content.jwplatform.com
content.jwplatform.com
True
2024-05-30
Tre milioni di italiani residenti all’estero rischiano di restare senza diritto di voto
Imagoeconomica
Chi vive fuori dall’Unione (quindi anche nel Regno Unito) non potrà esprimersi per corrispondenza: monta la protesta.
È stato detto che quelle che si stanno per svolgere saranno le elezioni europee più importanti della storia dell’Unione. Si tratta di un dato di fatto che nessuno ha contestato, e il tono della campagna elettorale, in passato mai così tesa e densa di temi dirimenti per il futuro del continente, sta a dimostrarlo. Ebbene, ci sono più di tre milioni di nostri connazionali residenti al di fuori dell’Ue, che non potranno dire la propria, se non affrontando un viaggio talvolta proibitivo e costosissimo. L’attuale normativa, risalente all’anno di istituzione delle Europee (il 1979), non ammette per gli italiani residenti al di fuori dell’Unione il voto per corrispondenza, come invece previsto per i referendum e per le Politiche da una legge del 2001. Una situazione paradossale, dunque, che se in passato è stata tollerata dai diretti interessati, forse a causa della rilevanza secondaria di questo tipo di consultazione, ora ha fatto scoppiare una protesta generalizzata che si sta esplicando sotto forma di diverse petizioni. L’aspetto fortemente illogico (per non dire grottesco) in tutta questa vicenda, è la disparità di trattamento tra Politiche ed Europee: un italiano iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) e residente ad esempio in Australia può eleggere senatori e deputati, ma se vuole dire la propria sui rappresentanti italiani da mandare a Strasburgo, non ha alternativa al prendere l’aereo e tornare nel Belpaese. Un’ipotesi lunare, considerando i tempi e soprattutto i costi del viaggio, per i quali lo Stato mette a disposizioni degli sconti sulle tariffe che sono largamente insufficienti.
Alla base di questa anomalia, che riguarda una piccola minoranza dei 27, e nessuno dei grandi Paesi dell’Unione, c'è il fatto che nessuno degli esecutivi degli ultimi decenni, in primis quelli che si sono sempre dichiarati europeisti, hanno fatto qualcosa per allargare la partecipazione su base globale. Il malumore degli elettori, stavolta, è esploso anche in virtù del fatto che la platea degli esclusi è aumentata: i tanti italiani residenti nel Regno Unito, infatti, sono divenuti extra-Ue e non potranno votare, come fatto le scorse volte, nel seggio allestito nel consolato italiano più vicino. Sul sito della Farnesina, nelle sezioni dedicate al voto degli italiani all’estero, dove è possibile scaricare le brochure-guida al voto relative anche alle elezioni del 2019, quanto scritto non lascia spazio a interpretazioni: «A differenza delle consultazioni elettorali regolate dalla L. 459/2001, alle elezioni del Parlamento europeo possono partecipare solo i connazionali residenti in un Paese membro dell’Ue».
Stesso discorso per chi vive o lavora in Svizzera, Paese che non ha mai fatto parte dell’Ue e che – data la vicinanza – può consentire un viaggio sostenibile in treno o in auto solo a chi proviene dal Nord Italia e non ai meridionali. Lo conferma in maniera anche un po’ brusca l’ambasciata italiana in Svizzera, nel suo sito: «Alle elezioni europee», si legge, «non si applica il sistema del voto per corrispondenza per gli elettori italiani non residenti nei Paesi dell’Unione europea. Gli elettori italiani residenti in Svizzera potranno esercitare il loro diritto di voto solo in Italia, usufruendo di agevolazioni tariffarie nei viaggi per il loro comune di residenza».
Le agevolazioni sono il frutto di convenzioni stipulate da Trenitalia, Italo e Ita Airways, che comportano, soprattutto per ciò che riguarda i voli intercontinentali, comunque un esborso rilevante. Per ciò che riguarda i treni, gli sconti oscillano tra il 60 e il 70% delle tariffe base (la prima classe è ovviamente esclusa), mentre per i voli Ita l’ammontare delle agevolazioni non viene specificato. Inoltre, agli sconti si può accedere solo esibendo la tessera elettorale e la cartolina con le indicazioni delle modalità e della sezione in cui votare, ma da più di una segnalazione che ci è giunta in redazione, quest’ultimo documento risulta non ancora arrivato a molti italiani extra-Ue. In particolare, molti nostri lettori residenti in Svizzera e provenienti da Milano, hanno fatto presente ai competenti uffici di Palazzo Marino che la cartolina-avviso che indica in quale seggio meneghino recarsi ancora non è giunta, quando mancano una decina di giorni al voto. Il che comporterà, tra le altre cose, delle difficoltà per eventuali acquisti di biglietti in tempo utile.
Interpellate dal nostro giornale, fonti della Farnesina ammettono che si tratta di una «aporia» legislativa a cui sarebbe opportuno porre rimedio in modo sollecito, come stanno appunto chiedendo le diverse petizioni promosse online dai nostri expat. Anche perché non è più sostenibile il vecchio principio su cui si basa la legge del 1979, e cioè che chi non vive nell’Unione non ha il diritto di esprimersi sui suoi indirizzi politici. Un principio ampiamente superato, anzitutto dall’interconnessione tra le diverse parti del pianeta, e poi dal fatto che agli stessi italiani è stato riconosciuto il diritto di inviare propri rappresentanti a Montecitorio e Palazzo Madama.
Continua a leggereRiduci
content.jwplatform.com
Patrick Zaki (Ansa)
Il successo del governo per la grazia è innegabile. Quello che si comprende poco è il tifo montato dalla sinistra, che tace per i 2.000 nostri connazionali incarcerati nel mondo. A meno che non voglia «ingaggiare» lo studente.
