Il vicedirettore Martino Cervo modera la tavola rotonda con il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci, il Ceo di Openjobmetis Rosario Rasizza, il Ceo di Multiversity Fabio Vaccarono e il prorettore del Politecnico Giuliano Noci.
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Il vicedirettore Martino Cervo modera la tavola rotonda con il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci, il Ceo di Openjobmetis Rosario Rasizza, il Ceo di Multiversity Fabio Vaccarono e il prorettore del Politecnico Giuliano Noci.
Da sinistra: Martino Cervo, Fabio Vaccarono, Rosario Rasizza, Giuliano Noci e Daniele Grassucci
A chiusura del panel dedicato a Lavoro, formazione e innovazione, che ha visto l’intervento del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara intervistato dal vicedirettore della Verità Francesco Borgonovo, è Martino Cervo. Sul palco insieme al vicedirettore della Verità, il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci, il Ceo di Openjobmetis Rosario Rasizza, il Ceo di Multiversity Fabio Vaccarono e il prorettore del Politecnico Giuliano Noci.
Creare opportunità di lavoro e non fare elemosina. È questo l’incipit della tavola rotonda moderata da Martino Cervo. Il vicedirettore della Verità ha chiesto al direttore di Skuola.net Daniele Grassucci di approfondire quelle che sono le difficoltà a far incontrare la domanda e l'offerta di lavoro osservando questo tema dal punto di vista privilegiato del mondo della scuola. «Esiste un mismatch particolarmente pesante, perché da 15 anni a questa parte le famiglie e gli studenti privilegiano i licei e di conseguenza gli istituti tecnici e professionali si sono spopolati, quindi si fa fatica a rispondere alle esigenze e alla richiesta di questo tipo di lavori. Ciò accade non solo per motivi vocazionali, ma anche per ragioni legate alla discriminazione di alcuni mestieri che ha fatto sì che si venisse a creare la mancanza di molte figure di mestieri tradizionali. Dobbiamo innanzitutto riformare e rilanciare la formazione tecnica e poi portare l'intelligenza artificiale dentro le scuole, perché non è un avversario da temere ma un compagno di lavoro».
Quando si parla di formazione e lavoro, qualcuno oggi mette in discussione e in dubbio il ruolo dell'università. In merito a questo, il prorettore del Politecnico Giuliano Noci ha le idee chiare: «Partirei da una considerazione di fondo. Il vero tema che dobbiamo considerare è il divario di competenze come fattore discriminante nello sviluppo di un territorio. Rispetto a questo è evidente che l'Italia gioca una partita di rincorsa, siamo quartultimi in Europa per competenze digitali. Abbiamo un gap molto importante che dobbiamo colmare. Il secondo elemento è che manca un disegno che noi vogliamo portare avanti come sistema Paese. Le famiglie non sanno dove iscrivere i propri figli, c’è un tema enorme di orientamento e non parlo solo del laureato ma anche dell’artigiano che è elemento distintivo del Made in Italy che oggi stiamo perdendo. Dobbiamo indirizzare le famiglie e far capire che esistono anche arti e mestieri nobili che faranno il futuro del nostro Paese e far capire dunque che siamo un Paese manifatturiero. In Cina sono ossessionati dal punto di vista dell’educazione, in altri Paesi come la Francia si fanno passi in avanti significativi. Quello che serve, quindi, è semplificare il processo di alternanza scuola lavoro tra scuole e imprese. Inoltre, facciamo in modo che ci sia una maggiore autonomia ai territori. In Italia ci sono 76 università e non è vero che sono tutte uguali, ognuna deve avere una propria specializzazione anche in base al territorio».
A prendere la parola è poi Rosario Rasizza, Ceo di Openjobmetis, la più grande azienda italiana di somministrazione di lavoro. I temi di discussione sono la formazione, i legami tra scuola e lavoro, i salari e il passaggio dall'uscita del reddito di cittadinanza che ha contribuito a creare un mismatch tra domanda e offerta di lavoro. «Oggi siamo in una condizione paradossale, abbiamo più offerta di lavoro di quella che riusciamo a coprire» - afferma Rasizza - «Mancano le figure, mancano le persone. I nostri giovani hanno un rapporto con il lavoro un po’ particolare e la colpa è di noi genitori che non insegniamo loro la fatica di cercarsi un posto di lavoro. A scuola bisognerebbe insegnare come fare un colloquio, come stare davanti a un imprenditore. Siamo in una fase particolare, ma il lavoro deve essere veloce, serve meno burocrazia, solo così possiamo fare qualcosa di buono».
