2024-01-26
Tajani in pressing su Netanyahu: «Due Stati»
Antonio Tajani durante la visita in Israele (Ansa)
Roma gioca di sponda con Washington e invia il vicepremier per cercare di impedire che il conflitto si allarghi. Positivi i dialoghi con Herzog e Abu Mazen. Ma da Bibi arrivano ancora segnali di chiusura. Intanto Israele sfida l’Oms: «È collusa con i jihadisti».Proteste palestinesi contro i miliziani. Gli Huthi colpiti dalle sanzioni di Usa e Londra.Lo speciale contiene due articoli.Roma gioca di sponda con Washington per convincere Benjamin Netanyahu ad accettare la soluzione dei due Stati. È questo quanto emerge dalla delicata missione, condotta ieri da Antonio Tajani in Israele. Il titolare della Farnesina ha innanzitutto incontrato il presidente israeliano, Isaac Herzog. «Sosteniamo con forza le azioni del governo israeliano contro le organizzazioni terroristiche e parallelamente vogliamo affrontare con i nostri amici israeliani la preparazione per un ritorno al confronto politico e diplomatico», ha dichiarato il vicepremier. «Dopo le operazioni militari a Gaza bisognerà individuare immediatamente un percorso politico per evitare che gli attuali scontri possano ripetersi e allargarsi», ha aggiunto, per poi proseguire: «Ma bisognerà anche avviare il percorso politico che inevitabilmente dovrà portare a una formula indirizzata alla soluzione del due popoli, due Stati». Tajani, che ha anche tenuto un discorso allo Yad Vashem, definendo la Shoa «la pagina più buia della civiltà europea», ha poi avuto un incontro con l’omologo israeliano, Israel Katz. «Con il ministro degli Esteri israeliano, Katz, abbiamo concordato di rafforzare iniziative umanitarie congiunte. L’Italia è in prima fila nell’assistenza al popolo palestinese. Pronti a curare in Italia 100 bambini di Gaza», ha twittato il capo della Farnesina. «Il ministro Tajani è un vero amico di Israele. Io e le famiglie dei rapiti gli abbiamo detto che non avevamo altra scelta che finire la nostra missione a Gaza: riportare a casa i rapiti ed eliminare Hamas», ha affermato Katz, dal canto suo. «Gli ho chiesto di collaborare con il governo libanese per ritirare Hezbollah dal Libano meridionale, altrimenti subiranno un colpo dal quale non si riprenderanno», ha aggiunto il ministro israeliano. Katz e Tajani hanno anche concordato di lavorare per «rinnovare le attività delle compagnie aeree italiane e promuovere ulteriormente la cooperazione nei settori di energia e turismo». Infine, interpellato sull’eventualità che la Corte internazionale di giustizia decreti un cessate il fuoco, il vicepremier si è detto favorevole a una tregua, «ma a patto che non sia una proposta contro Israele e che da Hamas non arrivino più razzi». Il ministro ha inoltre accusato Hamas di aver compiuto atti «quasi addirittura peggiori di quelli dei nazisti». Sempre ieri, Tajani ha avuto un meeting con Abu Mazen a Ramallah, diventando così il primo ministro degli Esteri di area Ue a incontrare il presidente dell’Anp dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. «L’obiettivo è avviare un percorso politico per arrivare a un vero Stato palestinese che possa vivere in pace con lo Stato israeliano, rispettando le esigenze di sicurezza di Israele», ha detto il capo della Farnesina. «La mia visita qui», ha proseguito, «è una missione di vicinanza e di solidarietà all’Anp». Secondo indiscrezioni trapelate, Abu Mazen avrebbe chiesto il coinvolgimento dell’Italia nella ricostruzione di Gaza. Insomma, è evidente che l’esecutivo italiano si sta muovendo in coordinamento con Washington. Gli Usa stanno infatti da tempo lavorando per una soluzione a due Stati e per far sì che, dopo lo sradicamento di Hamas dalla Striscia, Gaza sia posta sotto un governo guidato dall’Anp. È questa la linea portata fondamentalmente avanti finora dal segretario di Stato americano, Tony Blinken: una linea che non è tuttavia gradita da Netanyahu. Sabato scorso, il premier israeliano è infatti tornato a prendere le distanze dall’amministrazione Biden. «Non scenderò a compromessi sul pieno controllo della sicurezza israeliana su tutto il territorio a Ovest della Giordania. E questo è contrario a uno Stato palestinese», ha dichiarato su X. È quindi in quest’ottica che Washington e Roma stanno esercitando una moral suasion su Gerusalemme. Trovare la quadra non è facile. Da una parte, Usa e Ue puntano a evitare sia un allargamento del conflitto sia un deterioramento delle relazioni con i Paesi arabi. Dall’altra, pressato soprattutto dall’ala destra del suo governo, Netanyahu teme che la soluzione dei due Stati possa rappresentare una minaccia alla sicurezza di Israele. Nel frattempo, il Washington Post ha rivelato che, nei prossimi giorni, il direttore della Cia, William Burns, si recherà in Europa per incontrare il capo del Mossad, David Barnea, e quello dei servizi egiziani, Abbas Kamel: i tre dovrebbero tenere colloqui con il premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani. In particolare, stando alla testata Usa, sarebbe in ballo un «piano ambizioso tra Hamas e Israele che comporterebbe il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti e la più lunga cessazione delle ostilità dall’inizio della guerra». Nel frattempo, ieri Israele ha accusato l’Oms di «collusione» con Hamas, in quanto avrebbe ignorato le prove dell’«uso terroristico» delle strutture mediche a Gaza. Infine, non si placano le fibrillazioni tra Qatar e Israele, dopo che è stato fatto trapelare un audio in cui Netanyahu sembra criticare il ruolo di Doha nella mediazione. Dall’altra parte, una delegazione degli Huthi è stata ricevuta ieri da Mosca.