L’inchiesta sul rimpatrio del generale libico Njeem Osama Almasri, accusato nel suo Paese di crimini di guerra, torture e stupri, sta assumendo contorni paradossali. Fermato a Torino il 19 gennaio e rispedito in Libia con un volo della Cai, società controllata dall’Aise, l’agenzia d’intelligence che si occupa di minaccia estera, il militare è al centro del procedimento in cui la Procura di Roma ha chiesto di procedere per per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, per quello dell’Interno Matteo Piantedosi e per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai rapporti con i Servizi Alfredo Mantovano. Proprio gli ultimi due, nella richiesta di autorizzazione a procedere inviata dai pm il 5 agosto alla Camera dei deputati, risultano indagati per «peculato». «In concorso tra loro», scrive la Procura, «distraevano per un uso momentaneo l’aereo della Cai, nonché si appropriavano del carburante necessario per l’esecuzione dei voli da Roma-Torino, Torino-Tripoli e Tripoli-Roma, disposti non per reali esigenze di sicurezza ma al solo fine di aiutare Almasri, colpito da mandato di arresto internazionale emesso dalla Corte penale internazionale, a sottrarsi a tale mandato». Un colpo di scena che ha ribaltato completamente il copione scritto tempo prima, nel ruolo di contestatore, da Mantovano, il quale aveva messo nero su bianco le ragioni con le quali negava al capo della Procura di Roma Francesco Lo Voi l’uso disinvolto dei voli di Stato. Il magistrato, che in Procura è stato soprannominato da qualche mattacchione «Lo Volo», è titolare di una scorta di «primo livello eccezionale»: tre auto blindate, vigilanza fissa, bonifiche preventive. Un dispositivo che dal 2017 alla fine del 2023 gli aveva consentito di viaggiare sui voli «blu» per la tratta Roma-Palermo. Ma due anni fa il governo ha deciso di darci un taglio: troppo costoso far volare il procuratore sui Falcon dell’Aeronautica militare, 13.000 euro a viaggio di andata e ritorno, due volte a settimana. Quasi 340.000 euro l’anno, per un totale di circa 1,7 milioni di euro dal 2017. Il primo atto ufficiale del contenzioso è una lettera di febbraio 2023: «Richiesta di voli di Stato del procuratore della Repubblica di Roma dottor Lo Voi» e «diniego di autorizzazione allo stato degli atti». Lo Voi aveva provato a far leva sulla sicurezza: «L’uso del volo di Stato consente uno spostamento molto più rapido […] evita la presenza dello scrivente in ambienti e situazioni di facile riconoscibilità personale […] ed evita altresì l’impiego di personale di scorta». Mantovano aveva replicato senza giri di parole: «La maggiore rapidità dei voli di Stato non è un argomento in sé decisivo […], la presenza della scorta supererebbe le preoccupazioni circa la riconoscibilità». E per chiudere la partita aveva commissionato al Servizio voli un confronto economico «tra il costo complessivo del volo di Stato senza scorta e quello del volo commerciale con scorta»: 13.000 euro per il volo di Stato contro i 400-700 euro per un volo di linea. L’8 marzo 2023 arriva il secondo diniego: «Il volo di Stato» è «sempre notevolmente più costoso della soluzione commerciale». Lo Voi non si arrende e affida ai suoi avvocati un ricorso straordinario al Consiglio di Stato, contro Mantovano e nei confronti di Piantedosi, l’unico, a suo giudizio, competente a occuparsi della questione, ritenendo «la convenienza in termini di costo dell’utilizzo di voli di linea […] non così rilevante». E insiste «sull’inopportunità» di viaggiare come un passeggero qualsiasi, evocando «evidenti rischi» per gli altri passeggeri. Ma il «no» del governo resta fermo. Quella fama di frequentatore di voli non è solo un soprannome. In passato, tra le missioni internazionali di Lo Voi, c’è stata anche una trasferta ad Abu Dhabi per l’estradizione del narcos albanese Dorian Petoku, il braccio destro di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, ma con esito ancora in sospeso. Un curriculum da viaggiatore che si è arricchito di un’ultima, clamorosa, destinazione. Quando l’esposto (molto mediatico) di Luigi Li Gotti, ex sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi, ex Msi, poi Italia dei valori e Pd, che ha innescato l’indagine sul caso Almasri è arrivato sulla scrivania del procuratore, è stato lavorato in tempi record: tre giorni, weekend compreso, e iscrizione lampo per i reati indicati da Li Gotti. Nel frattempo, mentre Mantovano e Piantedosi si presentavano in Parlamento per spiegare la gestione del caso Almasri, il procuratore che li aveva messi sotto inchiesta, come riuscì a ricostruire la Verità, era a 15 ore di volo di distanza. Meta: Mauritius. Un’isola vulcanica a 500 chilometri dal Madagascar. Un paradiso esotico dove il silenzio stampa poteva essere garantito. E qui il cerchio sembra chiudersi. Perché, al netto della gravità o meno delle accuse, che ora passeranno al vaglio parlamentare, resta l’immagine di un’inchiesta che nasce da un esposto politico, attraversa un vecchio contenzioso personale sui voli di Stato e approda in una meta da cartolina. Con un epilogo (per ora), in cui il contestatore (Mantovano), per un volo della società dei Servizi finisce indagato dal contestato (Lo Voi) per i voli di Stato e, al suo fianco nella richiesta di autorizzazione a procedere, in un unico capo d’accusa, si trova proprio Piantedosi: lo stesso che, nelle carte del ricorso per il volo «blu», gli avvocati del procuratore avevano indicato come l’unico competente a decidere sulla sua richiesta di tornare a volare di Stato.
Così parla l’avvocato Gianluca Di Donna, sotto inchiesta per traffico di influenze, al telefono con Alpa, maestro di Giuseppi. I contatti con Domenico Arcuri. Il fascicolo «dorme» in Procura, poi il reato cambia. Ira Giovanbattista Fazzolari: «In Commissione emergono cose scandalose, nessuno le racconta».
