Ieri si sarebbe dovuta tenere l'assemblea decisiva per il futuro della governance di Cattolica. Il coronavirus è intervenuto a gamba tesa lasciando in sospeso beghe e problematiche. Venerdì gli esperti del cda sono intervenuti per bocciare il parere dei dissidenti. Lasciando aperto lo scontro su alcune clausole statutarie. I quattro esperti chiamati dal cda per valutarle, Piergaetano Marchetti, Mario Cera, Matteo Rescigno e lo studio Tremonti, nelle scorse settimane le avevano bocciate. Successivamente, i soci dissidenti avevano incaricato i professori Niccolò Abriani (ordinario di diritto commerciale dell'Università di Firenze) e Marco Lamandini (ordinario di diritto commerciale dell'Università di Bologna) i quali, in un parere pro veritate, sostenevano invece che nessuna delle nuove clausole statutarie sottoposte all'assemblea si esponesse a vizi di legittimità. I quattro esperti incaricati dal cda sono nuovamente intervenuti, bocciando le conclusioni a cui è pervenuto il parere pro veritate. Ma ciò non scioglie il nodo e lo scontro è solo posticipato. Anche se in questi giorni alcuni soci avrebbero mandati segnali distensivi alla presidenza con l'obiettivo di trovare una mediazione. Sembra inoltre accantonata la possibilità che il gruppo capitanato da Francesco Brioschi e Massimiliano Cagliero e supportato anche da Luigi Frascino (titolare della Credit Network and finance che per Cattolica ha gestito lo scorso anno recupero crediti per 7 milioni di euro), prosegua nell'idea di avanzare una azione di responsabilità per la rimozione dell'ex ad Alberto Minali, dal loro punto di vista assolutamente ingiustificata. Alla luce di quanto rivelato ieri dalla Verità in sede di assemblea non sarà facile portare avanti la linea. Anche se ieri Minali si è difeso annunciando querela e smentendo ogni spesa pazza. «Ritengo quanto scritto lesivo della mia onorabilità, della cui tutela ho già incaricato i miei legali», afferma in una nota. Per Minali «basta leggere i risultati delle diverse audit, svolte dopo il ritiro delle mie deleghe e di cui il cda ha preso atto nella riunione del 25 febbraio, per apprendere che ho sempre operato rimanendo all'interno del budget annuale approvato dal cda, senza mai esondare; che le spese più significative sono sempre state approvate dal cda, e all'unanimità; che sotto la mia gestione il risultato operativo è aumentato del 40%, a dimostrazione che quelle spese, in particolare quelle pubblicitarie, erano investimenti che hanno fruttato». Attribuire alle presunte «spese pazze» «il motivo della mia defenestrazione», conclude Minali, «è in aperto contrasto con le motivazioni formali adottate dal consiglio e rese note con uno specifico comunicato stampa, secondo cui il motivo del mio allontanamento risaliva al venir meno della fiducia nei miei confronti per i miei rapporti con il cda medesimo e per le mie relazioni, ritenute sgradite, con il mercato finanziario e in particolare con il gruppo americano di Warren Buffet». La Verità è in possesso di documenti che tracciano contestazioni in relazione agli argomenti in oggetto e non risultano audit preventivi. Esiste, come afferma il manager veronese, un audit successivo datato febbraio 2020 che non rileva anomalie. Ma non elide il tema della fiducia da parte del cda. È chiaro però che le giornate sono delicate perché si intrecciano con la candidatura a Mps. Non smentita dallo stesso Minali. Il quale martedì dovrebbe uscire dall'azienda assicurativa. Entro il 12 il Mef deve presentare le liste per il nuovo cda e l'ex ad di Cattolica resta in lizza, opponendosi a Marco Selvetti e a Marina Natale già al vertice di Sga. A decidere sarà principalmente Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro sulla cui scrivania passano tutti i curriculum individuati dai cacciatori di teste. Chi andrà a Mps dovrà fare da traghettatore verso la privatizzazione, passando da una maxi cessione di sofferenze.
Il 31 ottobre scorso, Alberto Minali, allora amministratore delegato di Cattolica assicurazioni, viene defenestrato. In una sola seduta, il Consiglio revoca le deleghe all'ex manager di Generali entrato nella storica azienda veronese nel giugno di due anni prima. Emergono subito forti dissidi sul tema della trasformazione in spa e sul dossier Ubi, cioè l'offerta per la partnership di bancassicurazione. Poco dopo il cda infuocato, Minali rilasciò una lunga intervista al Sole 24 Ore per spiegare al mercato di non aver mai «tramato» per la trasformazione in spa e di non aver mai esondato dalle deleghe che il cda gli aveva affidato. Nè da una delle parti un causa nè dall'altra è però mai emerso con chiarezza il vero motivo del divorzio e della rapidità con cui si è consumato.
