Vi ricordate gli incidenti ai Boeing 737Max avvenuti nel 2018 e 2019? Ecco come è andata a finire la faccenda e che cosa sta accadendo oggi nel mercato.
Ansa
- Per capire l'entità del problema bisogna ricordare che una flotta di quasi 400 B-737 Max 8 è stata messa a terra perché l'aeroplano avrebbe causato la morte di 346 persone.
- L'indagine sui documenti interni di Boeing ha rivelato che già sette anni fa Lion Air aveva richiesto una formazione più approfondita per addestrare i suoi equipaggi al nuovo aereo, richiesta non soddisfatta dal costruttore americano che con un lavoro di lobby aveva ottenuto l'accordo dei reparti interni.
- Dopo gli incidenti ai Max sta attraversando uno dei momenti più complicati della sua storia ma non il peggiore: negli anni Settanta la cancellazione del programma spaziale Apollo aveva generato una crisi profonda che l'azienda riuscì a superare soltanto con l'entrata in servizio del B-747 Jumbo Jet.
Lo speciale contiene tre articoli
Con manifesta aggressività la stampa americana, specialmente quella vicina ai Democratici, non perde occasione per evidenziare i guai di Boeing. Intanto al quartier generale di Everett (Seattle), nella sede legale di Chicago (Illinois) e presso gli stabilimenti sparsi per gli Usa proseguono senza sosta i lavori per riportare in volo il B-737 Max 8 in stretta collaborazione con i funzionari delle autorità aeronautiche di mezzo mondo. Un lavoro che ha evidenziato non soltanto i problemi al software del sistema Mcas, principale causa dei disastri aerei Lion Air ed Ethiopian, ma anche possibili problemi causati dalla posizione di alcuni cablaggi dentro ai quali viaggiano i segnali che controllano la coda del velivolo. Per risolvere i problemi sarà utilizzata la via della prescrizione di aeronavigabilità obbligatoria, e stante che il modello di aeroplano in questione è fermo si dovrà procedere alla modifica di circa 800 velivoli prima della loro rimessa in servizio. Boeing ha informato la Faa circa la potenziale nuova vulnerabilità del Max il mese scorso e il nuovo amministratore delegato Dave Calhoun ha subito discusso internamente all'azienda delle possibili modifiche necessarie ai cablaggi di coda.
Certamente ciò avrà l'effetto di allungare i tempi per mettere fine a una crisi senza precedenti che ha investito una tra le più importanti aziende americane e con lei sta sconvolgendo il mercato dell'aviazione commerciale in tutto il mondo. Per capire l'entità del problema bisogna ricordare che una flotta di quasi 400 B-737 Max 8 è stata messa a terra perché l'aeroplano avrebbe causato la morte di 346 persone. Tutti questi aeroplani ora si trovano in svariate parti del pianeta e anche nel momento in cui fossero modificati, per poter decollare dovrebbero superare un costoso e pesante ciclo di manutenzione straordinaria anche ai sistemi che hanno sempre funzionato bene. Questo perché qualsiasi aeroplano moderno non è costruito per rimanere a terra, né i suoi sistemi e motori possono essere rimessi in moto se fermi da oltre un mese. Figuriamoci da quasi un anno, era infatti il marzo 2019 quando il Max fu bloccato.
Tuttavia ci sono segnali che dicono come Boeing stia facendo progressi: la delegazione dell'autorità aeronautica europea Easa è stata a Seattle questa settimana per collaudare il nuovo software in un simulatore ed entro la fine del mese il Max tornerà ad affrontare un ciclo di collaudi in volo. Sarà una sorta di esame finale, l'uscita tecnica, ma non finanziaria, da un incubo con le compagnie che hanno il maggior numero di questi aerei, la American Airlines e la Southwest Airlines, stanno pianificando di usare i Max nuovamente per i voli commerciali a partire da aprile, mentre United Airlines ha spostato il rientro in servizio per giugno.