Lo scontro tra la Procura di Roma, guidata da Franco Lo Voi, la commissione Covid e Fratelli d’Italia non accenna a placarsi. La deputata Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fdi in commissione, in una nota ha accusato gli inquirenti capitolini di non avere consegnato al Parlamento importanti atti d’inchiesta sulla gestione della pandemia. I magistrati avevano impiegato tre mesi per rispondere alla prima richiesta e poi avevano trasmesso alla commissione solo pochissimi documenti. Per questo era stato necessario un duro sollecito da parte del presidente Marco Lisei. Ma ieri un articolo apparso sul Fatto quotidiano su uno stralcio sconosciuto ai commissari e riguardante una fornitura di mascherine ha riacceso la tensione. Per la Buonguerrieri l’episodio «non può passare inosservato e richiede un terzo sollecito alla Procura di Roma». A giudizio della parlamentare questo e altri eventuali fascicoli fantasma, contenenti molte intercettazioni (che potrebbero «rappresentare elementi di indagine rilevanti»), devono rimanere «integri e disponibili», senza venire distrutti. Anche perché pare che diverso materiale stia andando al macero. Per questo la Buonguerrieri avverte che lei e il suo partito, puntando a far luce «su una stagione costellata da troppe ombre», non guarderanno «in faccia a nessuno». Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha rincarato: «Dalla commissione Covid stanno emergendo cose scandalose e la più scandalosa è che i media non ne stiano dando notizia».
Il casus belli è stato, come detto, un articolo del Fatto quotidiano, in cui si raccontava che per colpa della riforma Nordio l’imprenditore Giancarlo Innocenzi, «amico» del ministro Guido Crosetto, l’avrebbe fatta franca, venendo archiviato. Ma i cronisti non si sono accorti che a trarre vantaggio dalla modifica del reato di traffico di influenze illecite, nel procedimento da cui è stato stralciato il fascicolo citato dal quotidiano diretto da Marco Travaglio, erano stati in particolare due avvocati in rapporti con l’ex premier Giuseppe Conte, Gianluca Di Donna e Gianluca Esposito, entrambi docenti come l’ex premier. Una coppia di professionisti che appena Domenico Arcuri divenne commissario straordinario, iniziò (il giorno stesso) ad assediarlo. E, secondo i carabinieri che hanno condotto le indagini, lo avrebbe fatto con successo.
Quello che stupisce è che l’informativa finale degli investigatori dell’Arma è del gennaio del 2023. Da allora i pm hanno proceduto con lentezza, nonostante le prove schiaccianti del traffico di influenze: l’avviso della chiusura delle indagini risale al settembre del 2023, mentre la successiva richiesta di archiviazione (giunta dopo la riforma) è arrivata ben 14 mesi dopo, del novembre 2024. Perché non è stato chiesto il rinvio a giudizio quando la riforma Nordio non era ancora in vigore? Nell’annotazione dei carabinieri l’ultimo capitolo è particolarmente indigesto per i fan di Giuseppi e del suo mondo, laddove viene citata una telefonata tra il maestro di Conte, il professor Guido Alpa, e Di Donna. Il paragrafo si intitola «le relazioni tra Di Donna ed Esposito e le istituzioni». Il documento parte dalle dichiarazioni di un imprenditore umbro che aveva provato a fornire mascherine alla struttura commissariale. L’uomo aveva raccontato ai pm del suo incontro con Di Donna ed Esposito: «Presso lo studio di quest’ultimo […] l’avvocato Di Donna mi disse di essere il braccio destro del presidente del Consiglio e di avere buoni rapporti con la struttura commissariale. Entrambi mi proposero e mi fecero firmare, su carta intestata all’azienda, tre contratti (di consulenza, ndr)». Esposito mostrò all’imprenditore un articolo che si trovava su internet in cui Di Donna «era dipinto come un “fedelissimo” del capo del Governo». Per questo sostenevano di essere in grado di creare delle «opportunità di lavoro con la Presidenza del Consiglio dei ministri». Ma veniamo alla telefonata del 2 aprile 2021, quando Di Donna e Alpa non sanno di essere intercettati e riflettono, riassumono i carabinieri, «su come potessero aiutare Giuseppe nell’organizzazione del partito». In quel momento il capo del governo è Mario Draghi, ma il principale azionista dell’esecutivo resta il Movimento 5 stelle che Giuseppi sta provando a portare via a Beppe Grillo. È in procinto di diventare presidente del partito e sta lavorando a un nuovo statuto. La trattativa con il fondatore genovese e il suo inner circle, per conto dell’ex premier, è portata avanti da un notaio e dallo stesso Di Donna.
Ma ecco la trascrizione della telefonata. Alpa: «Perfetto. Ho sentito Rossetti e niente, tutto bene per i commercialisti, tutto bene, hai visto? Quindi…». Di Donna: «Sì, ho visto certo». Alpa sembra entusiasta: «Sì, sì, sì, sì perfetto». Il riferimento potrebbe essere al decreto sostegni che era appena stato emanato dal governo. La chiacchierata prosegue e Di Donna indica le prossime mosse: «Vabbè mo’ bisogna fare qualcosa, procedere insomma». Alpa è d’accordo: «Sì (lo ripete sei volte, ndr) e poi se vuoi dargli una mano ad organizzare il partito…». Di Donna: «[…] di opportunità ce ne ho diverse dal punto di vista anche di adesioni, di cose, insomma di persone…». Alpa: «Eh appunto questo...poi un giorno dovremo andarlo a trovare per parlare di questo… puoi andare tu separatamente». Di Donna è pronto a schierare le sue truppe: «C’ho tre associazioni…». Alpa gongola: «Tu hai un sacco di…». Di Donna conferma: «Un sacco di persone. Esatto…». Un altro degli indagati, l’imprenditore Lorenzo Gragnaniello, l’11 agosto 2021, al telefono, conferma il ruolo di Di Donna: «Adesso è il referente di Conte per quanto riguarda la ristrutturazione del partito […] ha avuto questo, questo incarico, quindi di conseguenza sarà pure impegnato politicamente». Per gli inquirenti il pool di avvocati avrebbe «agito una mediazione illecita» presso la struttura commissariale, in concorso con l’allora vicepresidente di Federlab (la Federazione delle strutture ambulatoriali), Pietro Napolitano, riuscendo a far concludere un ricco contratto a una società, la Adaltis, che ha fornito allo Stato test molecolari. Un affare diviso in due affidamenti: uno da 800.000 euro, concesso nel giugno 2020 (in cambio gli avvocati hanno ottenuto 65.500 euro e 27.700), e uno da 2,5 milioni (per cui gli indagati sono stati premiati con 360.700 euro) del dicembre successivo. Ma, come detto, per tutti le persone sotto inchiesta è stata chiesta l’archiviazione sia per la modifica del reato di traffico di influenze, sia per l’abolizione dell’abuso d’ufficio da contestare al «pubblico ufficiale trafficato» all’interno della struttura commissariale. E come si evince dall’informativa dei carabinieri quel pubblico ufficiale era proprio Domenico Arcuri.