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tajani-netanyahu-diplomazia-2667092562.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="spari-sulla-folla-in-attesa-degli-aiuti-hamas-accusa-gerusalemme-nega" data-post-id="2667092562" data-published-at="1706256738" data-use-pagination="False"> Spari sulla folla in attesa degli aiuti. Hamas accusa, Gerusalemme nega Ieri, a Khan Yunis, si è svolta una marcia di protesta contro la continuazione della guerra, come riportato dalla televisione pubblica israeliana Kan, che ha trasmesso alcune immagini dell’evento. Circa un centinaio di manifestanti con bandiere bianche ha scandito lo slogan «Vogliamo la pace». Alcuni partecipanti hanno mostrato tutta la loro frustrazione esibendo taniche d’acqua vuote. Martedì, a Deir el-Ballah e a Rafah, si sono tenute altre due manifestazioni. In una di esse, è stata avanzata la richiesta ad Hamas «di risolvere i problemi da loro creati», mentre altri manifestanti hanno definito i miliziani «dei pescecani di guerra». Poi nel video si vede una folla di palestinesi che chiede al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e al leader di Hamas, Yahya Sinwar, di porre fine alla guerra a Gaza: «Netanyahu e Sinwar, vogliamo un cessate il fuoco. Basta con la distruzione!», grida la folla composta principalmente da uomini. Il fatto che dei manifestanti, oltretutto di sesso maschile, chiedano anche a Sinwar di fermare la guerra è il primo vero segnale del crescente malcontento della popolazione contro la leadership di Hamas che ha trascinato un popolo nella disperazione. Netanyahu, durante la sua visita alle truppe israeliane al confine con la Striscia di Gaza, ha riconfermato il suo impegno per la vittoria totale. «Eliminazione di Hamas e il ritorno di tutti i nostri prigionieri. Non abbiamo rinunciato a questo obiettivo», ha dichiarato Netanyahu, come riportato da The Times of Israel. Il premier ha poi assicurato: «Approfondiremo le nostre radici nella nostra terra e sradicheremo i nostri nemici. Noi saremo qui, loro non ci saranno». Il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, invece ha affermato: «Il fuoco israeliano ha colpito una folla di persone in attesa di aiuti umanitari, causando diverse vittime». Dall’altra parte, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno dichiarato «di essere al corrente dei rapporti e sta esaminando la situazione», sottolineando che i suoi attacchi non mirano intenzionalmente ai civili. In attesa di conoscere la reale portata dei fatti (si parla di 20 morti), va ricordato che in passato il ministero della Sanità di Gaza (secondo il quale il bilancio dei morti a Gaza sarebbe arrivato a quota 25.900) ha inventato attacchi dell’Idf: vedi il missile sull’ospedale al-Shifa lanciato per sbaglio dalla jihad islamica, così come ha sempre gonfiato le cifre iniziali dei decessi prima di aggiornarle con numeri più accurati. Inoltre, il fatto che oggi potrebbe esserci il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia sulle accuse sudafricane secondo cui «la guerra di Gaza equivale a un genocidio dei palestinesi», potrebbe far pensare all’ennesima montatura messa in atto dai jihadisti palestinesi che hanno nell’emittente del Qatar al-Jazeera, «l’uomo in più». La Resistenza islamica in Iraq, organizzazione che riunisce forze armate filoiraniane, ha rivendicato ieri sull’account Telegram degli Hezbollah, di aver condotto un attacco con droni contro il porto israeliano di Ashdod, situato tra la Striscia di Gaza e Tel Aviv. L’Idf ha reso noto di aver condotto una serie di attacchi contro obiettivi di Hezbollah nel Sud del Libano, compresa una pista di atterraggio utilizzata dal gruppo terroristico nella regione montuosa di Qalaat Jabbour. Secondo il ministro israeliano della Difesa, Yoav Gallant, che ha reso noto che più di 100 agenti di Hamas sono stati catturati dalle truppe israeliane nella Striscia di Gaza negli ultimi giorni, è l’Iran il responsabile della costruzione della pista utilizzata per lanciare droni. Infine, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno imposto nuove sanzioni contro i ribelli sciiti filoiraniani yemeniti Huthi. Lo afferma il Dipartimento di Stato, sottolineando che nel mirino sono finiti quattro militari del gruppo che continua a minacciare con i missili la navigazione nel Mar Rosso.
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