Con la crisi di governo a Tripoli, Bengasi annusa aria di capitale. Per l'Italia sarebbe un bel colpo
Se fino a pochi mesi fa l'area libica di maggiore preoccupazione per l'Occidente sembrava essere la Cirenaica, con la convergenza delle principali potenze sull'uomo forte di Bengasi, il generale Khalifa Haftar, ora l'allarme si è spostato sulla città del governo Serraj. La nuova instabilità irrita gli Usa e spinge Roma ad accelerare l'apertura del consolato in Cirenaica. Confermando la strada intrapresa durante gli incontri di Palermo.
Che non soltanto è minacciata dai ribelli del Fezzan (dove Ghassan Salamé si è recato nel fine settimana per la prima volta da quando è diventato inviato delle Nazioni Unite nell'estate del 2017) ma rischia di essere prossima a una crisi di governo visto l'ultimatum inviato al premier Fayez Al Serraj dai suoi tre vicepresidenti, Ahmed Maiteeq (rappresentante di Misurata), Fathi Al Majbari (Cirenaica) e Abdel Salam Kajman (Fratelli musulmani).
I tre accusano il leader del governo di accordo nazionale di voler portare avanti un processo decisionale «individuale», che rischia di condurre la Libia «a un nuovo scontro armato tra fazioni». Serraj non considera più i partner interni, si legge nella dichiarazione, ed è diventato totalmente dipendente «dalle coalizioni transnazionali e da attori internazionali». Inoltre, la mancanza di risultati nella lotta al terrorismo e all'immigrazione illegale, oltre che nelle risposte alla crisi economica, rendono il Consiglio presidenziale, secondo i tre vice, «una delle parti della crisi e non un mezzo per risolverla».
Tutto nasce dalla volontà di Serraj di nominare Ehmaid Ben Omar nuovo ministro della Sanità e Sulaiman Al Shanti alla presidenza dell'Autorità per il controllo amministrativo, che vigila sui bilanci dello Stato. Entrambi nomi sgraditi a Maiteeq, Al Majbari e Kajman. Il premier ha forzato la mano invitando Ben Omar a una seduta di governo e i tre l'hanno cacciato dall'incontro per poi mettersi a scrivere quella lettera. Una missiva che ha messo a repentaglio la già precaria condizione politica di Tripoli (e in particolare gli accordi tra le fazioni firmati a Skhirat il 17 dicembre 2015 da cui nacque il Consiglio presidenziale e l'attuale spartizione di poteri) e minaccia il percorso di stabilizzazione del Paese.
Serraj ha replicato durante un'intervista all'emittente televisiva turca Trt ribaltando il tavolo e accusando i suoi tre vice. Il premier ha sostenuto che alcuni membri del Consiglio «vogliono portare lo scontro all'interno di questo organismo invece di disinnescarlo» e ha fatto appello all'unità dell'esecutivo in vista del voto che si avvicina. Serraj è convinto di rimanere premier fino alle elezioni parlamentari, che, secondo la road map delle Nazioni Unite potrebbero tenersi entro la primavera (per le presidenziali si potrebbe dover attendere fino a fine anno). Ed è per questo, spiegano fonti libiche, che starebbe forzando la mano su alcune scelte accentrando i poteri.
Ma la situazione a Tripoli ha irritato Washington e anche Roma. Sia gli Usa sia l'Italia temono infatti che sommando ai problemi del Fezzan l'instabilità della Tripolitania si spalanchino nuovamente le porte all'immigrazione clandestina e al terrorismo provenienti dal Sahel. Per queste ragioni, riferiscono fonti della Farnesina, il ministero degli Esteri italiano sta pensando di accelerare le procedure per riaprire prima di quanto previsto (cioè entro la primavera) il consolato di Bengasi, chiuso in via precauzionale nel 2013 in seguito all'attentato al console Guido De Sanctis.
In questo momento l'Italia punta forte sul riavvicinamento a Haftar (recentemente, tre aziende italiani si sono recate a Bengasi per discutere con i funzionari dell'aeroporto di Benina dei progetti di ristrutturazione dello scalo), viste le difficoltà di Tripoli. Qui, a breve, dovrebbe insediarsi il nuovo ambasciatore Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, diplomatico gradito a Serraj, meno ad Haftar. Ma i recenti sviluppi politici nella capitale libica, che vanno ad aggiungersi all'instabilità del Sud, hanno convinto la Farnesina a mettere fretta anche alle autorità di Tripoli per procedere all'insediamento dell'ambasciatore che sostituirà Giuseppe Perrone destinato in Iran.
Semplicemente ha preso i bambini ed è partito per la Tunisia. Ha viaggiato indisturbato a bordo di un furgone da Bolzano a Tunisi, mentre il consolato tunisino gli aveva già fornito il passaporto e il permesso per portare i minori all'estero. Anche senza il consenso della madre a cui erano stati affidati, che di quel viaggio non sapeva nulla e che, secondo le leggi italiane, avrebbe dovuto autorizzare l'espatrio. La storia di Jamel Methenni, il tunisino di 33 anni, sposato con Rosa Mezzina, 28 anni, scomparso da Bolzano domenica 22 aprile con i due figli piccoli Yassine, di quattro anni e la sorellina Yasmine, che ne ha soltanto due, è molto più di una semplice vicenda familiare.