Gli investigatori, infatti, appuntano: «Sempre con riferimento ai rapporti intrattenuti con le istituzioni dagli avvocati Di Donna ed Esposito, si segnala il seguente sms, inviato, in data 12 marzo 2020 alle ore 8,51, da Esposito all’avvocato Guido Alpa: “Caro Guido ecco il numero di Domenico Arcuri […] se fai a lui un flash su di me per supportarlo ne sarà felicissimo. Grazie a presto”». Il 5 maggio Alpa invia a Di Donna il contatto di Arcuri. L’avvocato ne approfitta subito: «Caro Commissario, mi ha detto Guido Alpa che in tutto questo marasma sei così gentile da potermi ricevere e ti ringrazio molto, anche da parte sua. Resto in attesa di sapere da te quando posso passare a trovarti per pochi minuti. Un caro saluto». Arcuri risponde: «Sì. Domani appena ho un attimo ti chiamo e cerchiamo un momento. Ciao». Si legge sempre nell’informativa: «Gli avvocati Esposito e Di Donna hanno intrattenuto diverse comunicazioni telefoniche con esponenti della ex Struttura commissariale/lnvitalia nel periodo d’interesse; in particolare, l’utenza in uso all’avvocato Esposito ha intrattenuto numerosi contatti con l’utenza in uso all’ex commissario Arcuri. Tali contatti partono dall’inizio del periodo di acquisizione e proseguono con frequenza fino al 25 maggio 2020, per poi ridursi notevolmente. Quindi, Esposito ha intrattenuto contatti con l’ex commissario Arcuri anche nel periodo (maggio 2020) in cui era in discussione la citata procedura di gara poi aggiudicata (anche) ad Adaltis e anche nel giorno (14 maggio 2020) in cui Di Donna ha incontrato Spadaccioli (Marco, consigliere di Aldatis, ndr) presso Federlab, verosimilmente per conferire in ordine alla procedura di gara e alla consulenza». I due legali ricevono «gli ingenti pagamenti» effettuati da Adaltis «per un’asserita attività di “assistenza legale nell’analisi e valutazione della documentazione relativa alla procedura avviata dalla Protezione civile l’11 maggio 2020”». La stessa che Adaltis si è aggiudicata. Ma per gli investigatori, le intercettazioni avrebbero dimostrato che quei soldi erano stati versati per «un’attività di tutt’altro tipo» ovvero per l’intervento «evidentemente effettuato (o millantato) sui referenti della Struttura per l’assegnazione delle commesse alla ditta». Ma i pm non hanno proceduto nemmeno per le false fatture. Gli investigatori annotano anche che almeno in un’occasione i cellulari degli avvocati e di Arcuri hanno agganciato le stesse celle vicino alla Struttura. Lì gli incontri sarebbero stati almeno due a cavallo della metà di maggio.
Ma mediatori e commissario si sarebbero incontrati anche altrove. Per esempio, Arcuri il 23 settembre 2020 accetta un invito di Esposito: «Ci mangiamo una cosa a pranzo la prossima settimana nel posto vicino il tuo ufficio dove siamo già andati prima di questa tragedia, Ma sei ospite mio» aveva acconsentito il manager. Altre volte Arcuri è costretto a declinare gli inviti perché troppo impegnato. E allora il Gatto e la Volpe in toga cercano altre strade. Un membro della struttura commissariale, il colonnello dei carabinieri Rinaldo Ventriglia, ha fatto riferimento con gli inquirenti a un messaggio che gli era stato inviato da Esposito: «Mi ha detto Dom (I) di sentirti». Nelle ore successive l’avvocato si presenta insieme con Di Donna davanti alla Protezione civile: «Ci salutammo e mi consegnò una busta, dicendomi che vi era documentazione personale diretta al Commissario Arcuri. Io la presi e la lasciai presso la segreteria del Commissario. Una volta consegnata la busta (non particolarmente pesante, qualche foglio A4 al massimo) il prof Esposito si allontanò». Il 7 settembre il legale torna alla carica: «Caro Rinaldo, ho sentito Domenico che mi ha detto di vedere te, posso passare domani mattina sul presto?». L’8 settembre i due si incontrano fuori dalla sede di Invitalia e, successivamente, con gli investigatori, Ventriglia ricostruisce: «L’avvocato Di Donna mi ha accennato a una società interessata a forniture da parte della struttura commissariale; io, molto infastidito, l’ho bloccato dicendogli che vi era una procedura standard per le forniture al commissario. Da allora, il professor Esposito non si è più fatto sentire», Ma l’1 ottobre quest’ultimo avrebbe incontrato Arcuri a pranzo. E nelle settimane successive la Adaltis avrebbe portato a casa la commessa più cospicua. All’appuntamento al ristorante i clienti degli avvocati tenevano molto. Il 29 settembre uno degli avvocati indagati, Valerio De Luca, domanda ad Esposito: «Caro, gli amici mi chiedono riscontro su incontro che avevi detto di fare ieri». Risposta: «Ha (Arcuri, ndr) rinviato a giovedì». Il 14 ottobre, sempre Esposito scrive ad Arcuri: «A che ora posso pomeriggio venire? ti lascio al volo tutto». Il giorno successivo la segretaria scrive all’avvocato: «Buongiorno prof, le ricordo di telefonare ad Arcuri». Trattative frenetiche di cui non si parlerà in nessun processo. E non solo per colpa della riforma Nordio.
Così parla l’avvocato Gianluca Di Donna, sotto inchiesta per traffico di influenze, al telefono con Alpa, maestro di Giuseppi. I contatti con Domenico Arcuri. Il fascicolo «dorme» in Procura, poi il reato cambia. Ira Giovanbattista Fazzolari: «In Commissione emergono cose scandalose, nessuno le racconta».
