2022-12-20
Dal tetto al gas tagli ai consumi o prezzi alti
Il ministro della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica)
L’Unione europea ha trovato un accordo: soglia a 180 euro per megawatt/ora, ma è un price cap dinamico. Non si tratta di un «sì» unanime: ha votato contro l’Ungheria, Austria e Olanda si sono astenute. E c’è da sperare che il meccanismo non entri in funzione.In un clima da «ora o mai più», si è svolta ieri l’ultima riunione del Consiglio dei ministri dell’energia dei 27 Stati membri dell’Unione europea del 2022. I ministri hanno raggiunto un compromesso su un testo che disegna il meccanismo di correzione dei prezzi del mercato del gas, ovvero il price cap. L’Ungheria ha votato contro, Austria e Olanda si sono astenute mentre la Germania, ottenute rassicurazioni sui meccanismi per la sospensione del tetto, ha votato a favore.Il meccanismo sarà attuato su tutti gli hub europei, non solo al Ttf, ma non si applicherà agli scambi bilaterali (Otc). La soglia a cui scatterà il meccanismo è stata fissata a 180 euro per megawatt/ora e si attiverà se il future front month supererà la soglia per tre giorni consecutivi e se lo spread tra il prezzo del gas e quello del Lng risultasse superiore a 35 euro per megawatt ora per lo stesso periodo. A tetto attivato, non saranno consentite transazioni relative ai futures sul gas naturale al di sopra di un cosiddetto «limite di offerta dinamica», pari alla somma tra prezzo Lng e 35 euro per megawatt/ora. Questo è importante: il prezzo potrà cioè essere superiore a 180 euro per megawatt/ora, basta che non sia superiore al prezzo Lng+35. Se il prezzo Lng salisse a 200, il limite di offerta dinamica andrebbe a 235: quello sarebbe il tetto massimo cui il gas al Ttf potrebbe essere scambiato. Il price cap, è importante notare, si applicherà ai future mensili, trimestrali e annuali più prossimi.Una volta attivato, il tetto dinamico resterebbe in vigore per un massimo 20 giorni lavorativi, poi decadrebbe. In qualsiasi momento, quando si concretizzeranno rischi o turbative del mercato, la Commissione potrà sospendere il price cap: se la domanda di gas aumenta del 15% in un mese o del 10% in due mesi, se le importazioni di Lng diminuiscono in modo significativo o se il volume scambiato sul Ttf diminuisce in modo significativo rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Il meccanismo dovrebbe avviarsi il 1° febbraio con partenza il 15 e restare in vigore per un anno.Grande soddisfazione a Bruxelles, naturalmente. «Il meccanismo fornisce salvaguardie per preservare la nostra sicurezza dell’approvvigionamento e la stabilità finanziaria degli operatori del mercato», secondo la ministra francese per la Transizione ecologica, Agnès Pannier-Runacher. Si festeggia anche a Roma. Il ministro della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha scritto che si tratta della «vittoria dei cittadini italiani ed europei che chiedono sicurezza energetica. È la vittoria dell’Italia che ha creduto e lavorato per raggiungere questo accordo».Giorgia Meloni, in visita al Museo ebraico di Roma, ha affermato: «Vengo qui con una piccola, grande vittoria, più grande che piccola. Siamo riusciti in Europa a spuntarla sul tetto al prezzo gas», cosa su cui «molti ci davano per spacciati». Ringraziamenti del presidente del Consiglio anche al predecessore, Mario Draghi.Da Mosca sono arrivate subito le parole del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, il quale ha affermato che il tetto al prezzo del gas è «una violazione della formazione dei prezzi di mercato, una violazione dei processi di mercato, qualsiasi riferimento a un tetto è inaccettabile », assicurando che da parte di Mosca ci sarà una «risposta adeguata». Secondo Pichetto Fratin la reazione russa «è la dimostrazione che il price cap funziona». Anche Ice, la società americana che gestisce il mercato finanziario del Ttf con sede in Olanda, ha affermato in una breve nota che valuterà il testo per capire se sarà ancora in grado di operare ordinatamente dall’Olanda o se sarà necessario spostare la sede fuori dall’Ue.Attendiamo il testo per un giudizio definitivo, ma quel che si sa è sufficiente per dire che c’è da sperare che questo meccanismo non entri mai in vigore. Le implicazioni sarebbero tali e tante da rendere difficile un’analisi completa delle casistiche. Sui fondamentali, la domanda europea è fortemente esposta al mercato Lng dopo la rinuncia al gas russo, come abbiamo sottolineato tante volte, ed è ora in competizione con la domanda asiatica. Se e quando la Cina dovesse mostrare segnali di ripresa, il prezzo del Lng salirebbe trascinando il tetto dinamico, aggiunto del premio di 35 euro per megaatt/ora, che a quel punto perderebbe di senso. Non si vede come la «dinamicità» del tetto possa rappresentare un argine ai prezzi.Inoltre, 180 euro per megaatt/ora sul gas significa avere un’energia elettrica spot a non meno di 390 euro per megawatt/ora, compresi oneri CO2. Davvero si può parlare di «sollievo sulle bollette», se questi sono i prezzi a cui scatta il tetto? Potrebbe verificarsi un crollo di liquidità agli hub regolamentati e un’impennata degli scambi Otc, cosa che rende meno trasparente il prezzo e mette a rischio la tenuta finanziaria dell’intera area euro, come persino la (inascoltata) Bce ha detto non più tardi della settimana scorsa. C’è poi la Russia. In questi giorni l’Italia ancora importa tra 10 e 15 milioni di metri cubi al giorno di gas dalla Russia, pari al 5-7% circa del fabbisogno giornaliero. Uno stop di questo residuo flusso avrebbe un impatto non decisivo ma comunque sensibile.Una reale applicazione del meccanismo sembra difficile, comunque, e per fortuna i casi di sospensione immediata sono ben identificati. Il capitale politico investito sulla questione, anche da questo governo, era molto; dunque, l’eccitazione con cui il «risultato» viene festeggiato ha una spiegazione. Sarebbe meglio però evitare di celebrare come fosse la Coppa del mondo quella che invece, più prosaicamente, assomiglia molto a una sola.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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