L’applicazione dei prezzi calmierati a 0,75 euro per le mascherine Ffp2 in farmacia è praticamente a metà strada con un ventaglio di situazioni che sono lo specchio della gestione confusionaria e disorientante della pandemia da parte del governo. Questo in sintesi quanto che emerge da un sondaggio realizzato da La Verità a ridosso dell’accordo firmato lunedì 3 gennaio tra Federfarma, Assofarm e Farmacieunite con la struttura commissariale del generale Paolo Francesco Figliuolo e il ministero della Salute per la vendita di mascherine di tipo Ffp2 al prezzo massimo calmierato di 75 centesimi. Come è noto, con il decreto di Natale, è divento obbligatorio indossarle, al posto delle chirurgiche, nei cinema, teatri, stadi, palazzetti e mezzi di trasporto (compresi bus e metrò) oltre che per i contatti stretti di positivi accertati che abbiano tre dosi di vaccino o comunque la seconda dose entro 4 mesi.
È partita quindi la corsa all’acquisto di un prodotto il cui prezzo unitario in farmacia, fino al 31 dicembre, era intorno a 1,5-2 euro - con picchi di 3 euro, come registrato anche nel nostro sondaggio - ma che ai supermercati è di circa la metà (quando disponibile) e che online si può trovare anche a 30-40 centesimi.
Federfarma, l’associazione di categoria, nell’esprimere soddisfazione per l’accordo raggiunto, ricorda che l’adesione all’iniziativa, da parte delle 19.000 farmacie italiane, è su base volontaria - quindi non può fornire stime in merito - e ricorda che il prezzo calmierato non superiore a 75 centesimi è un valore massimo consigliato per spingere il mercato verso valori più bassi. La stessa associazione fa inoltre presente che, accanto a farmacie che stanno già applicando la nuova tariffa, ci sono quelle che stanno attendendo le prossime forniture per capire se i prezzi di cessione da parte dei grossisti diminuiranno.
A partire da questa realtà, abbiamo verificato la situazione a livello nazionale contattando 60 farmacie rappresentative di tutte le regioni includendo, accanto alle grandi città, anche realtà più provinciali. I numeri - raccolti con l’unico scopo di raccontare uno spaccato di quanto può succedere lungo lo Stivale a chi vuole acquistare le mascherine Ffp2 in farmacia - mostrano che solo 30 su 60, cioè il 50% del campione, ha già aderito al prezzo di vendita a 0,75 euro, con anche un caso di 0,70 a Padova. Tra le grandi città, sono particolarmente solerti, nell’offrire il dispositivo a costi ridotti, le farmacie di Milano e Roma, mentre la realtà è più differenziata a Torino, Firenze, Bologna e Napoli. A Torino, in particolare, su tre esercizi contattati, uno solo aveva disponibilità con il nuovo prezzo: negli altri due le Ffp2 erano a 2 e 3 euro. A Napoli una farmacia non aveva più mascherine - che comunque vendeva a 1,5 euro - mentre le altre due avevano solo Ffp2 a un euro perché quelle a prezzo inferiore non erano disponibili. Una situazione simile si è registrata anche a Firenze. Da Nord a Sud, alcuni farmacisti, per smaltire le giacenze, propongono delle confezioni promozionali a prezzi vantaggiosi, ma rispetto al precedente di 1 -1,30 euro. Ci sono confezioni da 20 a 22 euro (1,10 euro invece di 1,30 della singola) a Padova, 10 mascherine a 8,90 euro a Roma. Altri, come a Viterbo e a Savona, prevedono il prezzo calmierato sull’acquisto di una confezione da 10 pezzi a 7,5 euro.
In generale non ci sono problemi di approvvigionamento: se non ci sono Ffp2 in casa, i farmacisti rassicurano che nel giro di un giorno si possono trovare. Anche per questo motivo, di solito, non c’è nessuna limitazione nel numero di mascherine che si possono acquistare. Poche le eccezioni, come quella di Sassari, che vende solo due dispositivi per nucleo familiare perché non sono arrivate dal grossista. In compenso però rassicurano che nel giro di qualche giorno saranno di nuovo disponibili.
