Il lungo periodo di lockdown, durato ben 69 giorni, entrerà presto nei manuali di storia. Con la chiusura totale del Paese agli italiani sono stati imposti sacrifici e rinunce. Però non proprio tutti sono stati colpiti dalle restrizioni, specialmente sul piano economico. È il 12 maggio 2020 quando il presidente della Regione Toscana in quota Pd, Enrico Rossi, presenta domanda (la 5666/591) per ottenere la liquidazione anticipata sull'indennità di fine mandato. Richiesta senza dubbio lecita, ma con calendario alla mano poco appropriata, per usare un eufemismo. Con una velocità sorprendente, anzi eccezionale, per un apparato burocratico italiano, il giorno seguente dagli uffici regionali determinano in 105.937 euro la somma che spetta al governatore del Pd, comprensiva di tutti gli anni di mandato. Dato che Rossi è in carica dal 29 aprile 2000, prima in qualità di assessore e poi come presidente della giunta ha maturato 13 annualità. Il presidente della Toscana, però a causa della normativa attuale che impone un tetto massimo del 70% sulla liquidazione anticipata, ha ricevuto soltanto 74.156 euro lordi. Proprio il 70% dell'importo totale. Dunque mentre la maggior parte di uffici e negozi era chiusa e i cittadini costretti a stare a casa per contenere la diffusione del coronavirus, il governatore toscano del Pd Rossi ha sentito l'esigenza di chiedere la liquidazione di fine mandato. Ad occuparsi della scottante pratica Siliana Ticci, che dal 21 febbraio 2020 con un ordine di servizio è stata nominata responsabile del procedimento «inerente alla corresponsione anticipo su indennità di fine mandato consiglieri/assessori in carica». Sfogliando il documento (numero di adozione 318, del 13 maggio 2020) che riguarda Enrico Rossi si scopre anche che «il responsabile dell'istruttoria ha dichiarato che non sussiste alcun conflitto di interessi, anche potenziale, in merito al procedimento»; che la Regione tratterrà poco più di 7.000 euro relativi all'Irpef e che il denaro ricevuto da Rossi verrà inserito nel bilancio di previsione del 2020. Come detto, però, il totale dell'indennità di fine mandato del governatore ammonta a più di 100.000 euro, dunque la liquidazione della restante parte (26.842 euro) verrà saldata in un secondo momento, con un «successivo atto». Sulla somma di denaro ricevuta da Enrico Rossi è intervenuto il consigliere comunale di Scandicci, in quota Lega, Leonardo Batistini: «In un momento in cui i toscani erano sotto lockdown con i droni sulla testa e senza poter lavorare il presidente Rossi anziché pensare ad aiutare i cittadini in difficoltà ha pensato di farsi anticipare la liquidazione di fine mandato». E ancora: «Una cosa assurda se consideriamo il momento ed il fatto che lo stesso Rossi stava chiedendo sacrifici a tutti i suoi cittadini mentre lui riscuoteva 74.000 euro. Un buon presidente di Regione dovrebbe agire come un padre di famiglia dando il buon esempio a tutti». «Rossi», ha concluso il rappresentante del Carroccio, Leonardo Batistini, «ha preferito fare il proprio di bene anziché utilizzare quei soldi per far ripartire la Toscana e magari attendere un po' per riscuotere i soldi di fine mandato». Eppure le sorprese della Regione amministrata dal Pd non sono finite qui. Perché sempre durante la chiusura totale del Paese un altro capitolo legato all'esborso di denaro pubblico ha interessato il Consiglio regionale della Toscana. Non bastava quello già accordato a tempo di record al governatore Enrico Rossi. Stiamo parlando di una voce che spesso finisce nel dibattito politico, ossia i vitalizi per gli ex rappresentanti di Palazzo del Pegaso, sia assessori che consiglieri. Per essere precisi i soldi spettano a chi ha compiuto almeno 60 anni ed ha fatto parte del consesso regionale entro il 2010. La cifra complessiva lorda è pari a 429.181euro e nel paragrafo successivo del decreto, adottato lo scorso 21 aprile, si legge di un risparmio «pari a 1.620 euro». Senza dimenticare che nella Toscana amministrata dal Pd durante la fase più acuta del Covid-19 non sono mancate le polemiche sulla gestione di case di riposo e Rsa per anziani e disabili. Su una decina circa di queste strutture sono scattate le indagini di diverse procure della Repubblica: Arezzo, Firenze, Lucca, Prato e Grosseto. I magistrati, inoltre, hanno aperto un fascicolo di indagine anche sull'acquisto per 7 milioni di euro di 200 ventilatori polmonari, effettuato da Estar (centrale una di acquisto per le aziende sanitarie toscane). Nell'inchiesta sono indagati il direttore generale e il direttore dell'area attrezzature informatiche e sanitarie di Estar e il titolare della società che ha venduto i macchinari poi non consegnati, al quale è contestata l'inadempienza in pubbliche forniture
Un assaggio di Venezuela in salsa toscana. Se a Caracas, dai tempi di Hugo Chávez e ora con Nicolás Maduro, il socialismo realizzato imponeva (e continua a imporre) nazionalizzazioni ed espropri, lotta statale contro capitalismo e proprietà privata, la sensazione è che qualcuno in Toscana voglia prendere esempio da quel modello.