Infine, con Fabio Vaccarono, Ceo di Multiversity, uno più grandi player in ambito di formazione di università telematiche, si parla della contrapposizione tra le università digitali e quelle tradizionali: «Il ritardo italiano sulle competenze è molto grave rispetto agli altri Paesi europei» - dice Vaccarono - «Dobbiamo unire le forze delle eccellenze universitarie tradizionali e digitali per aiutare il nostro Paese a uscire da questa condizione e tenere il passo degli altri Paesi, oppure avremo un’ecatombe sociale. La contrapposizione è solo formale, perché tre quarti dei nostri studenti sono studenti lavoratori che hanno quindi la possibilità di fare quella che chiamiamo alternanza scuola-lavoro».
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Ansa
La nomina di Fabio Vaccarono come direttore generale era già chiusa, ma non si è trovato l'accordo sullo stipendio. Per il ministero dell'Economia non si può aggirare, come avevano chiesto i grillini, il tetto di 240.000 euro. I 5 stelle potrebbero ritrovarsi così il renziano Gian Paolo Tagliavia.
Chiusa la partita su Cassa depositi e prestiti, sulle nomine restano ancora due caselle da chiudere per il governo gialloblu di Giuseppe Conte. E sono posti di peso perché riguardano la presidenza e il direttore generale della Rai. A quanto pare nei giorni scorsi, nel pieno delle trattative su Cdp, la quadra tra la Lega e i 5 Stelle era stata trovata. Giovanna Bianchi Clerici avrebbe preso il posto di Monica Maggioni. Già consigliere di amministrazione in viale Mazzini, ex parlamentare leghista, sarebbe appunto salita in quota Lega. Per la direzione generale invece, posto ora di Mario Orfeo, il ruolo spettava a Fabio Vaccarono, country manager di Google Italia. Tutto a posto? A quanto pare gli accordi sono saltati all'ultimo minuto. Il problema è lo stipendio.
Il tetto di 240.000 euro in Rai non invoglia manager di esperienza a sobbarcarsi il carrozzone della televisione pubblica. Si tratta di una cifra troppo bassa per chi arriva dal privato, tanto che diversi manager avrebbero rifiutato, tra questi ci sarebbe anche Vittorio Colao, appena uscito da Vodafone. A quanto pare i grillini avrebbero chiesto al Tesoro di aggirare il limite dei 240.000 euro senza violare la legge. Ma il tema è spinoso, perché sugli stipendi d'oro i 5 stelle hanno costruito parte della loro battaglia politica. Per di più la nomina del direttore generale spetta al Tesoro, secondo l'ultima riforma del governo Renzi. Per questo motivo di sicuro non aiutano le ultime frizioni tra il ministro Giovanni Tria e il ministro per il Lavoro e lo sviluppo economico Luigi Di Maio. Il clima resta comunque incandescente. Del resto anche lo stesso presidente deve avere i due terzi dei voti in commissione di Vigilanza, quindi il sostegno di almeno uno tra i gruppi di Forza Italia e Pd. In sostanza la stessa Bianchi Clerici rischia. Ago della bilancia potrebbero i componenti del consiglio di amministrazione, da poco eletti in parlamento, come Igor De Biasio, quota Lega, o Rita Borioni, Partito democratico, Beatrice Coletti, per i 5 stelle e Gianpaolo Rossi, di Fratelli d'Italia.
