Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
Youtrend, società di rilevazioni delle tendenze politiche assai vicina alla sinistra, ha messo a confronto i due schieramentinelle Regioni andate al voto e il risultato è che Fdi, Lega e Forza Italia stanno al 46,8%, mentre l’opposizione sta al 49,7%. Dunque, i progressisti sono avanti e potrebbero vincere al prossimo giro? Non proprio, perché le sei Regioni in cui si sono svolte le elezioni non rappresentano tutta l’Italia, ma solo una parte di essa, quella più spostata a sinistra. Tuttavia, per capire come è andata domenica e lunedì scorsi basta guardare cosa presero le due coalizioni alle ultime politiche. Il centrodestra aveva il 42,7%, il centrosinistra il 51,4%. In pratica, se tre anni fa il centrosinistra era avanti di 8,7 punti nelle sei Regioni, oggi il vantaggio si è ridotto al 2,9%. Altro che vittoria. Macché fine della luna di miele tra centrodestra e italiani. Ma a prescindere da numeri, flussi elettorali e formule politiche, nel 2025 sono andati alle urne gli abitanti di sei Regioni. Tre di queste erano guidate dal Pd, mentre le altre tre erano governate da un leghista, da un esponente di Fratelli d’Italia e da uno di Forza Italia. Alla fine, tre sono rimaste a sinistra, tre sono restate a destra. A un certo punto, con Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, Schlein aveva pensato di poter riconquistare le Marche, battendo il pupillo di Meloni. Ma nonostante i sondaggi tarocchi fatti circolare alla vigilia del voto nella speranza di influenzare il risultato, in Regione è stato confermato Francesco Acquaroli. In Veneto, prima c’era un leghista di lungo corso come Luca Zaia e ora c’è un giovane leghista come Alberto Stefani. E in Calabria Roberto Occhiuto di Forza Italia è succeduto a Roberto Occhiuto. Insomma, in conclusione pari e patta: tre a tre, come prima. E però un cambiamento si registra in una delle tre Regioni governate dalla sinistra: in Campania, dove prima governava Vincenzo De Luca, ovvero un governatore del Pd, adesso c’è Roberto Fico, ex presidente della Camera e grillino della prima ora. In altre parole, Giuseppe Conte ha guadagnato un presidente di Regione ed Elly Schlein lo ha perso. Volendo sintetizzare, la coalizione di centrosinistra è un po’ più di sinistra di prima e un po’ meno di centro, non proprio una buona notizia per quanti sognano di rifondare una democrazia cristiana in formato terza Repubblica. Il paradosso della vittoria di Fico però è che a portarlo al successo sono stati soprattutto i voti del Pd, non certo quelli del Movimento 5 stelle, che con le regionali ha ottenuto uno dei peggiori risultati di sempre, perdendo anche in Calabria, dove pure aveva schierato il papà del reddito di cittadinanza (Pasquale Tridico). Un’ultima osservazione su un fattore che evidenzia le contraddizioni a sinistra è il risultato di Puglia e Toscana, dove ha vinto l’ala socialista del partito democratico, cioè quella che si contrappone all’attuale segretaria. Dunque, per andare al sodo: dopo il voto gli equilibri nel centrodestra restano immutati, mentre nel centrosinistra in Campania si volta pagina con un grillino e nelle altre due Regioni vince la linea che contrasta con quella di Schlein. Detta in poche parole, la vittoria di cui si parla in questi giorni rischia di diventare un problema, perché tenere insieme gli opposti, senza che né Giuseppe Conte né l’ala riformista che ha trionfato a Firenze e Bari riconoscano la leadership di Schlein, alla lunga può trasformare il campo largo in un campo minato.
- Fico incassa il successo. Conte: «A destra non saltano più». Schlein sogna: «Partita delle prossime politiche apertissima».
- In Puglia Decaro vicino al 65%: «Grazie agli avversari, si può far politica con rispetto».
Lo speciale contiene due articoli.
