Se l’Ue vieterà di vendere e affittare abitazioni troppo inquinanti, i proprietari dovranno dissanguarsi pur di essere a norma. Con il risultato di far colare a picco i consumi già ridotti da inflazione e crisi: la produzione industriale ha iniziato a scendere.
Se l’Ue vieterà di vendere e affittare abitazioni troppo inquinanti, i proprietari dovranno dissanguarsi pur di essere a norma. Con il risultato di far colare a picco i consumi già ridotti da inflazione e crisi: la produzione industriale ha iniziato a scendere.Un’altra mattonata sul Pil. La proposta di una direttiva allo studio della Commissione Ue per subordinare la possibilità di vendere (e perfino di affittare) un immobile al fatto che esso appartenga a una determinata classe energetica, se passerà, avrebbe un impatto devastante sul settore e su milioni di cittadini italiani proprietari di case (già martoriati fiscalmente da Mario Monti nel 2011, quando la patrimoniale immobiliare fu quasi triplicata). E di conseguenza sui consumi e quindi anche sulla ripresa, per altro già traballante. I primi indicatori ad allungare ombre sul «boom» sono la produzione industriale di ottobre e i dati sull’export delle regioni italiane stimati dall’Istat, ma sono poco esaltanti anche i dati diffusi sempre ieri da Bankitalia che stima un aumento delle sofferenze lorde del comparto bancario e un rallentamento di crediti e depositi di imprese e famiglie. A ottobre la produzione industriale ha segnato un calo dello 0,6% rispetto a settembre. È vero che il dato resta positivo se lo si confronta con il valore di febbraio 2020, cioè dell’ultimo mese prima della pandemia e delle conseguenti misure di contenimento, ma a evitare un rallentamento più pesante è solo l’energia (+2,3%) mentre l’indice diminuisce in modo più significativo per i beni intermedi (-0,8%), i beni di consumo (-0,9%) e i beni strumentali (-1,4%). Spostando l’attenzione sull’andamento delle esportazioni delle diverse Regioni, anche qui il dato sul terzo trimestre è in peggioramento rispetto alle precedenti rilevazioni sul secondo trimestre. Non solo. Mentre si attende nei prossimi giorni la versione finale del documento Ue, con il saldo del prossimo 16 dicembre oltre 25 milioni di proprietari italiani di immobili diversi dall’abitazione principale (il 41% sono lavoratori dipendenti e pensionati) verseranno già 9,7 miliardi per l’Imu, il cui gettito complessivo annuo sarà di 19,5 miliardi. Il costo medio complessivo dell’Imu su una «seconda casa», ubicata in un capoluogo di provincia, secondo l’ultimo rapporto elaborato dalla Uil, sarà di 1.070 euro medi con punte di oltre 2.000 euro nelle grandi città. Da qualunque parte la si guardi, quindi, l’idea di Bruxelles resta storta e pericolosa. In assenza di alcuni standard, l’immobile sarebbe reso inutilizzabile sul mercato. In assenza di alcuni standard, l’immobile sarebbe reso inutilizzabile sul mercato, e alla fine i soldi li dovrebbe tirare fuori lo Stato con incentivi vari, tipo l’Ecobonus, ma lievitati e senza limitazioni. Le risorse sono limitate, la coperta è corta ed è sempre la stessa. C’è poi un problema di tempi. Con un quadro normativo strutturale «ci vorrebbero 20 anni'» per adeguare il patrimonio immobiliare italiano alle regole Ue sull’efficienza energetica, ha spiegato all’agenzia Adnkronos il responsabile del progetto ecobonus di Gabetti lab, Davide Guida. «Se facciamo un ragionamento sulle norme in atto», i requisiti che cambiano in continuazione sono «un freno per accedere ai benefici fiscali» a cui si aggiunge la difficile procedura. Inoltre, la «mancanza di materiale per rispondere al Superbonus» ha portato a un incremento dei materiali del 25%-30% circa. «Anche se c’è una quantità importante di cantieri il problema è che il mercato è rallentato dagli aspetti attuativi», osserva Guida. Morale: «Non riusciamo a stare dietro un’operazione che dovrebbe essere realizzata entro il 2030». Con l’introduzione delle regole Ue in Italia, inoltre, più di due case su tre non potrebbero essere vendute. Il patrimonio immobiliare è obsoleto, «circa il 70% degli edifici non rispetta la classe di risparmio energetico richiesta dall’Europa», aggiunge Guida. Gli fa eco l’ad di Immobiliare.it, Carlo Giordano, sottolineando come «più della metà delle case con l’introduzione della normativa sarebbe fuori regola» ma in molti casi si tratta di appartamenti e quindi per effettuare dei lavori sarebbe necessaria l’approvazione da parte di tutti i proprietari delle abitazioni all’interno dello stabile. Prendendo in considerazione solo le prime case degli italiani, l’ad ricorda che sono 34 milioni, di cui circa la metà sono state costruite prima degli anni Ottanta. Adeguare queste abitazioni alle regole Ue «sarebbe impossibile» perché sarebbe necessario «un intervento strutturale» su interi palazzi, con diversi proprietari che dovrebbero trovare un accordo. Quanto alla politica, a raccogliere l’allarme lanciato dalle categorie, a cominciare da Confedilizia, sono stati gli europarlamentari della Lega, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, il copresidente del gruppo Ecr-FdI al Parlamento europeo, Raffaele Fitto, a nome della delegazione di Fdi, e anche il presidente dei senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini. Quanto al Pd, il vicecapogruppo alla Camera Piero De Luca ieri ha detto di seguire «con grande attenzione e preoccupazione la vicenda» invocando «interventi che siano graduali, ragionevoli, e soprattutto pienamente sostenibili da un punto di vista sia economico che sociale».
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