Lo scontro tra la Procura di Roma, guidata da Franco Lo Voi, la commissione Covid e Fratelli d’Italia non accenna a placarsi. La deputata Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fdi in commissione, in una nota ha accusato gli inquirenti capitolini di non avere consegnato al Parlamento importanti atti d’inchiesta sulla gestione della pandemia. I magistrati avevano impiegato tre mesi per rispondere alla prima richiesta e poi avevano trasmesso alla commissione solo pochissimi documenti. Per questo era stato necessario un duro sollecito da parte del presidente Marco Lisei. Ma ieri un articolo apparso sul Fatto quotidiano su uno stralcio sconosciuto ai commissari e riguardante una fornitura di mascherine ha riacceso la tensione. Per la Buonguerrieri l’episodio «non può passare inosservato e richiede un terzo sollecito alla Procura di Roma». A giudizio della parlamentare questo e altri eventuali fascicoli fantasma, contenenti molte intercettazioni (che potrebbero «rappresentare elementi di indagine rilevanti»), devono rimanere «integri e disponibili», senza venire distrutti. Anche perché pare che diverso materiale stia andando al macero. Per questo la Buonguerrieri avverte che lei e il suo partito, puntando a far luce «su una stagione costellata da troppe ombre», non guarderanno «in faccia a nessuno». Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha rincarato: «Dalla commissione Covid stanno emergendo cose scandalose e la più scandalosa è che i media non ne stiano dando notizia».
Il casus belli è stato, come detto, un articolo del Fatto quotidiano, in cui si raccontava che per colpa della riforma Nordio l’imprenditore Giancarlo Innocenzi, «amico» del ministro Guido Crosetto, l’avrebbe fatta franca, venendo archiviato. Ma i cronisti non si sono accorti che a trarre vantaggio dalla modifica del reato di traffico di influenze illecite, nel procedimento da cui è stato stralciato il fascicolo citato dal quotidiano diretto da Marco Travaglio, erano stati in particolare due avvocati in rapporti con l’ex premier Giuseppe Conte, Gianluca Di Donna e Gianluca Esposito, entrambi docenti come l’ex premier. Una coppia di professionisti che appena Domenico Arcuri divenne commissario straordinario, iniziò (il giorno stesso) ad assediarlo. E, secondo i carabinieri che hanno condotto le indagini, lo avrebbe fatto con successo.
Quello che stupisce è che l’informativa finale degli investigatori dell’Arma è del gennaio del 2023. Da allora i pm hanno proceduto con lentezza, nonostante le prove schiaccianti del traffico di influenze: l’avviso della chiusura delle indagini risale al settembre del 2023, mentre la successiva richiesta di archiviazione (giunta dopo la riforma) è arrivata ben 14 mesi dopo, del novembre 2024. Perché non è stato chiesto il rinvio a giudizio quando la riforma Nordio non era ancora in vigore? Nell’annotazione dei carabinieri l’ultimo capitolo è particolarmente indigesto per i fan di Giuseppi e del suo mondo, laddove viene citata una telefonata tra il maestro di Conte, il professor Guido Alpa, e Di Donna. Il paragrafo si intitola «le relazioni tra Di Donna ed Esposito e le istituzioni». Il documento parte dalle dichiarazioni di un imprenditore umbro che aveva provato a fornire mascherine alla struttura commissariale. L’uomo aveva raccontato ai pm del suo incontro con Di Donna ed Esposito: «Presso lo studio di quest’ultimo […] l’avvocato Di Donna mi disse di essere il braccio destro del presidente del Consiglio e di avere buoni rapporti con la struttura commissariale. Entrambi mi proposero e mi fecero firmare, su carta intestata all’azienda, tre contratti (di consulenza, ndr)». Esposito mostrò all’imprenditore un articolo che si trovava su internet in cui Di Donna «era dipinto come un “fedelissimo” del capo del Governo». Per questo sostenevano di essere in grado di creare delle «opportunità di lavoro con la Presidenza del Consiglio dei ministri». Ma veniamo alla telefonata del 2 aprile 2021, quando Di Donna e Alpa non sanno di essere intercettati e riflettono, riassumono i carabinieri, «su come potessero aiutare Giuseppe nell’organizzazione del partito». In quel momento il capo del governo è Mario Draghi, ma il principale azionista dell’esecutivo resta il Movimento 5 stelle che Giuseppi sta provando a portare via a Beppe Grillo. È in procinto di diventare presidente del partito e sta lavorando a un nuovo statuto. La trattativa con il fondatore genovese e il suo inner circle, per conto dell’ex premier, è portata avanti da un notaio e dallo stesso Di Donna.
Ma ecco la trascrizione della telefonata. Alpa: «Perfetto. Ho sentito Rossetti e niente, tutto bene per i commercialisti, tutto bene, hai visto? Quindi…». Di Donna: «Sì, ho visto certo». Alpa sembra entusiasta: «Sì, sì, sì, sì perfetto». Il riferimento potrebbe essere al decreto sostegni che era appena stato emanato dal governo. La chiacchierata prosegue e Di Donna indica le prossime mosse: «Vabbè mo’ bisogna fare qualcosa, procedere insomma». Alpa è d’accordo: «Sì (lo ripete sei volte, ndr) e poi se vuoi dargli una mano ad organizzare il partito…». Di Donna: «[…] di opportunità ce ne ho diverse dal punto di vista anche di adesioni, di cose, insomma di persone…». Alpa: «Eh appunto questo...poi un giorno dovremo andarlo a trovare per parlare di questo… puoi andare tu separatamente». Di Donna è pronto a schierare le sue truppe: «C’ho tre associazioni…». Alpa gongola: «Tu hai un sacco di…». Di Donna conferma: «Un sacco di persone. Esatto…». Un altro degli indagati, l’imprenditore Lorenzo Gragnaniello, l’11 agosto 2021, al telefono, conferma il ruolo di Di Donna: «Adesso è il referente di Conte per quanto riguarda la ristrutturazione del partito […] ha avuto questo, questo incarico, quindi di conseguenza sarà pure impegnato politicamente». Per gli inquirenti il pool di avvocati avrebbe «agito una mediazione illecita» presso la struttura commissariale, in concorso con l’allora vicepresidente di Federlab (la Federazione delle strutture ambulatoriali), Pietro Napolitano, riuscendo a far concludere un ricco contratto a una società, la Adaltis, che ha fornito allo Stato test molecolari. Un affare diviso in due affidamenti: uno da 800.000 euro, concesso nel giugno 2020 (in cambio gli avvocati hanno ottenuto 65.500 euro e 27.700), e uno da 2,5 milioni (per cui gli indagati sono stati premiati con 360.700 euro) del dicembre successivo. Ma, come detto, per tutti le persone sotto inchiesta è stata chiesta l’archiviazione sia per la modifica del reato di traffico di influenze, sia per l’abolizione dell’abuso d’ufficio da contestare al «pubblico ufficiale trafficato» all’interno della struttura commissariale. E come si evince dall’informativa dei carabinieri quel pubblico ufficiale era proprio Domenico Arcuri.