Roberto Fico è il nuovo Presidente della Regione Campania. L’ex presidente M5s della Camera, candidato del centrosinistra, batte di una ventina di punti percentuali (oltre il 61% contro il 33%) il candidato del centrodestra, Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri e esponente di Fratelli d’Italia. Affluenza ai minimi storici: si chiude al 44,06%, con un calo di 11 punti rispetto al 2020, quando andò alle urne il 55,52% degli elettori campani. Una vittoria più che netta, quella di Fico, ma nulla a che vedere con quanto capitò cinque anni fa, quando Vincenzo De Luca vinse con quasi il 70% dei voti e senza il M5s in coalizione (la candidata a presidente pentastellata, Valeria Ciarambino, poi passata in maggioranza e stavolta candidata in una delle liste a sostegno di De Luca, prese il 7,5%), mentre il candidato di centrodestra, Stefano Caldoro, si fermò al 20%. Altri tempi, altra storia, certo: il Covid aveva trasformato De Luca in una star internazionale. I voti però vanno analizzati per bene, e quindi il centrosinistra ha comunque lasciato per strada in cinque anni ben 20 punti percentuali. La sconfitta di Cirielli per il centrodestra brucia, inutile negarlo, anche se le voci di rimonta erano state messe in giro più per motivare l’elettorato che per la reale speranza di vincere. Troppo forti le liste del centrosinistra, dal Pd di De Luca junior a «A Testa Alta» di De Luca senior, passando per renziani, socialisti, mastelliani, naturalmente il M5s e altre formazioni tutte competitive, con il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi che ha dato fondo a tutte le sue energie per sostenere Fico. Dall’altro lato, a tenere botta, sono Fdi e Forza Italia: la Lega storicamente in Campania e soprattutto a Napoli va male, mentre le altre liste a sostegno di Cirielli non erano competitive. Il crollo dell’affluenza ha favorito quindi il voto organizzato, nel quale in Campania la fa da padrona la sinistra. Paradossale poi che Elly Schlein sia corsa a Napoli a intestarsi la vittoria di Fico: il neopresidente ha vinto solo e soltanto grazie al sostegno dei De Luca’s, simbolo di quei «cacicchi» che la segretaria dem aveva giurato di voler estromettere dal partito. Intenzione evaporata dopo poche settimane: la Schlein è andata a Canossa, anzi a Salerno, ha finto di dimenticare gli insulti che Vincenzo De Luca le aveva rivolto e ha siglato la pace, anzi la resa, cedendo a tutti i desiderata del presidente uscente.
«La nostra coalizione», commenta Fico, «da domani (oggi, ndr) si dovrà mettere al lavoro per governare al meglio la Regione Campania, lo faremo con le migliori competenze, ci sarà una grande umiltà nell’ascoltare tutte le posizioni e una grande ambizione nel costruire sempre più una Campania migliore. Abbiamo lavorato senza mai essere contro, ma sempre cercando di costruire.
Questo è un dato di fatto di questa campagna elettorale, non abbiamo risposto a offese e insulti costanti. Da oggi io sarò il presidente di tutti i cittadini campani, chi ci ha votato e chi ha votato altri. Tutti i territori contano e tutte le persone contano».
Sprizza felicità, come ovvio, Giuseppe Conte: «Il nostro Roberto Fico», scrive su Facebook il presidente del M5s, «è il nuovo presidente della Campania. Non saltellano più. Abbiamo vinto ascoltando i bisogni delle persone, delle famiglie in difficoltà, dei lavoratori, delle imprese. Ha perso chi di fronte alle difficoltà degli italiani saltella e oggi cade rovinosamente. Fico ha battuto sonoramente un candidato di Fratelli d’Italia, un esponente del governo Meloni, senza mischiarsi a una lotta nel fango».
Soddisfatta anche la Schlein: «Giorgia Meloni stasera ha ben poco da festeggiare e da saltare, questo è il governo più antimeridionalista della storia repubblicana, ci batteremo contro l’autonomia differenziata. Voglio ringraziare chi ha lavorato in questi anni per portare risultati importanti perché non partivamo da zero ma da uno sforzo significativo, quindi voglio ringraziare anche la giunta uscente, il presidente DeLuca. L’alternativa c’è ed è competitiva, il riscatto parte dal Sud e ci porterà a vincere insieme, la partita delle prossime politiche è apertissima. Uniti si vince, il margine di Fico e Decaro dimostra che uniti si stravince, e anche dove non vinciamo, come in Veneto raddoppiamo i risultati. Gli elettori premiano lo sforzo unitario».
