Lo scorso 23 aprile un pattugliatore della Guardia di Finanza ha soccorso in mare a largo delle coste siciliane un barcone con a bordo 223 persone. Tra loro è stato identificato un 18enne siriano indiziato di aver combattuto tra le fila di Hay'at Tahrir al-Sham,già Jabhat al-Nuṣra. Nel suo telefono sono stati rinvenute chat di matrice jihadista. Nonostante il tema dei terroristi che si infiltrano tra le centinaia di disperati che affrontano ogni giorno il Mediterraneo e che sbarcano sulle nostre coste sia tabu o quasi, si tratta dell’enesimo caso di un terrorista che arriva in Italia su un barcone.
Ansa
Giovanni Caravelli dovrà fronteggiare l'islam radicale africano e le minacce informatiche russe.
Una scalata silenziosa e costante iniziata nel 2014 e conclusasi con la nomina a direttore dell'Aise, i servizi segreti militari. Giovanni Caravelli, abruzzese, 59 anni, arriva al vertice dell'intelligence esterna dopo aver maneggiato i dossier più incandescenti degli ultimi anni sotto i predecessori Alberto Manenti e Luciano Carta (quest'ultimo neo presidente di Leonardo-Finmeccanica). A cominciare dall'inferno libico dove il generale di Corpo d'armata originario di Chieti è riuscito a intessere relazioni con dignitari e capi tribù che lo hanno reso protagonista nello scenario fragilissimo in cui si muovono il capo del governo riconosciuto Fayez Al Serraj e l'uomo forte della Cirenaica, Khalifa Belqasim Haftar.
Protagonista anche un po' invidiato nella comunità delle barbefinte, dove regna pur sempre un umanissimo sentimento di competizione, se è vero che, a Tripoli, mani ignote - ma non troppo - lasciarono queste scritte sui muri: «Gianni Garavelli (con la G, ndr) e servizi segreti italiani uscite dalla Libia». Era l'epoca della crisi diplomatica tra il nostro Paese e la Francia, acuita non solo dalle mire dei cugini d'Oltralpe sull'ex regno di Muhammar Gheddafi, dove gli interessi nostrani riguardano la sicurezza e la politica energetica con le commesse dell'Eni per decine di miliardi di euro, ma anche dell'improvvida visita dell'allora vicepremier Luigi Di Maio ai gilet gialli.
Caravelli, sposato e padre di due figlie, ha frequentato l'Accademia militare e la Scuola d'applicazione militare dal 1979 al 1983 e ha conseguito due lauree (Scienze strategiche e Scienze diplomatiche internazionali) e diversi master. In passato è stato direttore di divisione presso il Sismi (l'agenzia antesignana dell'Aise) per lo sviluppo di numerose attività in supporto alle forze armate italiane operanti in Afghanistan, Iraq, Bosnia Erzegovina, Kosovo e Libano, appunto, oltre che consigliere militare del rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite. È stato inoltre comandante di battaglione Sam «Hawk» del reggimento «Peschiera» (Cremona) e capo sezione di Stato maggiore presso l'Ufficio generale del Capo di stato maggiore dell'esercito.
Profondo conoscitore delle dinamiche geopolitiche mediorientali e nordafricane, Caravelli è stato tra i primi a correre in Egitto, nel febbraio 2016, per seguire le attività info-investigative legate alla scomparsa e all'uccisione del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.
Un perfetto uomo-macchina, dice chi lo conosce. Refrattario ai salotti e agli inner circle dove si conosce tanta bella gente, soprattutto nella capitale, ma dove prima o poi capita di mettere il piede in fallo per un'amicizia sbagliata. Rare apparizioni pubbliche e ancor meno apparizioni mondane. Uno dei pochissimi che, all'epoca del primo governo Conte, riusciva a mettere d'accordo sul suo nome il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, notoriamente ai ferri corti per la gestione degli sbarchi e per l'applicazione dei decreti Sicurezza.
Oggi Caravelli arriva al timone della struttura di intelligence esterna in una fase di subdola criticità dovuta al dilagare del coronavirus e alle tensioni legate al ricercato ruolo di preminenza della Cina nello scacchiere europeo e mediterraneo.
Sullo sfondo restano i rischi del terrorismo islamico, incubato non più in Siria e in Iraq ma in Africa, come il rapimento di Silvia Romano ha ampiamente dimostrato, e il rinnovato protagonismo della Russia putiniana che, al posto di allampanati ufficiali del Kgb, adesso schiera legioni di giovani hacker.
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Slvia Romano con Giuseppe Conte (talian Prime Ministry / Handout/Anadolu Agency via Getty Images)
- Operazione dei servizi: la ragazza prigioniera di un gruppo estremista in Africa da un anno e mezzo tornerà oggi in Italia. Il premier esulta, il papà della giovane punge: «Se lo dice lui sarà vero, ma non siamo informati».