Ammetto la mia colpa: non riesco ad appassionarmi al caso Zaki. Certo, mi fa piacere che abbia ottenuto la grazia e che possa tornare in Italia, ma leggere che tutto il Paese dovrebbe essere in festa, come ha scritto qualcuno, lo trovo un filo esagerato.
Patrick Zaki è uno studente egiziano iscritto e poi laureato all’Università di Bologna: questo è l’unico collegamento che ci lega a lui. Il giovane era stato ingiustamente imprigionato per aver espresso delle opinioni che non piacevano al regime di Al Sisi? Sì, ma sapete quanti sono i ragazzi finiti dietro le sbarre e spesso torturati in Iran? Migliaia. E quanti quelli che per aver osato criticare la dittatura sono spariti in qualche laogai cinese, cioè in un gulag? Ben di più. Il mondo è pieno di giovani che protestano e pagano con la libertà il proprio coraggio. In Medio Oriente come in Sud America, in Cina come in Russia. E non ci sono solo i ragazzi, ma anche tante altre persone che si battono in nome dei diritti, come ad esempio Alexey Navalny, il principale oppositore russo, per il quale un tribunale di Putin ha appena chiesto 20 anni di carcere. E però per lui e per quelli come lui non ho visto lo stesso interesse manifestato per Zaki. Niente striscioni, nessuna manifestazione, zero appelli. Si dirà: ma lui non ha studiato a Bologna, e dunque non ha un legame diretto con l’Italia. Sapete quanti sono gli italiani detenuti all’estero, ammassati in celle senza alcun diritto, neppure quello di ottenere un processo equo e un trattamento umano? Più di 2.000. Ma per loro non c’è la mobilitazione che ho visto per Zaki. Marco Zennaro, un imprenditore veneto che è stato incarcerato per un anno in Sudan senza nemmeno sapere quale fosse la sua colpa, non ha riscosso alcuna solidarietà e salvo pochi articoli di giornali, alcuni pubblicati sulla Verità, è stato alla fine rilasciato tra l’indifferenza generale, senza cioè che il Paese esultasse o organizzasse una festa in piazza.
Magari Zennaro ha meno amici di Zaki. Forse la sua storia non ha commosso l’opinione pubblica. Può darsi che non essendo un giovane studente, quel largo mondo di ragazzi che gravita attorno all’università non si sia mobilitato. No, ad aver trasformato il giovane egiziano in un simbolo è stata la sinistra, la quale ha martellato i governi per ottenerne il rilascio. Per lui sono state organizzate manifestazioni e la tv pubblica si è occupata di lui, mandando in onda delle puntate di programmi di approfondimento. Insomma, è successo quello che è capitato per i rapiti di una certa parte politica, ovvero per gli attivisti delle varie Ong. Mi lamento per questo? No, mi duole che non tutti gli arrestati e tutti i rapiti siano uguali e non tutti ricevano lo stesso trattamento. Per Zaki si mobilitano in tanti, per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò arrestati e trattenuti ingiustamente quattro anni in India, quasi nessuno. Per Silvia Baraldini si muove lo Stato e il ministro di Grazia e giustizia, di estrema sinistra, va ad accoglierla per stringerle la mano manco fosse un’eroina invece che una terrorista. Per Chico Forti, anch’egli detenuto in America, non si scomoda neppure l’usciere del ministero, non dico per farlo scarcerare, ma nemmeno per fargli scontare la pena in Italia.
Che la faccenda sia più politica che umanitaria lo dimostra poi anche un altro fatto. Zaki non è ancora rientrato Italia che già qualcuno, a sinistra, pensava bene di interrogarsi sulla contropartita concessa dal nostro governo a quello di Al Sisi. Che cosa gli avranno dato in cambio? Magari la promessa di tacere su Giulio Regeni, il povero studente massacrato dalla polizia egiziana? Per anni i nostri servizi segreti hanno pagato la liberazione di improvvisate crocerossine che si erano messe nei guai frequentando luoghi di guerra e finendo nelle mani dei terroristi. Però quei soldi, dei contribuenti sia chiaro, che finivano nelle mani di tagliagole che li avrebbero usati per uccidere e torturare altri cristiani, non hanno mai indignato i cari compagni. I quali anzi hanno gioito per il rilascio, fingendo di non vedere il prezzo politico di quelle liberazioni. Ma all’epoca, a Palazzo Chigi c’erano governi amici, non quello delle destre, come lo chiamano con un certo disprezzo dal Pd in poi.
Ovviamente la grazia a Zaki è un successo politico di Giorgia Meloni, tuttavia la sinistra farà qualsiasi cosa per sminuirne il valore e, prevedo, Zaki sarà trasformato presto in un’icona da schierare alle prossime elezioni, magari per rimproverare il governo di non fare abbastanza non soltanto per ottenere giustizia per il povero Regeni, ma anche per i diritti umani nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Mi auguro di sbagliarmi, ma conoscendo il cosiddetto universo progressista temo che finirà così.
Del resto, se il buongiorno si vede dal mattino, cioè dal modo con cui lo stesso Zaki si sta comportando, rifiutando l’assistenza di un nostro diplomatico e di stringere la mano a un rappresentante del governo per non sembrare dipendente da un esecutivo di centrodestra, direi che la mia previsione ha buone probabilità di essere azzeccata. Conclusione: la prossima volta, gli ingrati che si ficcano nei guai lasciate che se la sbrighino da soli se poi a loro fa tanto schifo dire grazie.
Continua a leggereRiduci