Motivo, forse, legato al fatto che il manager, perse le deleghe, non si è subito dimesso, ma è rimasto come semplice consigliere con ciò che ne consegue: presenza nei cda e alle sedute che magari lo coinvolgevano in qualità di «avversario». La situazione sembra però essersi scongelata. Giovedì Minali ha avviato l'iter di dimissioni con l'intento di lasciare le assicurazioni la prossima settimana.
Il suo nome in queste ore è al centro della partita incrociata per la successione di Marco Morelli al vertice di Mps. Gli articoli di stampa lo oppongono a Mauro Selvetti, ex ad di Creval, che sarebbe sostenuto dai 5 stelle ma non gradito da Alessandro Rivera , direttore generale del Tesoro sulla cui scrivania passano le nomine delle partecipate. La scelta di Minali di dimettersi e farlo in tempi rapidi potrebbe essere dovuta alla necessità di farsi trovare single, prima che il Mef presenti le liste il 22 marzo. È però solo una ipotesi. Ciò che è certo è che la sua uscita rende più facile la comprensione delle reali motivazioni della defenestrazione. A quanto apprende la Verità tutto ruota attorno alle deleghe e all'esercizio del potere da parte dell'ad. A far scattare la decisione drastica sarebbe stato il lievitare delle spese, soprattutto quelle di marketing e comunicazione. Negli oltre due anni di gestione Minali il titolo ha sottoperformato rispetto alla concorrenza, mentre le spese sono passate da circa 340 milioni a oltre 420 nel 2019. Quelle di comunicazione nel biennio sono raddoppiate. Ma a far saltare la mosca al naso sarebbe stata la scelta di estendere il contratto di sponsorizzazione della nazionale di rugby. Inizialmente doveva aggirarsi sui 3 milioni all'anno per un massimo di tre anni.
Alla fine, la sponsorizzazione è stata estesa in durata di altri quattro anni e ai 21 milioni complessivi si sono aggiunte varie voci extra che porteranno, nell'arco del contratto, Cattolica a spendere 30 milioni di euro. Un caso su tutti il «Celebration day». Il 24 novembre 2018 il manager decise di portare dipendenti e un migliaio di agenti monomandatari in trasferta allo stadio olimpico di Roma per la sfida Italrugby contro gli All blacks della Nuova Zelanda. Il gruppo è poi andato alla fiera di Roma dove sul palco si sono esibiti Irene Grandi, la bionda violinista Anastasia Petryshak, oltre a Neri Marcorè, Claudio Amendola, Teresa Mannino e altri attori. Costo dell'evento: poco più di 3 milioni di euro. Un anno dopo, tirate le somme delle spese, il cda ha chiesto lumi sui ritorni dell'operazione in termini di immagine e di ricavi diretti. La risposta non deve essere stato soddisfacente. Tanto più che nel 2018 Cattolica scippò la partnership a Credit Agricole. I francesi però pagavano qualcosa come 700.000 euro, praticamente quattro volte meno.
Da lì è scattata la tagliola che avrà però strascichi nelle prossime settimane. Alla scelta di demansionare il manager si intreccia la partita dei soci «ribelli» che chiedono di cambiare la governance della società assicurativa. Ieri, il cda ha messo a disposizione dei soci, che dovranno deliberare sulla modifica dello statuto il prossimo 25 aprile, quattro nuovi pareri legali che criticano le conclusioni del parere pro-veritate redatto su mandato dei dissenzienti e in cui si escludevano «vizi di legittimità» nella modifiche statutarie proposte.
I quattro pareri legali sono firmati da Giulio Tremonti e Sergio Patriarca, da Mario Cera, da Matteo Rescigno e da Piergaetaneo Marchetti, gli stessi giuristi che, su mandato del cda di Cattolica, avevano espresso riserve sulle modifiche dei «ribelli» che avrebbero fatto decadere il presidente Paolo Bedoni e altri tre amministratori, a causa del superamento dei nuovi limiti di età. Al di là dei temi legali, nella prossima assemblea emergeranno anche le fazioni, comprese quelle legate a Minali. Tra i contratti finiti nella lista nera del cda c'è anche quello con Credit network& finance che in un biennio è cresciuto del 50%, arrivando a valere 7 milioni. La società si occupa di recupero crediti ed è guidata da Luigi Frascino, l'imprenditore che a soli 10 giorni dalla defenestrazione di Minali ha guidato l'assemblea straordinaria (novembre 2019) che ha provato a smontare la governance di Cattolica e il tradizionale legame con il territorio. Un caso? Ad aprile si capirà.