Di che si tratta? Di una surreale proposta di legge approvata dal Consiglio regionale della Toscana e ora trasmessa alla Camera dei deputati, che riguarda le cave del marmo bianco di Carrara, e per l'esattezza i «beni estimati», che da circa 270 anni sono a tutti gli effetti proprietà privata. Nelle zone marmifere delle Apuane, infatti, esistono sia parti di proprietà pubblica (e date in concessione a privati) sia parti assolutamente private (circa un terzo di quelle aree). A onor del vero, il carattere privato di queste ultime aree, confermato negli ultimi anni da un'amplissima giurisprudenza ordinaria, amministrativa e tributaria, risale addirittura a molti secoli fa, ma fu in particolare riconosciuto e affermato nel 1751 da un editto di Maria Teresa Malaspina, duchessa di Massa e principessa di Carrara.
Ora c'è il rischio che un «contro editto» del governatore della Toscana, Enrico Rossi, e della sua maggioranza con il sostegno dei 5 stelle, se il Parlamento nazionale dovesse incredibilmente dar seguito alla proposta, ribalti tutto. Tre righe apparentemente anodine e neutre, ma «venezuelane» nella sostanza, dispongono l'atto di forza, anzi di prepotenza, della mano pubblica: «Gli agri marmiferi di cui alle concessioni livellarie già rilasciate dai Comuni di Massa e Carrara e dalle soppresse vicinanze di Carrara, nonché dei beni estimati di cui all'editto […] del 1° febbraio 1751, appartengono al patrimonio indisponibile comunale…».
A suo modo spettacolare è la relazione illustrativa allegata alla proposta di legge, che cita «importanti studi e autorevoli giuristi» per arrivare alla seguente conclusione: «Per capire a fondo il regime giuridico voluto dall'editto teresiano sugli agri marmiferi, occorre affondare nel contesto storico in cui è stato emesso. Un contesto storico dove il concetto di proprietà privata era ancora del tutto sconosciuto». In altre parole, secondo la Regione Toscana, «nelle comunità locali italiane, nello specifico di Massa e Carrara, erano ancora radicate le convinzioni che i territori degli agri marmiferi appartenessero alla collettività». Sulla base di questo presupposto indimostrato, apodittico, a dir poco controverso e arbitrario, circa 270 anni dopo scatterebbe un diritto pubblico all'esproprio. Di più: gli «autorevoli giuristi e costituzionalisti» mobilitati dalla Regione Toscana arrivano - meglio di un'equipe di psicologi e psichiatri - a ricostruire le reali intenzioni della duchessa Maria Teresa Malaspina: «Risulta evidente che l'intento della duchessa con l'editto del 1751 non è stato quello di attribuire la proprietà piena e perfetta dei fondi concessi […]. Da queste fondate considerazioni si determina la natura pubblica dei “beni estimati" che insistono negli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara».
Significativo anche che, a meno di nostri errori e omissioni, nella proposta non sia citata la parola indennizzo: il che fa pensare che non solo qualcuno punti seriamente all'esproprio, ma addirittura senza alcun tipo di ristoro.
Ovvia (e motivatissima) la levata di scudi di Confindustria Livorno, Massa e Carrara e degli industriali del marmo del distretto apuoversiliese, riuniti a convegno alla Luiss, che hanno parlato apertamente di «esproprio proletario» e di «golpe». «La Regione Toscana ci aveva già provato nel 2012 vedendosi disconosciuto dalla Corte costituzionale il diritto a legiferare in questa materia», ha detto Erich Lucchetti, presidente degli industriali del marmo, «Ci riprova adesso nonostante che, anche nel febbraio scorso, il Tribunale di Massa avesse per l'ennesima volta riconosciuto il diritto dei proprietari dei beni estimati. Sul tavolo», ha aggiunto, «non c'è solo il diritto delle aziende del marmo e dei loro dipendenti. C'è un diritto fondamentale alla proprietà privata che è stato sancito dalla nostra Costituzione, da reiterati interventi della Corte costituzionale e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo».
Ma, anche senza evocare valori così elevati, basta un poco di buon senso per immaginare che tipo di precedente potrebbe rappresentare l'approvazione di una norma simile. Una volta sdoganato il principio, infatti, ogni altra forma di esproprio, ogni altro tipo di intervento a gamba tesa dei soggetti pubblici a danno dei privati diverrebbe possibile. Con grande soddisfazione di chi, a sinistra e non solo, continua a sognare un'intesa tra Pd e grillini.
La fusione tra le Camere di commercio di Siena e Arezzo è completata e domani i 33 consiglieri si riuniranno per eleggere gli organi della nuova Camera di commercio unica.
Arezzo porta in dote 45.390 imprese, Siena 37.066. Con 611.000 abitanti, il territorio dell'ente è il più vasto della Toscana, la regione governata da La sede legale è stata stata collocata ad Arezzo, la presidenza spetta a Siena. Qui si apre un problema politico: il Pd, pur non governando più le due città, pretende la nomina di un suo presidente, ossia l'attuale leader della Camera di commercio senese Massimo Guasconi, il quale ricopre l'incarico dal maggio 2009 e ha gestito la città insieme a Mussari, Mancini e a tutto il potere dem. Già nel 2007 era nel comitato Pd pro Siena e ha condiviso le gestioni di Mussari e Mancini di banca e Fondazione. Gli aretini si chiamano fuori: «Abbiamo la sede, spetta ai senesi indicare una discontinuità per la presidenza», riferisce un esponente della maggioranza del comune di Arezzo. Un nome alternativo ci sarebbe: Daniele Pracchia. Ma su di lui c'è il veto di Pd e Cna. Forse, come suggerisce qualcuno, meglio rinviare di una settima l'elezione e avviare un confronto.





