invece sulle possibile alternative. Che non sono molte. Prendiamo il caso del gas algerino. Noi fino a ieri siamo andati in processione in Algeria con il cappello in mano a chiedere di aprire ulteriormente i rubinetti del gas. Ed oggi con che faccia torniamo ad Algeri chiedendo pure lo sconto? Cosa crede che ci rispondano?».
Ma Bruxelles ci crede...
«Le ripeto, l’annuncio di un tetto al prezzo del gas a me pare inconsistente. E chi ha fatto questa dichiarazione sarà pure un grande stratega dell’Unione europea, ma dubito che conosca davvero il mercato dell’energia. O almeno i contratti».
Contratti? In che senso?
«I contratti non si fanno tra nazioni, figuratevi tra Continenti. Viceversa sono accordi bilaterali tipo Gazprom-Eni eccetera. E dunque, tenuto conto di questo, sorge una banalissima domanda...»
Quale?
«Una volta deciso il tetto al prezzo del gas chi va a ridiscutere questa moltitudine di contratti? Ci va l’azienda che li ha stipulati? Si formeranno, ma sarà difficile, consorzi di imprese private per ritoccare il prezzo? O forse ci andranno i singoli Stati? Oppure l’Unione europea si farà carico di incontrare tutte le grandi imprese esportatrici e rivedere contratto per contratto? E poi come fare la voce grossa quando, come vediamo in questi giorni, non riusciamo ad avere un’unica linea sul fronte dell’energia?».
Se non si può bloccare il prezzo del gas alla fonte, forse l’idea potrebbe essere quella di agire a cascata, nell’ambito della distribuzione nazionale?
«Anche in questo caso abbiamo contratti in essere. Ed in ogni caso sarebbe impossibile agire su tutti gli operatori presenti sui mercati nazionali. Non dimentichiamoci che siamo in presenza di un mercato aperto e le imprese distributrici acquistano a condizioni diverse da chi ne dispone»
Ma c’è chi accusa proprio queste imprese di extra guadagni. Possibile che mentre il Paese è in crisi c’è chi incamera super profitti...?
«Un conto è la tassazione dell’extraprofitto. Ben diversa è l’idea di costringere i distributori a calmierare i prezzi. Chi lo dice, anche in questo caso, non conosce i contratti. Il prezzo infatti viene fatto con offerte. Alla fine è la più alta che fa il prezzo di riferimento. Si può cambiare questo modo di procedere, ma fin che il metodo è questo si hanno le mani legate. E poi, anche in questo periodo nel settore energetico c’è chi accumula maxi profitti ma anche chi affronta grandi perdite, schiacciato tra vecchi contratti e prezzi in salita. Che facciamo con queste imprese?».
Dunque anche qui nessuna speranza ...
«Difficile. In ogni caso credo che qualsiasi intervento a questo livello della filiera potrebbe avere problemi di costituzionalità».
Ma allora che dobbiamo fare?
«Che dovevamo fare. All’Italia manca un progetto di politica energetica. Questo è il tema più importante. Ma come ricucire le vele nel pieno della tempesta?»
Autore della famosissima immagine V-J Day in Times Square, ad Alfred Eisenstaedt (1898-1995), fra i fotografi di punta della rivista Life, il Centro Italiano per la fotografia di Torino dedica una mostra (sino al 21 settembre 2025) di oltre 170 scatti che ne ripercorrono l’intera carriera, dagli anni Trenta al 1990.
I siti che espongono le donne all’insaputa non riaffermano il dominio maschile, ma rivelano un vuoto: uomini incapaci di relazione, che cercano conferma solo nello sguardo degli altri, trasformando l’intimità in merce pubblica.
Sen. Susanna Donatella Campione Componente commissione giustizia e femminicidio
In questi giorni si parla molto dei siti e dei gruppi come “Mia moglie” e Phica.eu, luoghi virtuali in cui venivano condivise immagini di donne fotografate all’insaputa delle dirette interessate, con lo scopo di commentarne volgarmente l’aspetto fisico ed esplicitare fantasie sessuali triviali.
Colpisce, prima di tutto, che tali gruppi fossero aperti e accessibili a chiunque. Nessuno degli iscritti sembrava provare imbarazzo, né percepire il disvalore sociale e morale di simili pratiche. È l’ennesima conferma di come l’avvento dei social abbia reso obsoleto il concetto di riservatezza, che pure la nostra Costituzione eleva a diritto inviolabile. Oggi ogni momento della vita quotidiana può diventare pubblico: nascite, atti sessuali, tradimenti, scene imbarazzanti, nulla è più custodito. Persino ciò che un tempo gli uomini condividevano di nascosto, foto o filmati osé, viene ora esibito senza pudore.
È sparito il “segreto”, che aveva un valore protettivo, come i segreti industriali tutelano un’invenzione. È sparita la “vergogna”, la cui etimologia latina “verecundia” richiama il rispetto e il timore, la parola discrezione appare ormai un termine desueto che evoca scenari arcaici. Tutto si consuma rapidamente e sotto gli occhi di tutti.
Molti osservatori spiegano questo fenomeno come una nuova manifestazione del patriarcato. Eppure, a ben vedere, nessun patriarca avrebbe mai esposto la propria moglie al pubblico ludibrio. Certo, si potrebbe dire che aveva altri strumenti per esercitare dominio e controllo sulle donne ma non le avrebbe certamente rese oggetto di scherno collettivo o esposte ai commenti volgari di altri uomini.
Qui non siamo di fronte a una riaffermazione del patriarcato e tantomeno del machismo.
Al contrario. Gli uomini che hanno condiviso quelle immagini non hanno esercitato alcun potere sulle proprie compagne, ma hanno mostrato una vera e propria dipendenza dall’immagine femminile. Una dipendenza che non si traduce in relazione, ma in surrogato: incapaci di rapporti reali con donne reali, cercano conferma solo attraverso lo schermo.
A un’analisi più attenta emerge qualcosa di ancora più radicale: non mascolinità, ma il suo opposto. L’obiettivo reale non è il corpo delle donne ma lo scambio di sguardi, battute e approvazioni tra maschi.
E’ il meccanismo che scatta negli scambi di coppia. L’uomo patriarcale non trae gratificazione dal giudizio di altri uomini sul corpo femminile, soprattutto se quel corpo appartiene a una donna alla quale è legato, anzi di quel corpo vuole l’esclusiva e reagisce se altri tentano di guardarlo o toccarlo. Nelle società patriarcali il corpo delle donne viene coperto proprio per sottrarlo totalmente agli sguardi di altri uomini. Non c’è alcuna possibilità di condivisione di quella donna, al contrario tutti gli uomini vengono esclusi dal contatto, anche visivo, con lei.
La condivisione di immagini delle proprie mogli sui siti web non è quindi patriarcato ma l’espressione distorta di una fluidità che non si accetta e viene negata e repressa.