Non hanno a disposizione le Ffp2 dieci farmacie su 60 (16%) soprattutto al Centro Sud, ma anche in grandi città come Milano, Bologna, Firenze e Pisa può capitare di dover tornare o andare da un’altra parte. Non ne hanno e non sanno a che prezzo venderanno le mascherine in arrivo ad Ancona, Benevento e Reggio Calabria. A Napoli e Catania rispondono che non arrivano questi dispositivi.
Hanno prezzi da uno a meno di due euro il 16% del campione (10 su 60): stanno finendo le scorte e quindi informano che ne hanno solo di colorate - a 1,30 a Verona e Teramo, 1,50 a Palermo - ma prevedono un cambio di prezzo con i prossimi ordini, nel giro di qualche giorno. Vendono a prezzi superiori a due euro dieci farmacie su 60. Colpisce Torino con punte di 3 euro. Tiene il prezzo singolo a 3 euro, ad esempio, una farmacia a Sondrio che non aderisce all’accordo. Ha solo Ffp2 colorate a 3 euro una farmacia di Cremona che ne vende al massimo 5 ad acquirente. A Ferrara le Ffp2 sono solo colorate a 2,50 euro, in promozione 3 pezzi a 7 euro. Sorprende che più di qualche farmacia dal Nord a Sud dica che, per il prezzo calmierato, aspetta di ricevere informazioni sul da farsi, quando da Federfarma dicono che l’accordo è efficace dal momento della firma, cioè da lunedì.
«Perché dovrei farmi requisire la merce? Piuttosto non la faccio partire». Flavio Clerici è un imprenditore in trincea per rifornire di mascherine l'Italia nell'epidemia, il suo è un grido d'allarme e al tempo stesso di dolore. In questo momento ha tre milioni di mascherine pagate in stand by nella fabbrica del produttore in Cina, con destinatari certificati (ospedali e case di riposo italiani) ma l'ultimo decreto di Giuseppe Conte, il famigerato Cura Italia, potrebbe far saltare tutto. «All'articolo 6 c'è scritto che la Protezione civile può disporre della requisizione in proprietà di tutte le mascherine. E aggiunge: ai proprietari sarà corrisposta una somma a titolo di indennità pari al 100% del valore che la merce aveva al 31 dicembre 2019. Quando c'era un altro mondo. A queste condizioni rischio di annullare non solo le commesse, ma l'azienda».
Clerici è titolare di Italidea, che ha sede a Mariano Comense nella Brianza comasca dei capannoni e dei campanili, ed è specializzata in forniture tessili alberghiere e di comunità (compagnie aeree, navi da crociera) con clienti in tutto il mondo. In questo periodo gli ordinativi stanno a zero, così per rispondere all'appello del Paese in difficoltà e per proseguire l'attività della filiera produttiva, ha deciso di riconvertire la catena estera per realizzare mascherine chirurgiche certificate En e realizzate secondo gli standard più recenti. Ha chiamato il suo produttore cinese di materiale monouso certificato (guanciali per aerei, salviette, oggetti realizzati con i tessuti delle mascherine) e ha cambiato prodotto.
Alla partenza dell'ordine Clerici aveva già tre clienti: il gruppo di case di riposo Kos, i laboratori di analisi Affidea e un grande ospedale di Roma. «Tutto regolare, trasparente e alla luce del sole. La fabbrica alla quale mi rivolgo è in grado di realizzare un milione di mascherine certificate al giorno, sono anche riuscito a spuntare costi inferiori a quelli di mercato. A fine anno quel prodotto costava 0,16 a pezzo, adesso si è arrivati a pagare dai 25 ai 35 centesimi. Più i costi di trasporto, imposte, sdoganamento. Alla fine di tutto questo dovrei anche rischiare la requisizione? Non le consegno e chiudo, faccio prima».