Gli investigatori, infatti, appuntano: «Sempre con riferimento ai rapporti intrattenuti con le istituzioni dagli avvocati Di Donna ed Esposito, si segnala il seguente sms, inviato, in data 12 marzo 2020 alle ore 8,51, da Esposito all’avvocato Guido Alpa: “Caro Guido ecco il numero di Domenico Arcuri […] se fai a lui un flash su di me per supportarlo ne sarà felicissimo. Grazie a presto”». Il 5 maggio Alpa invia a Di Donna il contatto di Arcuri. L’avvocato ne approfitta subito: «Caro Commissario, mi ha detto Guido Alpa che in tutto questo marasma sei così gentile da potermi ricevere e ti ringrazio molto, anche da parte sua. Resto in attesa di sapere da te quando posso passare a trovarti per pochi minuti. Un caro saluto». Arcuri risponde: «Sì. Domani appena ho un attimo ti chiamo e cerchiamo un momento. Ciao». Si legge sempre nell’informativa: «Gli avvocati Esposito e Di Donna hanno intrattenuto diverse comunicazioni telefoniche con esponenti della ex Struttura commissariale/lnvitalia nel periodo d’interesse; in particolare, l’utenza in uso all’avvocato Esposito ha intrattenuto numerosi contatti con l’utenza in uso all’ex commissario Arcuri. Tali contatti partono dall’inizio del periodo di acquisizione e proseguono con frequenza fino al 25 maggio 2020, per poi ridursi notevolmente. Quindi, Esposito ha intrattenuto contatti con l’ex commissario Arcuri anche nel periodo (maggio 2020) in cui era in discussione la citata procedura di gara poi aggiudicata (anche) ad Adaltis e anche nel giorno (14 maggio 2020) in cui Di Donna ha incontrato Spadaccioli (Marco, consigliere di Aldatis, ndr) presso Federlab, verosimilmente per conferire in ordine alla procedura di gara e alla consulenza». I due legali ricevono «gli ingenti pagamenti» effettuati da Adaltis «per un’asserita attività di “assistenza legale nell’analisi e valutazione della documentazione relativa alla procedura avviata dalla Protezione civile l’11 maggio 2020”». La stessa che Adaltis si è aggiudicata. Ma per gli investigatori, le intercettazioni avrebbero dimostrato che quei soldi erano stati versati per «un’attività di tutt’altro tipo» ovvero per l’intervento «evidentemente effettuato (o millantato) sui referenti della Struttura per l’assegnazione delle commesse alla ditta». Ma i pm non hanno proceduto nemmeno per le false fatture. Gli investigatori annotano anche che almeno in un’occasione i cellulari degli avvocati e di Arcuri hanno agganciato le stesse celle vicino alla Struttura. Lì gli incontri sarebbero stati almeno due a cavallo della metà di maggio.
Ma mediatori e commissario si sarebbero incontrati anche altrove. Per esempio, Arcuri il 23 settembre 2020 accetta un invito di Esposito: «Ci mangiamo una cosa a pranzo la prossima settimana nel posto vicino il tuo ufficio dove siamo già andati prima di questa tragedia, Ma sei ospite mio» aveva acconsentito il manager. Altre volte Arcuri è costretto a declinare gli inviti perché troppo impegnato. E allora il Gatto e la Volpe in toga cercano altre strade. Un membro della struttura commissariale, il colonnello dei carabinieri Rinaldo Ventriglia, ha fatto riferimento con gli inquirenti a un messaggio che gli era stato inviato da Esposito: «Mi ha detto Dom (I) di sentirti». Nelle ore successive l’avvocato si presenta insieme con Di Donna davanti alla Protezione civile: «Ci salutammo e mi consegnò una busta, dicendomi che vi era documentazione personale diretta al Commissario Arcuri. Io la presi e la lasciai presso la segreteria del Commissario. Una volta consegnata la busta (non particolarmente pesante, qualche foglio A4 al massimo) il prof Esposito si allontanò». Il 7 settembre il legale torna alla carica: «Caro Rinaldo, ho sentito Domenico che mi ha detto di vedere te, posso passare domani mattina sul presto?». L’8 settembre i due si incontrano fuori dalla sede di Invitalia e, successivamente, con gli investigatori, Ventriglia ricostruisce: «L’avvocato Di Donna mi ha accennato a una società interessata a forniture da parte della struttura commissariale; io, molto infastidito, l’ho bloccato dicendogli che vi era una procedura standard per le forniture al commissario. Da allora, il professor Esposito non si è più fatto sentire», Ma l’1 ottobre quest’ultimo avrebbe incontrato Arcuri a pranzo. E nelle settimane successive la Adaltis avrebbe portato a casa la commessa più cospicua. All’appuntamento al ristorante i clienti degli avvocati tenevano molto. Il 29 settembre uno degli avvocati indagati, Valerio De Luca, domanda ad Esposito: «Caro, gli amici mi chiedono riscontro su incontro che avevi detto di fare ieri». Risposta: «Ha (Arcuri, ndr) rinviato a giovedì». Il 14 ottobre, sempre Esposito scrive ad Arcuri: «A che ora posso pomeriggio venire? ti lascio al volo tutto». Il giorno successivo la segretaria scrive all’avvocato: «Buongiorno prof, le ricordo di telefonare ad Arcuri». Trattative frenetiche di cui non si parlerà in nessun processo. E non solo per colpa della riforma Nordio.
Non è un periodo facile per il procuratore di Roma Franco Lo Voi. Prima il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano gli ha tolto i voli di Stato per tornare in Sicilia, poi è stato travolto dalle polemiche per aver iscritto sul registro degli indagati Giorgia Meloni e mezzo governo nell’affaire del generale libico Osama Almasri; quindi è finito nel mirino dei consiglieri laici di centro-destra che hanno chiesto l’apertura nei suoi confronti di una pratica per incompatibilità ambientale e anche di un procedimento disciplinare; infine il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (l’organismo di coordinamento dei nostri servizi segreti) ha presentato un esposto contro la sua Procura per una presunta fuga di notizie favorita con il deposito di un’annotazione dell’intelligence in un fascicolo aperto contro quattro giornalisti (che ovviamente hanno pubblicato tutto). Ma adesso è arrivata la ciliegina sulla torta. La settima commissione del Csm ha chiesto di annullare la designazione fatta da Lo Voi di tre magistrati alla Direzione distrettuale antimafia, l’articolazione forse più importante di una Procura. Una bocciatura che, a memoria, ha pochi precedenti, anche perché il procuratore della Capitale viene considerato potente almeno quanto due ministri.