- Atterrata all'aeroporto militare di Ciampino, Silvia Romano, è stata accolta dalla famiglia, da Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. E' apparsa in salute e come anticipato dalla Verità con un velo tradizionale del Corno d'Africa, segno delle indiscrezioni sulla sua conversione all'Islam.
Il presidente Giuseppe Conte lo ha annunciato su Twitter alle 17 e 17 del 9 maggio 2020: «Silvia Romano è stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!». Fantastico. Peccato che il padre non lo sapesse ancora. Pare infatti certo che il premier abbia reso pubblica la notizia sui suoi profili social prima di comunicarla a papà Romano, se è vero quanto riportato dall'agenzia Ansa alle 18 e 04 di ieri sulle prime reazioni di babbo Enzo: «Lasciatemi respirare, devo reggere l'urto. Finché non sento la voce di mia figlia per me non è vero al 100 per cento. Devo ancora realizzare, lasciatemi ricevere ufficialmente da uno dei miei referenti». Che evidentemente non lo avevano ancora fatto. A confermare questa ricostruzione quanto detto dallo stesso genitore al sito di Open: «Io ancora non ho parlato con Silvia e non ho avuto nessuna comunicazione ufficiale dalla Farnesina, non li ho ancora sentiti. Ma se lo dice Conte, deduco sia così». Dunque da una parte il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e i suoi uomini sonnecchiavano, dall'altra Conte e il suo portavoce Rocco Casalino non riuscivano a trattenersi e sparavano la notizia su Internet. A Enzo Romano non restava che attendere la telefonata dei giornalisti.
La ventiquattrenne cooperante milanese era stata sequestrata in Kenya il 20 novembre 2018.
L'ultima prova che fosse in vita era arrivata alla nostra intelligence il 17 gennaio scorso. Ieri la ragazza è stata tratta in salvo a 30 chilometri da Mogadiscio, in Somalia, grazie a un'operazione iniziata la notte scorsa e a cui preso parte i servizi segreti italiani, turchi e quelli somali. Un lavoro di squadra di quelli che si mettono in atto in situazioni come queste. In prima linea c'erano alcune decine di 007 della sezione operazioni speciali dell'Aise (l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna), il nostro controspionaggio, che si sono mossi nel fango per arrivare al sospirato obiettivo. Infatti la liberazione è stata resa particolarmente complicata dalle condizioni climatiche che hanno dovuto affrontare i nostri agenti, visto che la zona in cui si trovava in questo periodo è flagellata dalle alluvioni.
La giovane, non appena è arrivata nel compound della forza militare internazionale della capitale somala, ha pronunciato queste prime parole: «Sto bene e non vedo l'ora di tornare in Italia. Sono stata forte e ho resistito». Ha parlato al telefono prima con la madre (con cui risiede a Milano) e poi anche con il premier Conte che, come detto, aveva dato la notizia via Twitter. Ma la conversazione con il presidente del Consiglio è stata interrotta da alcuni colpi di mortaio diretti sulla base militare in cui si trovava la ragazza. Successivamente la Romano è stata trasferita nell'ambasciata italiana in attesa di partire per l'Italia.
Il suo arrivo a Roma è previsto per oggi verso le 14 all'aeroporto militare di Ciampino. Quindi Silvia risponderà alle prime domande dei carabinieri del Ros, delegati per questo tipo di indagini. Nelle prossime ore sarà anche ascoltata dalla Procura di Roma, che si occupa di sequestri e terrorismo internazionale, in particolare con l'aggiunto Francesco Caporale e il pm Sergio Colaiocco. In effetti, da quanto risulta dalle prime notizie, la ragazza è stata tenuta in ostaggio dal gruppo estremistico Al Shabaab.