«La nostra priorità è garantire che il Max soddisfi tutti i requisiti di sicurezza e normativi prima di tornare in servizio», ha dichiarato il portavoce della Boeing Gordon Johndroe, colui al quale tocca il compito di comunicare fattivamente quel recupero di credibilità che proprio il Ceo Calhoun ha imposto dal suo insediamento l'8 gennaio scorso. Johndroe ha il complicato compito di spiegare come mai oltre al sistema Mcas e al possibile cortocircuito nei cablaggi di coda le autorità aeronautiche stiano indagando a fondo anche un possibile problema nei motori della CFM, la joint venture tra General Electric e Safran che li produce. Durante l'assemblaggio del Max i lavoratori della fabbrica Boeing di Renton, nello stato di Washington, hanno tolto il guscio esterno di un pannello che si trova sopra l'alloggiamento del motore nel tentativo di garantire un migliore adattamento all'aereo. In tal modo hanno però rimosso anche il rivestimento che isola il pannello da eventuali danni derivanti dall'essere colpito dai fulmini, una protezione cruciale per il serbatoio e le linee del carburante. La Faa sta emettendo una direttiva in proposito e l'azienda è già in procinto di risolvere anche questo problema. Boeing ha l'evidente interesse di risolvere ogni possibile guaio del Max prima del suo rientro in servizio, ma questo allunga i tempi e scatena la stampa in una campagna denigratoria senza precedenti. Non c'è dubbio che il B-737 Max 8 sia oggi l'aeroplano più importante della gamma, con circa 5.000 ordini provenienti da compagnie di tutto il mondo, così quando è stato annunciato il temporaneo stop alla linea di produzione il mondo dell'aviazione ha compreso l'intento di sistemare ogni problema dalla costruzione in poi, mentre i media hanno puntato l'indice sulla crisi che avrebbe investito i fornitori fino a suscitare l'interesse di Donald Trump. Risultato: le azioni hanno perso il -21% in pochi mesi ma ciò che è peggio sono le decine di miliardi di dollari che Boeing dovrà sborsare per interventi, compensazioni e spese legali.
Dalle indagini emerge che il marketing senza scrupoli dominava ingegneria e buon senso
Il B-737 Max 8 doveva essere pronto il prima possibile e richiedere il minimo adattamento degli equipaggi. O avrebbe lasciato campo libero alla concorrenza dell'Airbus A321Neo. Era il 2013 e gli sforzi di Boeing per mantenere l'addestramento al modello Max quanto più simile possibile a quello del precedente B-737 Ng, sveltendo quindi la transizione dei piloti e aumentando la competitività, erano focalizzati nella semplificazione dei programmi di addestramento che non prevedevano neppure la spiegazione del sistema di aumento delle caratteristiche di manovra, il famigerato "Mcas", causa degli incidenti Loin Air ed Ethiopian. L'indagine sui documenti interni di Boeing ha rivelato che già sette anni fa Lion Air aveva richiesto una formazione più approfondita per addestrare i suoi equipaggi al nuovo aereo, richiesta non soddisfatta dal costruttore americano che con un lavoro di lobby aveva ottenuto l'accordo dei reparti interni. Le mail dell'azienda e gli scambi di messaggi sottolineavano la priorità per Boeing di vendere il Max-8 come fosse quasi uguale al suo predecessore NG rinunciando a procedure più conservative, addirittura pubblicizzando che la transizione degli equipaggi tra i due modelli sarebbe avvenuta senza neppure un'ora di addestramento al simulatore per i piloti. Il rischio era che la Faa, la Caac e l'Easa, ovvero le maggiori autorità aeronautiche mondiali, avrebbero potuto considerare il sistema Mcas come qualcosa di nuovo e quindi imporre più formazione in quanto si trattava di un congegno che comandava automaticamente i movimenti di un comando primario del velivolo. E per il marketing sarebbe stato svantaggioso.
Una versione dello Mcas era stata sviluppata anni prima per le aerocisterne militari basate sul modello B-767 sul quale però, come direbbero alcune mail interne Boeing del giugno 2013, essa veniva trattata come una funzione di «regolazione della velocità». La soluzione di Boeing fu quindi quella di considerare lo Mcas del Max come qualcosa in più" e l'azienda cercò e ottenne l'assenso del suo funzionario presso l'autorità aeronautica Faa per garantire che quella strategia fosse accettabile ai fini della certificazione dell'aeroplano. Ecco perché il sistema Mcas non apparve né nei programma di addestramento, né in alcun ampliamento della manualistica. Nell'agosto 2016 la Faa approvò in via definitiva questa sciagurata procedura e l'aeroplano nove mesi dopo fu consegnato al suo primo cliente. Tutto sarebbe filato liscio se, tre anni dopo, l'attivazione errata dello Mcas non avesse causato gli incidenti Lion Air 610 nell'ottobre 2018 e del volo Ethiopian Airlines 302 nel marzo 2019, eventi che hanno portato le autorità aeronautiche a mettere a terra il Max per le necessarie modifiche alla logica del sistema, al quale stavolta seguirà una formazione dedicata. Fino a quei tragici eventi la maggior parte dei piloti non sapeva nemmeno che lo Mcas esistesse e alle prime indagini Boeing ribadì più volte di aver escluso il sistema dai manuali per semplificare l'addestramento, e che la sua errata attivazione sarebbe stata diagnosticata come un'anomala regolazione dello stabilizzatore dell'aereo. Tuttavia le mail aziendali del 2013 e gli incidenti hanno sconfessato queste tesi.
