2024-01-04
Palloni spia cinesi nei cieli di Taiwan: tensione nell’isola vicina alle elezioni
Una vittoria conservatrice avvicinerebbe Taipei a Xi. A spese degli Usa, ma pure dell’Italia, da poco uscita dalla Via della seta.Dalla Casa Bianca al Parlamento europeo: il 2024 sarà un anno costellato di appuntamenti elettorali cruciali. Tra questi, non vanno affatto sottovalutate le presidenziali che si terranno a Taiwan il prossimo 13 gennaio. A essere favorito è Lai Ching-te, vicepresidente della stessa Taiwan e candidato del Partito progressista democratico: schieramento attualmente al potere con Tsai Ing-wen, la quale - dopo due mandati presidenziali - non può essere rieletta. In particolare, il Partito progressista democratico trae beneficio dal fatto che i due partiti di opposizione, il Kuomintang e il Partito popolare di Taiwan, corrono divisi, non essendo riusciti a esprimere una candidatura unitaria. Ovviamente la questione ha dei risvolti di carattere geopolitico. Mentre il Partito progressista democratico è fautore di una linea severa nei confronti di Pechino, l’opposizione è, di contro, caratterizzata da sentimenti di distensione verso la Repubblica popolare cinese. Se il primo accusa la seconda di essere filocinese, la seconda accusa il primo di voler dichiarare l’indipendenza formale di Taiwan, aumentando così la tensione con il Dragone. Si tratta di una partita elettorale, quella taiwanese, a cui il Partito comunista cinese (Pcc) sta guardando con estrema attenzione, non rinunciando a esercitare delle vere e proprie pressioni sul voto. Nel suo discorso di fine anno, Xi Jinping ha non a caso detto che la Cina «sarà sicuramente riunificata». «Tutti i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan dovrebbero essere legati da un obiettivo comune e condividere la gloria del rinnovamento della nazione cinese», ha aggiunto. Non solo. Ieri, il ministero della Difesa di Taipei ha reso noto di aver rilevato quattro palloni aerostatici cinesi che sorvolavano l’isola nei pressi di una base aerea. Senza infine dimenticare che la pressione militare del Pcc su Taiwan è cresciuta soprattutto a partire dall’estate del 2022. Non è d’altronde un mistero che Pechino rivendichi la sovranità sull’isola: una rivendicazione tuttavia dai fondamenti traballanti. Taiwan non ha mai riconosciuto né è mai stata sotto il controllo della Repubblica popolare, istituita nel 1949 da Mao Zedong. La stessa risoluzione Onu del 1971, che assegnò il seggio al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla Repubblica popolare, non conferisce a quest’ultima alcuna autorità sull’isola: un fatto, questo, riconosciuto anche dall’allora primo ministro cinese, Zhou Enlai. Tuttavia, al di là del diritto internazionale, qui la questione riguarda i rapporti di forza. E Pechino -questo è un dato di fatto - ha rialzato la testa, approfittando della debole capacità di deterrenza mostrata da Joe Biden: un problema, questo, innescatosi soprattutto a seguito della disastrosa crisi afgana dell’agosto 2021. Il punto è duplice. Se Taiwan si spostasse nell’orbita di Pechino, a farne le spese sarebbe l’influenza statunitense sull’Indo-Pacifico. In secondo luogo, l’isola è tra i principali produttori al mondo di chip: un suo avvicinamento alla Repubblica popolare rischierebbe di avvantaggiare il Dragone sul fronte dell’alta tecnologia. Non a caso, il colosso taiwanese dei semiconduttori, Tsmc, è entrato nella campagna elettorale in corso. Lunedì, il candidato alla vicepresidenza del Kuomintang, Jaw Shaw-kong, ha detto che «se Taiwan non ha un ambiente pacifico, nessuno oserà investire», accusando inoltre il Partito progressista democratico di fomentare tensioni con Pechino. «Tsmc è l’orgoglio di Taiwan e non dovrebbe essere utilizzata per la competizione politica», ha replicato il candidato alla vicepresidenza del Partito progressista democratico, Hsiao Bi-khim. Ricordiamo che il colosso tecnologico sta realizzando impianti in Giappone e Arizona, mentre ne sta progettando un altro in Germania. Per Washington, è importante che non cada nelle mani del Pcc. D’altronde, se il 13 gennaio dovesse vincere il Partito progressista democratico, si tratterebbe del terzo schiaffo politico subito da Pechino nell’arco di appena un mese: ricordiamo infatti che, a dicembre, l’Italia è uscita dalla Nuova via della seta e che il nuovo presidente argentino, Javier Milei, ha interrotto il processo di adesione di Buenos Aires ai Brics (un blocco, questo, che, nonostante la presenza dell’India, è in gran parte soggetto all’influenza del Dragone). E attenzione: il destino di Taiwan è importante anche per l’Italia, soprattutto dopo che - come abbiamo accennato - Roma ha deciso di non rinnovare il controverso memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta. Già immediatamente prima delle ultime elezioni politiche, Giorgia Meloni si era nettamente schierata a favore di Taipei, suscitando l’irritazione dell’ambasciata cinese in Italia. Inoltre, lo scorso luglio, il presidente del Consiglio ha emesso un comunicato congiunto con Biden, in cui si invocava il «mantenimento della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan». A giugno il vicepresidente della commissione Esteri della Camera, Paolo Formentini, ha anche avuto un incontro a Milano con il ministro degli Esteri taiwanese, Joseph Wu, mentre, sempre nel capoluogo lombardo, Taipei ha aperto un proprio ufficio di rappresentanza in ottobre. Lo stesso ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, si è interessato ai chip taiwanesi l’anno scorso, incontrando i vertici di Memc. Insieme a Stati Uniti, India e Polonia, Taiwan potrebbe rappresentare una sponda per l’Italia davanti a eventuali ritorsioni cinesi, innescate dall’addio alla Nuova via della seta.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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