La ventiquattrenne, che era partita per il Kenya con la Ong Africa Milele dopo la laurea in mediazione linguistica, era stata inizialmente rapita da criminali comuni nel villaggio di Chakama, in Kenya. Poi, come abbiamo raccontato nel novembre scorso, la prigioniera è passata sotto il controllo di Al Shabaab (letteralmente I giovani), un gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda, che proprio nel Corno d'Africa ha iniziato la sua storia stragista. Lo scorso autunno i servizi segreti somali fermarono un certo Sufayan, probabilmente un nome di battaglia. Quest'ultimo faceva parte di una rete che avrebbe dato sostegno logistico ed economico al rapimento. Di essa, secondo gli investigatori locali, facevano parte, per esempio, Nur Shill, capo dei pirati dell'Oltregiuba e dello stato del Sud Ovest, che con la sua banda controlla la città di Gelib. Nella lista dei sospettati c'era anche un certo Awowe, membro dell'organizzazione terroristica di origine qatarina, indicato come responsabile della gestione dell'ostaggio, mentre il dottore Abu Hamza, avrebbe visitato la ragazza. Gli indagati, si leggeva negli atti con i quali veniva informata l'Alta corte del Sud Ovest della Somalia, erano sospettati «di collegamento con i top leader di Al Shabaab, Mahad Karate, Bashir Quorghab Djibril e Ahmed Omar Abu Ubaidah». Oggi quel legame sembra confermato.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo aver appreso la notizia della fine del sequestro, ha inviato «un saluto di affettuosa solidarietà a Silvia e ai suoi famigliari, che hanno patito tanti mesi di attesa angosciosa» e ha espresso «riconoscenza e congratulazioni agli uomini dello Stato che si sono costantemente impegnati, con determinazione e pazienza, tra tante difficoltà, per la sua liberazione». Anche il leader della Lega Matteo Salvini ha ringraziato i nostri 007 dopo essersi felicitato per il ritorno della Romano. Prima di lasciare la sua poltrona di direttore dell'Aise, il direttore Luciano Carta, nominato nuovo presidente del gruppo Leonardo, ha realizzato l'obiettivo a cui lavorava da mesi: far tornare in Italia la Romano, dopo esserci riuscito con altri quattro ostaggi (Sergio Zanotti e Alessandro Sandrini, Luca Tacchetto e la compagna canadese Edith Blois). Il mandato di Carta era iniziato con l'estradizione di Cesare Battisti dalla Bolivia. Dunque un inizio e una fine con il botto.
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Silvia Romano (Ansa)
Silvia Romano è libera. Ad annunciarlo è stato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, su Twitter. «Silvia Romano è stata liberata! Ringrazio le donne e gli uomini dei servizi di intelligence esterna. Silvia, ti aspettiamo in Italia!». «Sono stata forte e ho resistito. Sto bene e non vedo l'ora di tornare in Italia», ha dichiarato la ragazza. Il generale Luciano Carta si avvia a lasciare l'Aise (per la presidenza di Leonardo) con un grande successo: aveva iniziato con l'arresto di Cesare Battisti
Secondo quanto risulta a La Verità, la ragazza – attualmente in buone condizioni fisiche e psicologiche – è stata liberata a circa 30 chilometri da Mogadiscio e sarebbe stata tenuta prigioniera dalla sigla jihadista somala Al Shabaab. La liberazione è avvenuta grazie alla collaborazione dell'Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna – guidata dal generale Luciano Carta – con le intelligence di Turchia e Somalia. L'operazione di salvataggio sarebbe stata stata condotta nella notte in un'area particolarmente colpita dalle alluvioni negli ultimi giorni. La giovane si troverebbe al momento nel compound delle forze internazionali di Mogadiscio e il suo rientro in Italia è previsto per il 10 maggio alle ore 14 presso l'aeroporto di Ciampino.
«Sta bene ed è in forma. Provata ovviamente dallo stato di prigionia ma sta bene», ha dichiarato il presidente del Copasir, Raffaele Volpi. «I complimenti vanno al generale Carta, agli uomini e donne dell'Aise che con il loro incessante lavoro, mai alla luce della ribalta, hanno permesso questo importantissimo risultato. Grazie ragazzi e ben tornata a casa Silvia", ha aggiunto. Carta, che sta lasciando l'Aise per assumere la presidenza di Leonardo, ha del resto riscontrato svariati successi alla guida dell'Agenzia: ricordiamo, oltre al caso di Silvia Romano, anche la cattura del terrorista rosso Cesare Battisti nel gennaio del 2019. «Lasciatemi respirare, devo reggere l'urto. Finché non sento la voce di mia figlia per me non è vero al 100%», ha dichiarato all'Ansa il padre di Silvia, Enzo Romano. “Sono felicissima, frastornata, non me l'aspettavo" ha invece dichiarato la madre, Francesca Fumagalli. «Non l'ho ancora sentita, sto aspettando una telefonata dalla Farnesina». Soddisfazione è stata espressa anche dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e da gran parte del mondo politico: dal leader della Lega, Matteo Salvini, a quello del Pd, Nicola Zingaretti.
Cooperante milanese attiva nella onlus Africa Milele, Silvia Romano – all'epoca ventitreenne – era stata rapita nel villaggio di Chakama, a circa 80 chilometri da Malindi (in Kenya), nel novembre del 2018. In particolare, era stata portata via con la forza da un gruppo di uomini armati di machete e fucili. Tutto questo, mentre l'ultima prova certa del fatto che fosse in vita risaliva al dicembre dello stesso 2018. In un primo momento, la polizia locale aveva ipotizzato si trattasse di un rapimento a scopo estorsivo. Era agosto del 2019, quando dalle indagini della Procura di Roma emerse che la ragazza potesse essere stata trasportata in Somalia. Tre delle persone che avevano partecipato al sequestro erano intanto state arrestate. In particolare, AlShabaab avrebbe commissionato il rapimento a un gruppo di criminali comuni, fornendo denaro e mezzi.