Alla faccia di chi sostiene che Lo Voi penda a destra, il procuratore ha bocciato il magistrato che, come sembra sottolineare il Csm, aveva più titoli in materia e che appartiene alla corrente conservatrice di Magistratura indipendente (Alessandro Picchi). Un pm che si è forgiato sul campo nella ribollente Sicilia. Invece Lo Voi, tra gli altri, ha promosso un collega apparentemente meno titolato, Lorenzo Del Giudice, candidato al Consiglio giudiziario di Roma (le elezioni sono state rinviate al 6 aprile) sotto le insegne della corrente progressista di Area. A cui sarebbe culturalmente affine anche un’altra delle due prescelte, Alessia Natale. Il terzo selezionato, Stefano D’Arma, sarebbe, invece, un centrista della corrente Unicost. Lo Voi, nel suo provvedimento, li ha definiti «sostituti che certamente posseggono sia le esperienze professionali che le specifiche attitudini richieste per il loro inserimento in Dda».
Bocciature
In ordine agli altri sei aspiranti, il procuratore ha rilevato «come anche questi presentino un significativo curriculum», ma «non riescono tuttavia ad essere prevalenti, allo stato, rispetto alle specifiche attività» degli altri tre «sotto il profilo quantitativo o qualitativo […] sulla base di una corretta procedura comparativa».
Gli esclusi, a parte Picchi, erano considerati tutti o vicini a Unicost o agnostici. Solo Giulia Guccione sarebbe collegabile ad Area. Picchi per Lo Voi avrebbe palesato un deficit «con precipuo riferimento all’approfondimento della conoscenza della criminalità organizzata del distretto di Roma», ma è l’unico che può contare su cinque anni di esperienza in Dda, di cui tre a Caltanissetta e due a Palermo, dove «ha coordinato indagini e sostenuto l’accusa in processi inerenti il mandamento mafioso di Misilmeri e Belmonte Mezzagno, il territorio di Bagheria, di Trabia e San Mauro Castelverde e le relative famiglie, gestendo diversi collaboratori di giustizia».
Ma, tra i concorrenti, gli aspiranti pm della Dda ci sono anche sostituti già al centro di inchieste molto mediatiche: Rosalia Affinito è stata spesso applicata alla Dda per indagini riguardanti il traffico di rifiuti, mentre Fabrizio Tucci ha trattato procedimenti delicati come quello che «ha portato, per la prima volta, con sentenza irrevocabile, al riconoscimento del reato di associazione mafiosa con riferimento ad una compagine criminale operante nel territorio di Viterbo». Infine la Guccione avrebbe «mostrato specifiche attitudini alla efficace trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata, gestendo con capacità numerosi procedimenti e processi in regime di applicazione».
La delibera
Però a vincere sono stati altri. Del Giudice, si legge nella delibera del Csm, si è occupato soprattutto di reati contro l’economia e la pubblica amministrazione, «sviluppando esperienze di rilievo in tema di criminalità organizzata», ma non al Sud, bensì a Udine e a Civitavecchia, prima di lavorare nell’ufficio di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
La delibera che ha stracciato il provvedimento di Lo Voi è stata proposta all’unanimità dalla settima commissione (la relatrice è Maria Vittoria Marchianò, di Mi, sulla carta la stessa corrente di Lo Voi) e difficilmente non sarà ratificata dal plenum.
La principale accusa contro Lo Voi è questa: «Ha illustrato la (indubbia) adeguatezza attitudinale dei candidati prescelti, ma non ha spiegato perché i profili dei medesimi, in relazione ai criteri di designazione previsti dalla circolare, siano stati ritenuti prevalenti sugli altri aspiranti».
Il procuratore è stato bacchettato sull’abc, i consiglieri gli hanno rinfacciato persino di aver sbagliato la procedura di selezione dei pm, iniziata il 25 ottobre scorso con l’interpello per la copertura dei tre posti vacanti.
«Il provvedimento in esame non risulta conforme alle disposizioni della vigente circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura con riferimento sia al procedimento sia al merito della designazione effettuata» scrivono i consiglieri che evidenziano «lo sviamento dal percorso tipizzato». Infatti, la designazione dei prescelti, avvenuta il 27 novembre, doveva «effettuarsi dopo l’acquisizione del parere del Procuratore nazionale antimafia (reso il 4 dicembre) e non prima».
Non basta. Il decreto non poteva «essere dichiarato immediatamente esecutivo», visto che i candidati avevano 10 giorni per formulare osservazioni. Ma anche nel merito il Csm ha avuto molto da ridire e ha passato in rassegna i cv dei candidati. Eppure, sino a mercoledì, non ci risulta che nessuno avesse sollevato obiezioni ufficiali, né il procuratore antimafia Giovanni Melillo, né il Consiglio giudiziario, né la Procura generale. Che, però, al contrario di quanto prevede la procedura sarebbero stati informati quando la delibera era stata resa esecutiva (27 novembre) e inviata a tutti i pm.
I colleghi degli altri uffici potrebbero non essersela sentita di entrare in rotta di collisione con il potente procuratore. Ci ha pensato il Csm a rimandare al mittente l’irricevibile (per Palazzo Bachelet) proposta. Che ha proposto «di non approvare il provvedimento», facendogli perdere efficacia, e di invitare Lo Voi «a provvedere entro 30 giorni […] a una nuova designazione di tre sostituti […] con decreto motivato contenente la valutazione comparativa dei candidati» nel rispetto della circolare vigente. Inoltre, la commissione ha chiesto «di inserire la presente delibera nel fascicolo personale del Procuratore». Una macchia che, dunque, resterebbe agli atti.
Aria di scontro?