All’insegna del fair play, pur scottato dalla delusione, la dichiarazione di Edmondo Cirielli: «L’unico dato sicuro», argomenta Cirielli, «è che la coalizione uscente ha vinto le elezioni e che Fico sarà il nuovo presidente della Regione. Amando la mia terra non posso che augurare di cuore al futuro presidente buon lavoro». Uno sguardo alle liste, ricordando che quando andiamo in stampa i dati sono ancora provvisori. Secondo i dati parziali del ministero dell’Interno, il primo partito è il Pd con il 19,2%. Nel centrosinistra, subito dopo c’è il M5s con il 10,37%, A testa Alta al 7,8 poi la lista Fico al 5,5%, Casa Riformista al 6,7% e Avs al 4,4%. Nel centrodestra lotta aperta per la prima posizione: Fi si attestava al 10,33%, Fdi all’11,2%, la Lega al 5,1%, ma i risultati definitivi potrebbero modificare alcune posizioni.
Decaro esulta e nega le mire sul Pd. Avs sul filo per entrare in Consiglio
Nessun leader per festeggiare a caldo la vittoria, scontata, del candidato del centrosinistra Antonio Decaro che è il nuovo governatore della Puglia con il 64,6% quasi doppiando il candidato del centrodestra Luigi Lobuono al 34,4%. Crollata l’affluenza: il dato definitivo al 41,8% è il più basso di sempre, ultimo in Italia dietro a Campania e Veneto. Boom di voti per Decaro, e per i candidati delle sue liste, che ha superato anche il suo predecessore Emiliano e che ha subito chiarito, a chi gli chiedeva se il Nazareno sarà la prossima sfida: «Il Pd ha già un segretario che si chiama Elly Schlein, io ora sarò il presidente della Regione Puglia, il presidente dei pugliesi», aggiungendo: «È un risultato elettorale straordinario, oltre ogni aspettativa, sento il peso però di questo risultato quindi da domani devo mettermi a lavorare per meritarmi la fiducia di chi mi ha votato e recuperare quella di chi non è andato a votare. Il mio primo atto sarà occuparmi delle liste d’attesa. Attuerò una leale collaborazione con il governo». Dedicando la vittoria alla figlia Chiara ha poi ringraziato gli altri candidati, a cominciare da Lobuono «per il garbo e il rispetto».
Decaro, ingegnere 55 anni, che ha iniziato la sua carriera da assessore tecnico, a Bari, ha ricoperto più cariche, compresa la presidenza dell’Anci, fino ad europarlamentare (recordman di preferenze con 498.395 voti), durante la campagna elettorale non ha mai voluto alcun leader a sostenerlo pur avendo riunito il campo largo, da Iv ad Azione. E nessun leader è arrivato per festeggiare il neogovernatore, che prenderà il posto di Michele Emiliano dopo 10 anni, dopo i precedenti 10 di Nichi Vendola.
Congratulazioni al vincitore dal premier Giorgia Meloni che si augura «possa svolgere al meglio il suo mandato, nell’interesse dei cittadini che andrà a rappresentare. Un ringraziamento a Luigi Lobuono, a tutti i candidati e a tutti gli uomini e le donne del centrodestra che si sono impegnati in questa tornata elettorale».
Un emozionato Emiliano ha puntualizzato: «Il nostro è stato buon governo. Abbiamo cambiato l’immagine stessa della regione. Decaro ha vissuto questo ventennio meraviglioso ed è l’incarnazione di tutto ciò che vogliamo fare per il futuro. La Puglia è la speranza dell’Italia intera. Ovviamente cambiano le persone. Mi pare che anche il Pd stia andando forte. Perché il Pd è essenziale per governare la Regione. Senza il Pd per me sarebbe stato difficile avere quella tranquillità che solo un grande partito pronto a vincere le politiche del 2027 ti può dare». E ha voluto sottolineare che Elly Schlein è andata in Campania e non in Puglia per «dire agli alleati del M5s che noi diamo loro grande importanza».