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Ansa
Con la fine del regno di Muammar Gheddafi, la Dgse - Direction générale de la sécurité extérieure - diretta da Bernard Emie, ex ambasciatore transalpino in Algeria, prende sede a Bengasi, avamposto del generale Khalifa Haftar. Ancora oggi l'obiettivo è sconfiggere l'Isis, ma sempre più spesso sostiene le truppe della Cirenaica che continuano ad avanzare verso Tripoli.
L'intelligence italiana è al lavoro da settimane per sbrogliare la matassa libica, dopo la decisione del generale Khalifa Haftar di non interrompere i bombardamenti e l'avanzata verso Tripoli contro il governo di unità nazionale di Fayez Al Sarraj. E se il presidente Giuseppe Conte ha dato rassicurazioni ieri alla Camera sull'operatività della nostra ambasciata e sul nostro contingente militare, sul campo si sta consumando una vera e propria battaglia tra spie. L'obiettivo dell'Italia, ripetuto dallo stesso Conte e dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta, è la stabilizzazione del Paese. «Non servono prove di forza o azioni dimostrative di alcune genere», ha spiegato la Trenta. La preoccupazione è comunque alta, sia per la situazione umanitaria, con possibili nuove ondate migratorie verso le nostre coste, sia perché a rischio ci sono interessi economici rilevanti, con la presenza di Eni, il nostro colosso petrolifero. Non a caso la relazione del numero uno dell'Aise (servizio segreto estero) Luciano Carta al Copasir prevista per venerdì è stata anticipata a ieri sera. Il tutto avviene dopo la notizia data da Repubblica di un incontro riservato lunedì scorso tra Conte e emissari di Haftar, tra cui anche il figlio del generale. A organizzarlo con successo è stato il vice Aise Giovanni Caravelli, da cinque anni alla guida delle operazioni in Libia.
Fonti diplomatiche la definiscono appunto «una situazione molto delicata a causa la massiccia presenza di servizi segreti francesi» sul territorio libico. Non è una novità. Dal momento che la Dgse - Direction générale de la sécurité extérieure - diretta da Bernard Emie, ex ambasciatore transalpino in Algeria, opera ormai da tempo in Libia, con una certa costanza dalla fine del regno di Muammar Gheddafi. Lavora a stretto contatto con Stati uniti e Gran Bretagna, ma soprattutto con diplomatici degli Emirati Arabi Uniti, nello specifico Aref Ali Nayed, ambasciatore libico a Abu Dhabi. In più hanno ottimi rapporti con l'Egitto. Non ci sono dati certi su quanto sia corposo il contingente di 007 francesi o di possibili forze speciali al seguito, tra Legione straniera o altre divisioni dell'esercito. Si è spesso parlato di almeno 150 uomini, ma non ci sono dati ufficiali. Di sicuro c'è quello che raccontò il quotidiano Le Monde nel 2016 in un'inchiesta, dove si spiegava che la Dgse, su decisione dell'ex premier Francois Hollande, stesse portando avanti attacchi mirati e segreti contro l'Isis, lo stato islamico. Altro non si sa. L'anno scorso il sito Occhi della Guerra spiegava che gli 007 francesi avevano sì una funzione anti Isis, ma allo stesso tempo si ritrovavano spesso vicini alle azioni militari di Haftar, anche «perché stanziati nella base aerea di Benina, ad est di Bengasi, quartier generale di quello che viene soprannominato il «baffo forte della Cirenaica». Secondo il premier Conte «il personale militare italiano presente in Libia non è stato evacuato. I nostri interessi sul terreno sono parimenti tutelati. Monitoriamo naturalmente di ora in ora le condizioni di sicurezza nel Paese».
Del resto le notizie della scorsa settimana su un'evacuazione di personale dell'Eni sono state ridimensionate e smentite: in realtà si trattava di sette operatori che avevano fatto ritorno a Malta dove il Cane a sei zampe ha gli uffici da tempo. Nulla a che vedere con gli stati di crisi e di emergenza degli anni scorsi, quando il nostro colosso energetico mette in campo diplomazia e appunto i nostri 007. Ma oltre alle tensioni in Libia si certificano screzi anche in Italia, dove si cerca di capire se tra politici e esperti di intelligence ci sia il reale interesse di fare i nostri interessi o quelli della Francia. Del resto in tanti hanno ricevuto in questi anni la «Légion d'honneur», l'onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica francese.
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