L’esito della disputa è, comunque, tutt’altro che scontato. Nonostante una delibera che sembra indicare senza incertezze chi dovrebbero essere i concorrenti meritevoli della nomina, non spetta al Csm questo potere che resta in capo al procuratore in piena autonomia. Lo Voi potrebbe, quindi, allinearsi all’autorevole moral suasion dell’organo di autogoverno, ma anche confermare la sua precedente decisione rinvenendo nelle pieghe delle circolari e nel mare magnum del curriculum dei candidati ulteriori elementi idonei a puntellare sotto diversi ed ulteriori profili la sua contestata decisione.
Intanto il procuratore, mercoledì, si è strenuamente difeso davanti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Ha dovuto spiegare perché abbia messo a disposizione di giornalisti indagati un’annotazione dei servizi segreti classificata come riservata. Il procuratore ha spiegato che a suo dire non c’era niente di segreto in quel documento che non era stato acquisito dalla Procura nell’archivio della nostra intelligence, ma era una semplice risposta a un quesito investigativo di piazzale Clodio.
Quindi la classificazione sarebbe stata pleonastica. In realtà all’interno del documento si dava conto di un’indagine in corso da parte dei nostri servizi su un lobbista, che è così diventata di pubblico dominio. Inoltre, gli accessi alle banche dati citate nella nota ed effettuati dalle barbe finte non sono stati contestati ai giornalisti, né agli 007, che, infatti, non risultato indagati come complici dei cronisti nelle fughe di notizie. Era quindi necessario consegnare alla stampa quella velina che nulla aveva a che vedere con le contestazioni rivolte ai giornalisti?
Il caso Almasri
A Lo Voi è stato chiesto anche il motivo per cui abbia iscritto Giorgia Meloni sul registro degli indagati per la scarcerazione di Osama Almasri. Il magistrato avrebbe risposto che il nome del premier era nella denuncia e si trattava quindi di un atto dovuto.
Qualcuno ha storto la bocca e sembra che adesso al Copasir vogliano acquisire la querela, dove erano indicati i dati anagrafici del primo ministro, ma solo la sua funzione.
Resta il fatto che Lo Voi ha iscritto in gran fretta mezzo governo quando avrebbe potuto inviare l’esposto al Tribunale dei ministri sotto forma di modello 45, un fascicolo senza ipotesi di reato, né indagati. Invece nel giro di quattro giorni, con in mezzo un week end, ha messo sotto accusa, in fretta e furia, la Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Non poteva attendere qualche giorno? Che fretta c’era, dal momento che per legge, prima di trasferire gli atti al Tribunale dei ministri, aveva a disposizione 15 giorni? Nei corridoi della Procura evidenziano che sabato 1 febbraio Lo Voi è partito per Mauritius per riatterrare a Roma una decina di giorni dopo. Se il viaggio era programmato, come sembra, il procuratore aveva davanti due sole strade: correre o passare la pratica a un aggiunto per evitare che scadessero in termini mentre era in vacanza. Ha preferito fare tutto da solo. Prima di volare in Africa con le pinne, fucile ed occhiali.
Non è un periodo facile per il procuratore di Roma Franco Lo Voi. Prima il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano gli ha tolto i voli di Stato per tornare in Sicilia, poi è stato travolto dalle polemiche per aver iscritto sul registro degli indagati Giorgia Meloni e mezzo governo nell’affaire del generale libico Osama Almasri; quindi è finito nel mirino dei consiglieri laici di centro-destra che hanno chiesto l’apertura nei suoi confronti di una pratica per incompatibilità ambientale e anche di un procedimento disciplinare; infine il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (l’organismo di coordinamento dei nostri servizi segreti) ha presentato un esposto contro la sua Procura per una presunta fuga di notizie favorita con il deposito di un’annotazione dell’intelligence in un fascicolo aperto contro quattro giornalisti (che ovviamente hanno pubblicato tutto). Ma adesso è arrivata la ciliegina sulla torta. La settima commissione del Csm ha chiesto di annullare la designazione fatta da Lo Voi di tre magistrati alla Direzione distrettuale antimafia, l’articolazione forse più importante di una Procura. Una bocciatura che, a memoria, ha pochi precedenti, anche perché il procuratore della Capitale viene considerato potente almeno quanto due ministri.
Alla faccia di chi sostiene che Lo Voi penda a destra, il procuratore ha bocciato il magistrato che, come sembra sottolineare il Csm, aveva più titoli in materia e che appartiene alla corrente conservatrice di Magistratura indipendente (Alessandro Picchi). Un pm che si è forgiato sul campo nella ribollente Sicilia. Invece Lo Voi, tra gli altri, ha promosso un collega apparentemente meno titolato, Lorenzo Del Giudice, candidato al Consiglio giudiziario di Roma (le elezioni sono state rinviate al 6 aprile) sotto le insegne della corrente progressista di Area. A cui sarebbe culturalmente affine anche un’altra delle due prescelte, Alessia Natale. Il terzo selezionato, Stefano D’Arma, sarebbe, invece, un centrista della corrente Unicost. Lo Voi, nel suo provvedimento, li ha definiti «sostituti che certamente posseggono sia le esperienze professionali che le specifiche attitudini richieste per il loro inserimento in Dda».
Bocciature
In ordine agli altri sei aspiranti, il procuratore ha rilevato «come anche questi presentino un significativo curriculum», ma «non riescono tuttavia ad essere prevalenti, allo stato, rispetto alle specifiche attività» degli altri tre «sotto il profilo quantitativo o qualitativo […] sulla base di una corretta procedura comparativa».
Gli esclusi, a parte Picchi, erano considerati tutti o vicini a Unicost o agnostici. Solo Giulia Guccione sarebbe collegabile ad Area. Picchi per Lo Voi avrebbe palesato un deficit «con precipuo riferimento all’approfondimento della conoscenza della criminalità organizzata del distretto di Roma», ma è l’unico che può contare su cinque anni di esperienza in Dda, di cui tre a Caltanissetta e due a Palermo, dove «ha coordinato indagini e sostenuto l’accusa in processi inerenti il mandamento mafioso di Misilmeri e Belmonte Mezzagno, il territorio di Bagheria, di Trabia e San Mauro Castelverde e le relative famiglie, gestendo diversi collaboratori di giustizia».