La situazione è ballerina, la discrezionalità della Protezione civile è totale e da una settimana ci sono 7-8 sequestri di mascherine al giorno tra Fiumicino, Malpensa e Orio al Serio. Con tre conseguenze che per Clerici sono insostenibili. 1) il cliente chiama e chiede le sue mascherine invano (quindi figuraccia del fornitore inadempiente); 2) la perdita dei costi di produzione e di trasporto (sulla fornitura lui ha già anticipato 400.000 euro); 3) la beffa del rimborso di 2 centesimi a mascherina, 15 volte meno del costo. Nel suo caso parliamo di 20.000 euro, non si sa quando.
Una situazione paradossale per molti imprenditori nelle stesse condizioni del titolare di Italidea, che voleva mettersi a disposizione del Paese salvando anche l'azienda. E che al contrario è nella condizione peggiore: non poter dare una mano e dover chiudere i battenti. Invece della rinascita, ecco la mazzata finale. Con un controsenso ulteriore. La legge è stata formulata con queste restrizioni per evitare speculazioni all'italiana, ma qui non si parla di produzioni clandestine bensì di commesse regolarmente certificate da clienti ufficiali. Sottolinea Flavio Clerici: «Sanno tutti che le mascherine servono agli ospedali, che andranno agli ospedali e sono accompagnate da documentazione che lo comprova. Più trasparente di così. Non partono per una clinica svizzera ma per ospedali italiani. Eppure il rischio della requisizione è altissimo».
La micidiale burocrazia in tempo di pace diventa letale in tempo di guerra al coronavirus. Il segreto per vincere (lo insegnavano i grandi condottieri Annibale, George Patton ed Erwin Rommel) è la velocità di reazione, di spostamento e di pensiero. In questo caso il Cura Italia declinato nel burocratese diventa una palla al piede. Con un pericolo ulteriore: presto dovremo metterci in coda per avere le mascherine. «Gli altri Paesi stanno facendo incetta, in Cina. Abbiamo perso quelle che purtroppo erano due settimane di vantaggio ingessando la situazione. Nel distretto produttivo sono arrivati tedeschi, francesi, inglesi. Il mio fornitore ha un ordine di 100 milioni di mascherine dagli Stati Uniti, significa che per un mese e mezzo non potrebbe produrre per nessun altro».
Nella giungla delle restrizioni, gli imprenditori in difficoltà si rivolgono agli studi legali specializzati; gli avvocati Massimo Fabio e Lorenzo Ugolini di Kpmg (che ha lanciato una campagna per dare supporto gratuito agli imprenditori) sono in prima linea. Spiega Ugolini: «La requisizione con il risarcimento del costo al 31 dicembre 2019 è un deterrente, spegne ogni entusiasmo. Un altro problema in Dogana Italia è la marcatura CE, necessaria per beni che siano chirurgici o dispositivi di protezione personale, il simbolo che dimostra a chi compra che il prodotto è sicuro. In più le mascherine chirurgiche devono avere anche la certificazione sanitaria, il Nos. Ora c'è confusione». A tal punto che girano anche certificati truffa; ci sono cinesi che mandano simboli EC, come i marchi sportivi contraffatti.
Causa di un simile caos è ancora il decreto Cura Italia, che per incentivare la produzione italiana di mascherine (art.15) dispone di derogare l'accreditamento CE, mentre l'Istituto superiore di sanità chiede che i prodotti siano a norma «a esclusiva responsabilità del produttore». Poiché i materiali vengono prodotti in Cina, chi garantisce sui tessuti? Uno scaricabarile privo di senso che finisce per pesare ancora sulle spalle degli imprenditori. Ci sono meno restrizioni per chi cuce le mascherine in cantina e autocertifica che arrivano dal Mit di Boston.




