2024-03-14
La Lega riapre un fronte col governo sui ballottaggi e il terzo mandato
Alberto Balboni (Fdi), relatore del dl elezioni (Imagoeconomica)
Blitz in Aula per eliminare il secondo turno nei Comuni dove un candidato prende almeno il 40% dei voti. Ira dell’opposizione, anche Fdi frena. Il Carroccio ritira l’emendamento, bocciato quello sulle ricandidature.Beppe Sala per il dopo Meyer alla Scala punta su Ortombina, nome gradito a Sangiuliano. Il primo cittadino guarda al futuro: vuole la poltrona del dem Decaro e il centrodestra può aiutarlo.Lo speciale contiene due articoli.Al Senato ieri si doveva tornare a parlare del terzo mandato, ma alla fine a prendersi la scena è stata un’altra questione: quella dell’abolizione del ballottaggio per i sindaci. A innescare la discussione, come accaduto per il terzo mandato, è stata la Lega che, oltre ad avere ripresentato in Aula l’emendamento al dl elezioni che toglierebbe il limite a due mandati per i presidenti di Regione, ha presentato un’altra proposta di correzione del testo, di impatto forse ancora maggiore. Si tratta infatti dell’abolizione del ballottaggio per l’elezione del sindaco, nei Comuni in cui il candidato più votato prenda almeno il 40% dei voti. In questo modo, la sfida diretta tra i primi due classificati del primo turno avrebbe luogo solo nel caso che nessuno superi la detta soglia. La proposta ha scatenato immediatamente le ire delle opposizioni, che hanno gridato al blitz antidemocratico: la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha parlato di «sfregio alle più basilari regole democratiche», mentre per il capogruppo dem a Palazzo Madama, Francesco Boccia, è «una aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene». Anche per Avs l’emendamento è inaccettabile e «offensivo non solo nei confronti delle forze politiche ma del lavoro della I Commissione». «Il dl elezioni», ha aggiunto Boccia, «che doveva solo stabilire la data del voto è diventato un golpe al quale ci opporremo». Anche l’Anci, attraverso il suo presidente (anch’esso dem) ha commentato negativamente, a partire dal metodo: «Noi non crediamo», ha affermato, «che uno stravolgimento della legge sull’elezione diretta dei sindaci possa essere ipotizzato senza interpellare i Comuni, come invece è accaduto per altri provvedimenti nella logica della leale collaborazione tra istituzioni. Speriamo», ha aggiunto, «che la proposta venga ritirata, anche perché andrebbe a intaccare alle fondamenta un sistema che fino a oggi ha funzionato nell’interesse dei cittadini''. Dentro la maggioranza, poi, è arrivato l’invito dal relatore del provvedimento, il meloniano Alberto Balboni, a ritirare l’emendamento e a trasformarlo in un ordine del giorno. «Nel merito», ha affermato Balboni in Aula, «sono d’accordo, non credo sia un attentato alla Costituzione, ma sono d’accordo con quanti sottolineano la circostanza che un tema così importante e delicato andava affrontato con ben altro metodo e in ben altro luogo». Qualche ora dopo, il capogruppo leghista Massimiliano Romeo è intervenuto in Aula, annunciando di aver accolto l’invito di Balboni, ma aggiungendo che il suo partito riproporrà la questione in futuro. Il tutto, come detto, mentre il Carroccio aveva rimesso in pista l’emendamento sul terzo mandato per i governatori, già presentato in commissione e bocciato per la contrarietà di Fratelli d’Italia e Forza Italia. L’episodio aveva creato delle fibrillazioni all’interno del centrodestra, poiché Matteo Salvini sta da tempo insistendo sull’argomento, sottolineando che, se è un territorio risulta ben amministrato, si dovrebbe dare la possibilità all’elettorato di rinnovare la fiducia a chi è virtuoso. Il pensiero è andato più volte al presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che a legislazione vigente non potrebbe ricandidarsi. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è già detta contraria a tale ipotesi e coerentemente a ciò ha fatto anche inserire il tetto di due mandati per il premier nel ddl Casellati sul premierato. A questo argomento, a sua volta, Salvini ha opposto che sarebbe allora coerente introdurre tale tetto anche per i parlamentari.Detto questo, tra i 44 emendamenti presentati da tutti i gruppi, c’era quello leghista sul terzo mandato, e le cose in Aula sono andate esattamente come in commissione, visto che Fdi e Fi avevano ribadito la propria contrarietà e il governo si era rimesso nuovamente all’Aula per evitare un voto anti-esecutivo del Carroccio. Sul versante dell’opposizione, Italia Viva ha votato a favore, dopo aver rinnovato l’invito ai dem e al M5s a fare altrettanto, ma il «campo largo» è stato categorico per il no. Per tenere buono il partito degli amministratori locali (dopo le polemiche dell’ultima volta), Elly Schlein ha fatto comunque mettere a punto un odg per far «approfondire la questione» con la Conferenze delle Regioni e l’Anci. Netti, seppure garbati, gli argomenti con cui Fdi aveva rinnovato la propria chiusura: «Speravamo che l’emendamento non finisse in Aula», ha detto il senatore Raffaele Speranzon, «c’è la piena comprensione delle ragioni della Lega, che sono legittime, poi il Parlamento è sovrano».