Ha ammesso la sconfitta, l’imprenditore Lobuono, ex presidente della Fiera del Levante, definito «un galantuomo» dal competitor, pur sottolineando una campagna elettorale in salita: «Complimenti a Decaro. Ora siamo disponibili nei suoi confronti a discutere con lui in maniera costruttiva e corretta nel massimo interesse dei pugliesi. L’unica cosa che mi spiace molto è che quasi il 60% degli elettori non è andato alle urne, dato preoccupante per la tenuta democratica». Nel confronto tra i partiti, mentre andiamo in stampa, il Pd si conferma primo partito con il 25,8%, dietro Fdi al 18,3%. Poi la lista «Decaro presidente» (12,8%), «Per la Puglia con Decaro» (7%) e «Avanti popolari con Decaro presidente» (4,2%). Il M5s sarebbe il terzo partito della larga coalizione, con il 7,4%. Nel centrodestra, Forza Italia è al 9% dietro il Carroccio al 7,7%. In Avs, il partito di Fratoianni dato al 4,2%, restano cauti in attesa della conferma del quorum per entrare in consiglio regionale.
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro dell’islamo-socialismo. Da New York a Birmingham, dalle periferie francesi alle piazze italiane, cresce ovunque la sinistra di Allah, l’asse fra gli imam dei salotti buoni e quelli delle moschee, avanti popolo del Corano, bandiera di Maometto la trionferà. Il segno più evidente di questa avanzata inarrestabile è la vittoria del socialista musulmano Zohran Mamdani nella città delle Torri Gemelle: qui, dove ventiquattro anni fa partì la lotta contro la minaccia islamica, ora si celebra il passo, forse definitivo, verso la resa dell’Occidente. E la sinistra mondiale, ovviamente, festeggia garrula.
Ma li sentite? Il Pd è corso a celebrare la vittoria a Brooklyn, esattamente come ieri celebrava quelle a Madrid, Londra e Rio de Janeiro (il Papa straniero è una nota pomata elettorale che lenisce il dolore per le italiche batoste). E non s’accorge di quello che sta avvenendo. O forse se ne accorge e pensa di sfruttarlo: se Parigi val bene una messa, s’illudono, Roma non può valere una Mecca? Non è da ora, per altro, che la sinistra strizza l’occhio agli ayatollah: Jean-Paul Sartre, idolo di molti degli attuali campioni dell’internazionale islamo-socialista, si era iscritto al comitato di sostegno di Khomeini e inneggiava ai pasdaran. C’è una differenza, però: allora sotto attacco c’era lo scià. Oggi, invece, sotto attacco ci sono le nostre libertà.
Guardate il video che hanno diffuso ieri gli islamici di Birmingham. Ci sono alcuni di loro vestiti di nero e incappucciati che tappezzano la città di bandiere e volantini. Musica araba di sottofondo, gesti di dominio, messaggio chiaro: qui comandiamo noi. L’occasione è stata la partita di Europa League Aston Villa-Maccabi Tel Aviv: le autorità inglesi hanno vietato ai tifosi israeliani di seguire la loro squadra nella trasferta inglese. Ma ai musulmani di Birmingham ciò non è bastato. Hanno voluto mostrare i muscoli, come ha notato sui social il giornalista Leonardo Panetta, «forti dell’abbraccio caloroso del mondo progressista». A Birmingham i musulmani rappresentano il 30%o della popolazione. Voti che fanno gola all’internazionale islamo-socialista. Voti che fanno vincere le elezioni. Proprio come è successo a New York.
