2021-10-22
Tampone impossibile al Salone del libro: «Volevano dividermi da mio figlio malato»
Francesca Tibo (Getty Images)
Il racconto: sette ore di coda per l'esame, il dodicenne era senza documenti. Gli addetti alla madre: «Torni a casa e lasci qua lui».Un bimbo con malattie genetiche ha subito la minaccia di non poter tornare a casa con la mamma, nonostante avesse il tampone negativo, perché era privo del documento d'identità. Non è obbligatorio a 12 anni, basta la dichiarazione del genitore, eppure il volontario della Croce rossa addetto al rilascio della green card ha detto no, per il piccolo Leon non avrebbe stampato quel pezzo di carta. «Mio figlio doveva restare a Torino e io sola potevo prendere il treno e tornare a Firenze», racconta ancora turbata Francesca Tibo, di professione scrittrice. Il racconto di quanto le è capitato pochi giorni fa descrive scenari di ordinaria disumanità ai quali davvero non possiamo abituarci, in nome di una pretesa tutela della salute pubblica. La signora era attesa al Salone del libro di Torino, dove presentava una raccolta di novelle. All'ultimo momento ha pensato di portare con sé il figlio Leon, 13 anni a novembre. «Dopo due anni di scuola persa, quasi sempre in dad e senza poter andare in gita, ho creduto che per lui sarebbe stata una bella esperienza», spiega Francesca. Il ragazzino soffre di due sindromi genetiche rare, la malformazione di Chiari tipo I che provoca violenti mal di testa e che può portare a disturbi anche irreversibili di molte funzioni del sistema nervoso, e la siringomielia, un'affezione neurologica nella quale una cavità piena di liquido, o «siringa» si sviluppa all'interno del midollo spinale. Sono malattie che provocano forti dolori, non solo alla schiena ma anche agli arti, però Leon cerca di condurre una vita normale e quando può va pure in bicicletta. L'idea di accompagnare la mamma lo rendeva felice, avrebbe passato due giorni nello stand di una casa editrice e domenica mattina era in programma una visita al Museo egizio, suo grande desiderio. Francesca e Leon non sono vaccinati contro il Covid, prima di partire da Firenze venerdì mattina fanno entrambi il tampone. «Non mi sono preoccupata di prenotare i test per il rientro in qualche farmacia di Torino, perché il Salone aveva avvisato che operatori professionali e visitatori avrebbero avuto a disposizione un tendone della Croce Rossa al Lingotto, nel centro commerciale adiacente, al costo di 5 euro. Bastava mostrare il biglietto d'ingresso». Domenica mattina, dunque, prima di andare per musei, mamma e figlio si mettono in coda per il tampone. Vogliono essere tranquilli di non perdere il treno delle 15.33 per Firenze e alle 10 sono già in paziente in attesa. «Tutto procedeva con infinita lentezza, tra una registrazione e l'altra passava anche mezz'ora», racconta Francesca. «Eravamo circa un centinaio, in tre file, almeno una trentina erano lavoratori che non avevano trovato disponibilità nelle farmacie». Nessuno si allontana per andare in bagno o prendere un caffè, tutti nella speranza che all'improvviso il ritmo cambi, ma alle 13 il nervosismo diventa difficile da controllare. «Come tutta reazione è uscito dal gazebo un volontario della Croce rossa dicendo che eravamo tutti liberi di andarcene, se la procedura non era di nostro gradimento, per poi sbottare: “Non è colpa nostra, abbiamo ricevuto ordini dall'alto". Forse qualcuno voleva rendere complicate le operazioni di rilascio del pass ai non vaccinati?», si chiede la signora. Quando finalmente riesce a registrarsi con Leon, le 15 e 33 sono passate da un bel pezzo e ha dovuto dire addio al biglietto di ritorno, 83 euro buttati. Ma il girone infernale non era concluso, per i tamponi mamma e figlio devono aspettare le 17, ben sette ore dopo il loro arrivo al Lingotto. «E ancora non avevamo il nostro lasciapassare. Ci veniva chiesta la carta d'identità di Leon, non necessaria, infatti a Firenze nessuno aveva sollevato problemi, bastava il mio documento. Mio figlio l'aveva persa e comunque alla sua età non è obbligatoria». Il volontario della Croce rossa si sarebbe ostinato a rifiutare di dare il pass, arrivando a dire che «io potevo tornare a Firenze e mio figlio restarsene a Torino. Un bambino di 12 anni e con problemi fisici», tuona Francesca. La situazione si surriscalda, una famiglia interviene in difesa di mamma e ragazzino e a quel punto, dal racconto della signora, fa la sua comparsa un supervisore. «Cercava di allontanarmi da Leon, che invece è passato sotto il cordone di sicurezza e mi ha raggiunto. Si è fatto dare i documenti d'identità delle cinque persone che peroravano la mia causa e se li è messi in tasca, dicendo loro che il pass potevano sognarselo». «C'è di peggio», prende il fiato Francesca, «quel personaggio ha intimato a un settantenne di smetterla di protestare altrimenti “gli avrebbe spaccato la testa". La scena è stata ripresa con un telefonino». Troppo tardi le vittime di quell'estenuante attesa decidono di chiamare polizia e carabinieri. «Non ci avevamo pensato, volevamo solo fare il nostro tampone ed essere in regola. Potevamo ribellarci prima, siamo stati pazienti sopportando comportamenti che non fanno onore a un corpo di volontari», spiega con amarezza la scrittrice. Le forze dell'ordine hanno fatto restituire ai legittimi titolari i documenti sequestrati e imposto l'immediato rilascio dei green pass. Per Francesca e Leon c'è stato appena il tempo di correre in stazione e prendere l'ultimo treno, rimediando l'unica tariffa ormai possibile: ben 150 euro. Una giornata persa a mendicare il documento che solo il nostro Paese impone.