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/terzo-mandato-ballottaggio-sindaci-2667509900.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sala-usa-la-scala-per-salire-sullanci" data-post-id="2667509900" data-published-at="1710416789" data-use-pagination="False"> Sala usa la Scala per salire sull’Anci Ci sono due categorie di sindaci al secondo mandato: quelli che, non avendo nulla da perdere, prendono decisioni importanti e quelli che, invece, si preoccupano di ciò che faranno dopo. Beppe Sala, sindaco di Milano dal 2016, fa parte dell’ultima categoria: non decide, non fa, ma pensa soprattutto al suo futuro politico. Una prova plastica si è vista nella recente vicenda scaligera dove il sindaco milanese è arrivato in consiglio di amministrazione e ha proposto (a sorpresa) il nome di Fortunato Ortombina (ora a La Fenice di Venezia). Il nome è quello che mesi fa era stato fatto dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, sollevando proteste tra i consiglieri della Scala. Cosa ha spinto Sala a cambiare idea? Il Partito democratico era convinto che il primo cittadino avrebbe resistito, memore dei due sgarbi che la sinistra a Milano ha subìto proprio da Sangiuliano: la nomina di Geronimo La Russa nel cda del Piccolo Teatro e quella di Angelo Crespi come nuovo direttore del Museo di Brera. Di fronte alla proposta del nome di Ortombina almeno tre consiglieri hanno avuto da ridire: Maite Bulgari, Francesco Micheli e Nazareno Carusi hanno obiettato sul metodo adottato. Ma a tenere Sala in posizione di forza, ancora una volta, è stato il suocero Giovanni Bazoli, vero dominus del Teatro, che ha cambiato idea su chi dovesse guidare la Scala dal 2025. Per di più Ortombina non è mai stato contattato e non ha mai avuto colloqui con Sala o con altri consiglieri: cosa mai accaduta. Allo stesso tempo Palazzo Marino avrebbe aperto un canale di comunicazione anche con Regione Lombardia per una delle future nomine. Gli assist di Sala al centrodestra avrebbero un’altra contropartita, quella della presidenza dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani che ha un presidente in scadenza, il sindaco di Bari Antonio Decaro. Sala vorrebbe quel posto da cui, una volta terminato il suo mandato come sindaco, lancerebbe il suo progetto politico per federare Pd e 5 stelle. I sindaci italiani di sinistra oggi sono maggioranza, ma il consenso di quelli di destra potrebbe risultare decisivo. Il primo cittadino milanese vuole tentare per una seconda volta il salto nella politica nazionale. Il primo tentativo fu fallimentare avendo scelto, come cavallo, Luigi Di Maio. La scorsa settimana Sala avrebbe ricevuto da Nando Pagnoncelli un nuovo sondaggio sulla sua notorietà nel Paese e i dati gli sarebbero apparsi incoraggianti. Quella dei sondaggi, del resto, sta diventando una mania per Sala, tanto che i suoi detrattori sostengono che li utilizza anche per governare la città, con risultati modesti. Incurante delle critiche, ha acceso un dibattito pubblico su Instagram: tema stadio San Siro. Di sicurezza, caro affitti, traffico e buche, invece, è meglio non parlare. A spianare la strada verso l’Anci sembra esserci anche una parte di centrodestra. Non è un caso che in queste settimane proprio Decaro sia finito sotto attacco da parte di Forza Italia. Il deputato azzurro Mauro D’Attis, vicepresidente della commissione antimafia, si è spinto a dire che alcuni Comuni in Italia sono stati sciolti per molto meno, chiaro riferimento alla maxinchiesta «Codice Interno», che ha toccato anche l’amministrazione comunale barese. Decaro è in scadenza di mandato, ma il suo futuro sembra essere legato a quello del presidente di Regione, Michele Emiliano. Entrambi erano in attesa di capire se avrebbero potuto ricandidarsi per la terza volta, ma la legge sul terzo mandato è ormai naufragata, ma allo stesso tempo guardano con interesse alle elezioni europee. A quanto risulta alla Verità, Emiliano vorrebbe presentarsi, nonostante abbia smentito più volte l’intenzione di farlo. Nel caso accadesse, potrebbe lasciare la Regione proprio a Decaro (che ha già investito come successore) e ritagliarsi uno scranno a Bruxelles. Sono giochi politici che da Sud rimbalzano fino a Nord. Per arrivare alla presidenza di Anci, Sala dovrà fare attenzione anche alle ricadute della nomina di Ortombina. A quanto pare Luigi Brugnaro a Venezia non avrebbe gradito lo scippo del «suo» sovrintendente. A sua volta Dario Nardella a Firenze, risolta la grana Carlo Fuortes, dovrà affrontare il tema Daniele Gatti (ora al Maggio fiorentino) se diventerà il nuovo direttore della Scala al posto di Riccardo Chailly. Infine, Dominique Meyer ha fatto sapere che lui onorerà il contratto fino alla sua scadenza naturale, affiancando Ortombina in una fase di «coabitazione», ma è probabile che lo faccia prendendosi qualche soddisfazione e togliendosi un po’ di sassolini dalle scarpe.
Ecco #DimmiLaVerità del 4 novembre 2025. Il deputato Manlio Messina commenta la vicenda del Ponte sullo Stretto e la riforma della Giustizia.