È l’inevitabile e pericolosa conclusione di anni di politiche suicide. Pensateci: la sinistra ha aperto le porte all’immigrazione incontrollata, ha favorito la distruzione delle nostre radici cristiane, ha permesso che la laicizzazione della società lasciasse il passo alla sua progressiva islamizzazione. Questo è il risultato: sono state abbattute una dopo l’altra le statue della Madonna ma proprio a Birmingham due anni fa è stata innalzata una statua alla donna con il velo. Ci sono intere zone della nostra Europa dove, con il silenzio complice dei profeti dell’accoglienza e dell’integrazione, si applica la sharia. L’altra settimana a Sesto San Giovanni, non a Teheran, una donna è stata aggredita perché non portava il velo. Nessuno ha protestato. L’Europa vuole sostituire il Natale con la festa d’inverno ma intanto, nelle scuole, si festeggia il Ramadan. Se una maestra fa dire un’Ave Maria viene sanzionata, se i bambini vengono portati in moschea e costretti a inginocchiarsi verso La Mecca tutti applaudono. Ovvio, no? I voti degli islamici fanno gola.
Già: con i voti degli islamici si vince, lo ha dimostrato il socialista Mamdani a New York, prima di lui il laburista Sadiq Khan a Londra. In Francia la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon ha sfondato elettoralmente nelle banlieu proprio sfruttando imam, moschee e persino i Fratelli musulmani. Quest’estate in Gran Bretagna Jeremy Corbyn ha lanciato insieme con Zarah Sultana il partito islamista-marxista. E in Italia la sinistra radicale di Avs strizza l’occhio a Mohammad Hannoun, leader dei palestinesi, già finito nell’elenco Usa dei terroristi, per provare a trasformare in voti le piazze pro Pal. Il risultato elettorale nella Grande mela ridà fiato a tutti loro: ora e sempre Resistenza, ma anche un po’ di jihad. Stamattina mi son svegliato e ho trovato il muezzin.
Ma stanno giocando con il fuoco. Quello che sta avvenendo, infatti, è chiaro: la conquista dolce dell’Europa da parte dell’islam è a un punto di svolta. Che passa proprio per la via istituzionale. Quando gli islamici provarono a conquistare l’Europa con le armi, furono sempre sconfitti: Poitiers 732, Lepanto 1571, Vienna 1683… Ora, invece, usano le armi della demografia e della democrazia, passando per i canali istituzionali, e noi ci inchiniamo e addirittura festeggiamo trulli trulli, come fa la sinistra. Michel Houellebecq l’aveva scritto, ora si sta avverando. Ogni giorno arriva un segnale preoccupante, anche se molti non lo vogliono vedere. Al ministero degli Interni inglese c’è una laburista che dice: «È l’islam a guidare le mie azioni». In Italia si sono già fatte (a Monfalcone) le prime prove tecniche di partito islamico. A New York viene eletto il primo sindaco islamico. E a Birmingham gli islamici fanno capire che vogliono comandare loro.
Tra non molto, temo, sarà così evidente che ce ne accorgeremo tutti. Ma allora sarà troppo tardi.
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro dell’islamo-socialismo. Da New York a Birmingham, dalle periferie francesi alle piazze italiane, cresce ovunque la sinistra di Allah, l’asse fra gli imam dei salotti buoni e quelli delle moschee, avanti popolo del Corano, bandiera di Maometto la trionferà. Il segno più evidente di questa avanzata inarrestabile è la vittoria del socialista musulmano Zohran Mamdani nella città delle Torri Gemelle: qui, dove ventiquattro anni fa partì la lotta contro la minaccia islamica, ora si celebra il passo, forse definitivo, verso la resa dell’Occidente. E la sinistra mondiale, ovviamente, festeggia garrula.
Ma li sentite? Il Pd è corso a celebrare la vittoria a Brooklyn, esattamente come ieri celebrava quelle a Madrid, Londra e Rio de Janeiro (il Papa straniero è una nota pomata elettorale che lenisce il dolore per le italiche batoste). E non s’accorge di quello che sta avvenendo. O forse se ne accorge e pensa di sfruttarlo: se Parigi val bene una messa, s’illudono, Roma non può valere una Mecca? Non è da ora, per altro, che la sinistra strizza l’occhio agli ayatollah: Jean-Paul Sartre, idolo di molti degli attuali campioni dell’internazionale islamo-socialista, si era iscritto al comitato di sostegno di Khomeini e inneggiava ai pasdaran. C’è una differenza, però: allora sotto attacco c’era lo scià. Oggi, invece, sotto attacco ci sono le nostre libertà.