A rendere la situazione più complessa è pure la nomina di Alberto Barachini, ex giornalista Mediaset ora senatore di Forza Italia, nominato come presidente di Vigilanza. D'altra parte i grillini avrebbero altri nomi per la presidenza Rai, come quelli del giornalista Ferruccio De Bortoli o dell'ex conduttrice di Report, Milena Gabanelli. La prossima settimana, quindi, dopo il ritorno di Tria dall'Argentina, si tornerà al tavolo delle trattative. Se non si riuscirà a trovare un accordo con Vaccarono, alcuni nei palazzi romani lo danno già per perso, ci sarebbero altri possibili manager in pista. Andrea Castellari, di Viacom già in Discovery e poi a Mtv Gian Paolo Tagliavia, arrivato in Rai con l'ex dg Antonio Campo Dall'Orto, quindi, Andrea Cardamone, amministratore delegato della banca online Widiba. Gioca per un posto anche Fabrizio Salini, ex direttore La7. L'ipotesi Tagliavia sarebbe la più fallimentare per il governo gialloblù, si tratterebbe di una nomina interna, della vecchia gestione renziana.
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A due settimane dall'uscita di Franco Moscetti è ancora tutto fermo. Pressioni su Emma Marcegaglia per il posto di Giorgio Fossa, ma arriva il no dell'ex numero uno di Confindustria.
C'è tensione ai piani alti del Sole 24 Ore. A distanza di due settimane dall'addio di Franco Moscetti non è ancora stato trovato un sostituto. O meglio, l'unico al momento rimasto in corsa è Giuseppe Cerbone, amministratore delegato dell'agenzia di stampa Ansa. A quanto risulta alla Verità avrebbero rifiutato l'offerta sia Fabio Vaccarono sia Alessandro Bompieri, ex Sole ora entrambi in Rcs. Cerbone è già stato avvistato nei giorni scorsi in viale Monterosa, ma la questione non è ancora stata risolta. A quanto pare in viale dell'Astronomia vorrebbero nominare in contemporanea il sostituto del presidente del consiglio di amministrazione Giorgio Fossa, anche se potrebbe essere un autogol da parte del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che lo nominò nel 2016. Di sostituti non se ne trovano neanche per questo incarico o forse, più semplicemente, in pochi hanno voglia di affrontare un dossier così spinoso. Sono state fatte pressioni sul presidente di Eni Emma Marceglia, che però, per questioni di stile e incarichi, ha preferito declinare l'offerta. Insomma è tutto fermo, mentre il quotidiano di via Monterosa ha praticamente esaurito i quasi 50 milioni di euro di ricapitalizzazione e perde quasi 180.000 euro al giorno.
Eppure sui destini del Sole 24 Ore si sta giocando il suo mandato alla presidenza di Confindustria Vincenzo Boccia. Viale dell'Astronomia è azionista di maggioranza e nel 2016 fu proprio Boccia a intestarsi la rinascita del quotidiano economico, dopo l'uscita di Gabriele Del Torchio dopo appena sei mesi di incarico per dissidi con Luigi Abete. Gli ultimi due anni sono stati difficili. Pendono ancora le inchieste della procura di Milano e della Consob. Moscetti entrò in carica il 15 novembre del 2016, gli è toccato gestire la ricapitalizzazione del gruppo, ma soprattutto sotto il suo operato si è provato a tagliare il più possibile i costi. Ma il buco non è rientrato. Per di più l'aria dentro Confindustria non è semplice dopo la caduta del governo di centrosinistra e in particolare la fine politica di Matteo Renzi, sempre più una meteora, ma su cui proprio Boccia aveva voluto investire, sin dai tempi del referendum istituzionale del 2016. Matteo Salvini, segretario della Lega e vicepremier, lavora da tempo per demolire l'ala romana confindustriale. Lo appoggiano Assolombarda, come le confindustrie di Veneto e Piemonte.
La grana Sole 24 ore è spinosa. Lo stesso comitato di redazione, dopo l'uscita di Moscetti, ha giudicato la scelta dell'ormai ex amministratore delegato, come «Una decisione che, senza fornire spiegazioni, decapita l'azienda, priva in questo momento anche del cfo e con ancora pendente un'inchiesta della Procura di Milano e della Consob». Soprattutto i giornalisti hanno attaccato l'azienda sulle possibili buonuscite di Moscetti. «Ebbene - scrivono - noi non pagheremo queste buonuscite. Lo faccia l'azionista. A noi non resta che aspettare che l'azione di responsabilità nei confronti di chi ha commesso negli anni scelte sciagurate, come più volte da noi richiesto, trovi finalmente attuazione». Sulla cifra incassata dall'ex numero uno di Amplifon non ci sono ancora dati certi. Ma arriveranno.
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