
In un lungo procedimento per evasione fiscale a Milano, il presidente del collegio sostiene di sentirsi intimidita dalla difesa. Dopo un acceso scontro verbale tra gli avvocati dell'imputato e il magistrato, due militari sono presenti in aula in ogni udienza.C'è un processo iniziato nel 2012 per presunta evasione fiscale che ha visto la maggior parte degli indagati ormai assolti o archiviati, ma che ha lasciato un solo imputato di fronte alla giustizia, per di più con un giudice del collegio che sostiene di sentirsi intimidita dalla difesa. Durante le udienze sono sempre presenti due carabinieri anche se non si tratta di un processo per reati di sangue. È la storia di Alessandro Jelmoni, classe 1967, broker veneziano, consulente fiscale, con una lunga esperienza in Cariplo e poi in Banca Intesa International in Lussemburgo, ritrovatosi 7 anni fa in una storia a tratti kafkiana non ancora terminata. Jelmoni fu coinvolto nel 2012 in un'inchiesta che finì sulle prime pagine dei giornali per il coinvolgimento della famiglia Giacomini, nota per essere a capo di un'eccellenza italiana, tra i leader mondiali nel settore delle valvole per impianti idraulici e nei sistemi di riscaldamento e raffreddamento per l'edilizia civile. La procura di Verbania (poi parte dell'indagine fu trasferita a Milano) ipotizzò una evasione fiscale di circa 220 milioni di euro, mettendo nel mirino anche l'allora sottosegretario alla Giustizia del governo di Mario Monti, ovvero l'avvocato Andrea Zoppini (come Jelmoni, consulente dei Giacomini), che si dimise subito dall'incarico.Le accuse nei confronti di Zoppini, storico collega di Giulio Napolitano, figlio dell'ex presidente della Repubblica, Giorgio, e dei componenti della famiglia, sono finite in archiviazioni e assoluzioni sia a Verbania sia Milano. Rimasto col cerino in mano è proprio Jelmoni, che per l'accusa più grave poi caduta nel vuoto (quella di riciclaggio che sarebbe stato compiuto per conto dei Giacomini in Lussemburgo) ha trascorso 89 giorni tra il carcere di Verbania e San Vittore a Milano (oltre che sei mesi ai domiciliari) e ora si ritrova ad affrontare le accuse rimaste in piedi. Vanno dall'associazione a delinquere fino alla frode fiscale. Il motivo? La mole di carte in mano alla procura ha permesso di aprire nuovi filoni di indagine anche su fatti estranei al troncone principale dei processi. Ma c'è di più. Il presidente del collegio giudicante sostiene di sentirsi intimidita dal comportamento degli avvocati dell'imputato e due carabinieri sono presenti in aula in ogni udienza. Si tratta di un fatto inusuale per uno dei tribunali più importanti in Italia, nello stupore degli avvocati penalisti. Anche martedì scorso, 16 aprile, erano in aula nel corso dell'udienza che si sta celebrando nella prima sezione penale.Un carabiniere si posiziona all'ingresso e un altro a fianco della corte. La scena si ripete ormai da un anno. Indagando sul caso, si scopre che questa inaspettata «svolta securitaria» si è avuta in seguito a uno scontro avvenuto il 17 aprile 2018 tra la giudice presidente di collegio, Laura Cairati, e i legali dell'imputato, gli avvocati Pasquale Pantano e Giuseppe Interrante, che avevano provato a sollevare un'eccezione su una testimonianza. La presidente del collegio giudicante nega l'eccezione, gli avvocati lamentano di non aver avuto neanche la possibilità di esprimersi, insistono sull'eccezione e la giudice sbotta: «Questo presidente ha avuto davanti molti personaggi pericolosi nel corso della sua vita e non è intimorito da questi atteggiamenti. Ecco, quindi questo sia chiaro. Perché questo è chiaramente un atteggiamento intimidatorio». Gli avvocati di Jelmoni restano sbigottiti, ma lo stupore diventa ancor più grande all'udienza successiva, quando, facendo il loro ingresso in aula, i legali trovano schierati due carabinieri per proteggere il collegio giudicante dai due avvocati. Da allora non si è tenuta udienza senza le forze dell'ordine.
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.