Guardate il video che hanno diffuso ieri gli islamici di Birmingham. Ci sono alcuni di loro vestiti di nero e incappucciati che tappezzano la città di bandiere e volantini. Musica araba di sottofondo, gesti di dominio, messaggio chiaro: qui comandiamo noi. L’occasione è stata la partita di Europa League Aston Villa-Maccabi Tel Aviv: le autorità inglesi hanno vietato ai tifosi israeliani di seguire la loro squadra nella trasferta inglese. Ma ai musulmani di Birmingham ciò non è bastato. Hanno voluto mostrare i muscoli, come ha notato sui social il giornalista Leonardo Panetta, «forti dell’abbraccio caloroso del mondo progressista». A Birmingham i musulmani rappresentano il 30%o della popolazione. Voti che fanno gola all’internazionale islamo-socialista. Voti che fanno vincere le elezioni. Proprio come è successo a New York.
È l’inevitabile e pericolosa conclusione di anni di politiche suicide. Pensateci: la sinistra ha aperto le porte all’immigrazione incontrollata, ha favorito la distruzione delle nostre radici cristiane, ha permesso che la laicizzazione della società lasciasse il passo alla sua progressiva islamizzazione. Questo è il risultato: sono state abbattute una dopo l’altra le statue della Madonna ma proprio a Birmingham due anni fa è stata innalzata una statua alla donna con il velo. Ci sono intere zone della nostra Europa dove, con il silenzio complice dei profeti dell’accoglienza e dell’integrazione, si applica la sharia. L’altra settimana a Sesto San Giovanni, non a Teheran, una donna è stata aggredita perché non portava il velo. Nessuno ha protestato. L’Europa vuole sostituire il Natale con la festa d’inverno ma intanto, nelle scuole, si festeggia il Ramadan. Se una maestra fa dire un’Ave Maria viene sanzionata, se i bambini vengono portati in moschea e costretti a inginocchiarsi verso La Mecca tutti applaudono. Ovvio, no? I voti degli islamici fanno gola.
Già: con i voti degli islamici si vince, lo ha dimostrato il socialista Mamdani a New York, prima di lui il laburista Sadiq Khan a Londra. In Francia la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon ha sfondato elettoralmente nelle banlieu proprio sfruttando imam, moschee e persino i Fratelli musulmani. Quest’estate in Gran Bretagna Jeremy Corbyn ha lanciato insieme con Zarah Sultana il partito islamista-marxista. E in Italia la sinistra radicale di Avs strizza l’occhio a Mohammad Hannoun, leader dei palestinesi, già finito nell’elenco Usa dei terroristi, per provare a trasformare in voti le piazze pro Pal. Il risultato elettorale nella Grande mela ridà fiato a tutti loro: ora e sempre Resistenza, ma anche un po’ di jihad. Stamattina mi son svegliato e ho trovato il muezzin.
Ma stanno giocando con il fuoco. Quello che sta avvenendo, infatti, è chiaro: la conquista dolce dell’Europa da parte dell’islam è a un punto di svolta. Che passa proprio per la via istituzionale. Quando gli islamici provarono a conquistare l’Europa con le armi, furono sempre sconfitti: Poitiers 732, Lepanto 1571, Vienna 1683… Ora, invece, usano le armi della demografia e della democrazia, passando per i canali istituzionali, e noi ci inchiniamo e addirittura festeggiamo trulli trulli, come fa la sinistra. Michel Houellebecq l’aveva scritto, ora si sta avverando. Ogni giorno arriva un segnale preoccupante, anche se molti non lo vogliono vedere. Al ministero degli Interni inglese c’è una laburista che dice: «È l’islam a guidare le mie azioni». In Italia si sono già fatte (a Monfalcone) le prime prove tecniche di partito islamico. A New York viene eletto il primo sindaco islamico. E a Birmingham gli islamici fanno capire che vogliono comandare loro.
Tra non molto, temo, sarà così evidente che ce ne accorgeremo tutti. Ma allora sarà troppo tardi.