E non tanto per l'allontanamento dei minori dalla mamma che, per quanto ennesimo drammatico caso, fortunatamente pare non essere accompagnato da intenzioni violente, visto che proprio nelle scorse ore l'uomo ha contattato la moglie facendole sapere che i bimbi stanno bene, quanto piuttosto per le modalità, anche formali, con cui si è svolto. Methenni era scomparso due settimane fa portando con se i due bimbi da casa della moglie, dalla quale si sta separando.
La mamma li aveva lasciati soli con il padre nella casa dove avevano vissuto fino a poco tempo prima, a Bolzano, e tornando dal lavoro, si era accorta che in casa mancavano l'uomo e i due bambini e anche dei vestitini dei piccoli e una valigia. Mentre, particolare non indifferente, i documenti italiani dei due piccoli si trovavano ancora al loro posto. Immediatamente nella mente della donna si è affacciato il terribile sospetto che il padre avesse volontariamente preparato la fuga per portare i due piccoli nel suo Paese d'origine e sottrarli alle sue cure, magari come ripicca per la separazione. La mamma si è rivolta alle forze dell'ordine per segnalare la sparizione e, dopo una settimana di patimenti, è stata contattata dal marito che le ha confermato di avere con sé i bimbi e di non avere per ora intenzione di far ritorno in Italia. Durante le ricerche, il ministero degli Esteri e l'avvocato di Rosa, Nicodemo Gentile, hanno tentato di capire come l'uomo avesse potuto espatriare con i due minori senza essere fermato alla frontiera per un controllo e un'inquietante verità è venuta a galla, nel corso delle indagini. L'uomo, infatti, è scappato da Bolzano sicuro di avere la via di fuga aperta, grazie ai passaporti rilasciati per lui e per i bambini, giovedì 19 aprile (quello precedente la fuga) dal consolato tunisino di Milano.
A spiegarlo è stato lo stesso consolato con una nota ufficiale, confermando implicitamente che la fuga era preparata e che qualcosa, nel rispetto delle leggi italiane non ha funzionato. «È un grave e inquietante esempio di come le leggi italiane non valgono a casa nostra, dove invece valgono le leggi di certi Paesi islamici, in cui la donna è considerata inferiore all'uomo» ha commentato il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli. «Documenti tunisini per i bambini rilasciati senza l'assenso della mamma, nonostante avesse avuto l'affidamento dei figli: eppure nessuno l'ha interpellata per il rilascio di documenti che hanno permesso di strapparle i figli e portarli in Tunisia, questo perché per la Tunisia evidentemente la madre non ha alcun diritto sui figli», ha sottolineato Calderoli. «È bene che ora la Farnesina si attivi, ma ormai è tardi: il consolato tunisino che ha preso in giro le nostre leggi deve risponderne», aggiunge il vicepresidente, «magari potremmo rispedire a Tunisi il loro corpo diplomatico, in quanto non gradito, almeno fino a quanto i due bimbi non torneranno a Bolzano dalla mamma…».
A sollevare il problema di una prassi non corretta era stato già qualche giorno fa l'avvocato di Rosa: «Se è vero che questi consolati hanno la prassi di rilasciare passaporti validi anche per minori senza l'assenso di entrambi i genitori, è un fatto molto grave. È opportuno andare a fondo a questo aspetto perché con questa prassi, anche involontariamente, facilitano la commissione di reati», aveva spiegato Gentile. «Se la moglie va in Tunisia e si prende un avvocato, quell'uomo se la vede brutta. La nuova legislazione tunisina è molto severa e stabilisce chi i genitori hanno pari diritti», ha invece precisato alla stampa locale Harrabi Ferjani, referente dell'associazione famiglie tunisine di Bolzano, tentando di gettare acqua sul fuoco. Eppure quello di Rosa e dei suoi bambini non è che uno dei tanti casi in cui la giustizia italiana sembra avere le mani legate davanti agli allontanamenti dei minori. Qualche mese fa aveva fatto scalpore la vicenda, trattata dalla trasmissione televisiva Le Iene, di una donna di origine tedesco marocchina, sposata a un italiano che, in barba all'affidamento condiviso con il padre, aveva portato con sé nella terra d'origine i due figli ed era riuscita a tenerli lontani dal padre per anni, nonostante in Italia le fosse stata sospesa la potestà genitoriale. I piccoli erano stati sottratti dalla madre nel febbraio del 2015 e portati prima in Germania e poi in Marocco e solo lo scorso autunno, dopo la messa in onda della trasmissione, hanno potuto riabbracciare il papà, grazie ad un accordo raggiunto tra i genitori. Vicenda simile e ancora aperta, quella di Paola Imbesi, trentasettenne siciliana di Barcellona Pozzo di Gotto che si è vista sottrarre suo figlio di soli quattro anni dal padre, un marocchino dal quale si stava separando nel lontano 2013 e da allora lotta per riaverlo.