Ma, tra i concorrenti, gli aspiranti pm della Dda ci sono anche sostituti già al centro di inchieste molto mediatiche: Rosalia Affinito è stata spesso applicata alla Dda per indagini riguardanti il traffico di rifiuti, mentre Fabrizio Tucci ha trattato procedimenti delicati come quello che «ha portato, per la prima volta, con sentenza irrevocabile, al riconoscimento del reato di associazione mafiosa con riferimento ad una compagine criminale operante nel territorio di Viterbo». Infine la Guccione avrebbe «mostrato specifiche attitudini alla efficace trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata, gestendo con capacità numerosi procedimenti e processi in regime di applicazione».
La delibera
Però a vincere sono stati altri. Del Giudice, si legge nella delibera del Csm, si è occupato soprattutto di reati contro l’economia e la pubblica amministrazione, «sviluppando esperienze di rilievo in tema di criminalità organizzata», ma non al Sud, bensì a Udine e a Civitavecchia, prima di lavorare nell’ufficio di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
La delibera che ha stracciato il provvedimento di Lo Voi è stata proposta all’unanimità dalla settima commissione (la relatrice è Maria Vittoria Marchianò, di Mi, sulla carta la stessa corrente di Lo Voi) e difficilmente non sarà ratificata dal plenum.
La principale accusa contro Lo Voi è questa: «Ha illustrato la (indubbia) adeguatezza attitudinale dei candidati prescelti, ma non ha spiegato perché i profili dei medesimi, in relazione ai criteri di designazione previsti dalla circolare, siano stati ritenuti prevalenti sugli altri aspiranti».
Il procuratore è stato bacchettato sull’abc, i consiglieri gli hanno rinfacciato persino di aver sbagliato la procedura di selezione dei pm, iniziata il 25 ottobre scorso con l’interpello per la copertura dei tre posti vacanti.
«Il provvedimento in esame non risulta conforme alle disposizioni della vigente circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura con riferimento sia al procedimento sia al merito della designazione effettuata» scrivono i consiglieri che evidenziano «lo sviamento dal percorso tipizzato». Infatti, la designazione dei prescelti, avvenuta il 27 novembre, doveva «effettuarsi dopo l’acquisizione del parere del Procuratore nazionale antimafia (reso il 4 dicembre) e non prima».
Non basta. Il decreto non poteva «essere dichiarato immediatamente esecutivo», visto che i candidati avevano 10 giorni per formulare osservazioni. Ma anche nel merito il Csm ha avuto molto da ridire e ha passato in rassegna i cv dei candidati. Eppure, sino a mercoledì, non ci risulta che nessuno avesse sollevato obiezioni ufficiali, né il procuratore antimafia Giovanni Melillo, né il Consiglio giudiziario, né la Procura generale. Che, però, al contrario di quanto prevede la procedura sarebbero stati informati quando la delibera era stata resa esecutiva (27 novembre) e inviata a tutti i pm.
I colleghi degli altri uffici potrebbero non essersela sentita di entrare in rotta di collisione con il potente procuratore. Ci ha pensato il Csm a rimandare al mittente l’irricevibile (per Palazzo Bachelet) proposta. Che ha proposto «di non approvare il provvedimento», facendogli perdere efficacia, e di invitare Lo Voi «a provvedere entro 30 giorni […] a una nuova designazione di tre sostituti […] con decreto motivato contenente la valutazione comparativa dei candidati» nel rispetto della circolare vigente. Inoltre, la commissione ha chiesto «di inserire la presente delibera nel fascicolo personale del Procuratore». Una macchia che, dunque, resterebbe agli atti.
Aria di scontro?
L’esito della disputa è, comunque, tutt’altro che scontato. Nonostante una delibera che sembra indicare senza incertezze chi dovrebbero essere i concorrenti meritevoli della nomina, non spetta al Csm questo potere che resta in capo al procuratore in piena autonomia. Lo Voi potrebbe, quindi, allinearsi all’autorevole moral suasion dell’organo di autogoverno, ma anche confermare la sua precedente decisione rinvenendo nelle pieghe delle circolari e nel mare magnum del curriculum dei candidati ulteriori elementi idonei a puntellare sotto diversi ed ulteriori profili la sua contestata decisione.
Intanto il procuratore, mercoledì, si è strenuamente difeso davanti al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Ha dovuto spiegare perché abbia messo a disposizione di giornalisti indagati un’annotazione dei servizi segreti classificata come riservata. Il procuratore ha spiegato che a suo dire non c’era niente di segreto in quel documento che non era stato acquisito dalla Procura nell’archivio della nostra intelligence, ma era una semplice risposta a un quesito investigativo di piazzale Clodio.
Quindi la classificazione sarebbe stata pleonastica. In realtà all’interno del documento si dava conto di un’indagine in corso da parte dei nostri servizi su un lobbista, che è così diventata di pubblico dominio. Inoltre, gli accessi alle banche dati citate nella nota ed effettuati dalle barbe finte non sono stati contestati ai giornalisti, né agli 007, che, infatti, non risultato indagati come complici dei cronisti nelle fughe di notizie. Era quindi necessario consegnare alla stampa quella velina che nulla aveva a che vedere con le contestazioni rivolte ai giornalisti?
Il caso Almasri
A Lo Voi è stato chiesto anche il motivo per cui abbia iscritto Giorgia Meloni sul registro degli indagati per la scarcerazione di Osama Almasri. Il magistrato avrebbe risposto che il nome del premier era nella denuncia e si trattava quindi di un atto dovuto.
Qualcuno ha storto la bocca e sembra che adesso al Copasir vogliano acquisire la querela, dove erano indicati i dati anagrafici del primo ministro, ma solo la sua funzione.
Resta il fatto che Lo Voi ha iscritto in gran fretta mezzo governo quando avrebbe potuto inviare l’esposto al Tribunale dei ministri sotto forma di modello 45, un fascicolo senza ipotesi di reato, né indagati. Invece nel giro di quattro giorni, con in mezzo un week end, ha messo sotto accusa, in fretta e furia, la Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Non poteva attendere qualche giorno? Che fretta c’era, dal momento che per legge, prima di trasferire gli atti al Tribunale dei ministri, aveva a disposizione 15 giorni? Nei corridoi della Procura evidenziano che sabato 1 febbraio Lo Voi è partito per Mauritius per riatterrare a Roma una decina di giorni dopo. Se il viaggio era programmato, come sembra, il procuratore aveva davanti due sole strade: correre o passare la pratica a un aggiunto per evitare che scadessero in termini mentre era in vacanza. Ha preferito fare tutto da solo. Prima di volare in Africa con le pinne, fucile ed occhiali.