Lion Air era stato il primo cliente dell'area Asia-Pacifico a ordinare il Max nel giugno 2017. A ridosso della consegna la compagnia aerea stava ancora sviluppando il programma di addestramento e questo prevedeva sessioni al simulatore. Lion Air avrebbe quindi fatto da apripista per tutte le altre compagnie che stavano aspettando i nuovi aerei, le quali avrebbero monitorato e valutato i suoi progressi, compresa la formazione.
«Che cosa accadrà a Seattle se sarà richiesto ulteriore addestramento oltre a quello definito, oppure se la vostra compagnia aerea determinerà la necessità di un addestramento aggiuntivo?», chiese un dipendente Boeing a un comandante istruttore di Lion Air all'inizio di giugno 2017, e il capitano rispose che la compagnia aerea aveva comunque deciso di far addestrare i piloti che passavano dallo NG al Max anche da un programma di allenamento al simulatore.
«Non c'è alcun motivo per richiedere questo ai vostri piloti ai fini di iniziare a pilotare il Max», ribatté l'impiegato Boeing, "una volta avviati i motori c'è solo una differenza rispetto allo Ng ed è procedurale, Boeing non comprende che cosa si potrebbe ottenere da una sessione di simulazione. Non a caso le autorità aeronautiche hanno accettato tutti i criteri di formazione richiesta per passare al Max". La mail si concludeva con: «Sarei felice di condividere l'addestramento sulle differenze operative con te per aiutarvi a capire che un simulatore Max non è necessario». Alla fine, in una successiva comunicazione, il funzionario Boeing presentò le differenze tecniche e operative del Max rispetto allo NG al responsabile dell'addestramento della Lion Air invitandolo a prendere in considerazione come alternative al simulatore un'ora di volo da copiloti o che il primo volo su un Max di un nuovo pilota fosse eseguito insieme a un collega con esperienza su quell'aeroplano.
Il 9 gennaio scorso, a conclusione di una conferenza stampa sulla situazione del Max, Dave Calhoun ha ribadito quello che da ora sarà il manifesto Boeing: Sicurezza, qualità, integrità.
Boeing e Airbus, troppo spesso due pesi e due misure
Non ci fu un tale accanimento nei confronti di Airbus né quando l'azienda europea perse un prototipo per un problema al sistema digitale dei comandi, né quando le sonde ghiacciate causarono la perdita del volo Air France 447 (uno A330-203) nell'Oceano Atlantico nel giugno 2009. Impossibile dire se un costruttore sia meglio dell'altro, Boeing costruisce aeroplani dal 1916, Airbus dal 1969 e per entrambe le aziende le cause dimostrate che hanno causato incidenti sono per la quasi totalità da imputarsi a fattori esterni a quelli tecnici, bensì umani. Entrambe le realtà sono colossi attivi anche nei settori della Difesa e dello Spazio. Airbus conta 130.000 dipendenti e genera un fatturato di circa 65 miliardi di euro. Boeing è una company da quasi cento miliardi di dollari che da lavoro a 140.000 persone soltanto negli Usa e ad almeno altre 150.000 nell'indotto nel resto del mondo.
Dopo gli incidenti ai Max sta attraversando uno dei momenti più complicati della sua storia ma non il peggiore: negli anni Settanta la cancellazione del programma spaziale Apollo aveva generato una crisi profonda che l'azienda riuscì a superare soltanto con l'entrata in servizio del B-747 Jumbo Jet. Anche il suo velivolo best-seller, la prima versione del B-737, non fu esente da problemi, ma nella sua evoluzione in 52 anni ha dato vita al progetto più longevo e di successo della storia dell'aviazione commerciale. Il segmento di mercato del corto-medio raggio per aggredire il quale Airbus negli anni '80 ha sviluppato la linea A-320 (oggi Neo), e più recentemente sono arrivati altri concorrenti come il brasiliano Embraer 195, il russo Sukhoi Superjet 100 e il cinese Comac 919. Gli errori commessi da Boeing con il Max sono stati di una gravità senza precedenti, tuttavia il nuovo corso iniziato dall'arrivo di Dave Calhoun è orami cominciato ed entro Pasqua i Max torneranno a volare.
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Ansa
- A 5 ore dalla ritorsione, un velivolo ucraino si schianta appena decollato. Per le autorità «è esploso un motore». Ma le scatole nere vengono sequestrate. I dubbi sullo spazio aereo rimasto aperto e il ruolo dell'artiglieria.
- Pioggia di missili (ma annunciata). Colpiti due siti per vendicare Qassem Soleimani: «80 terroristi americani uccisi». In realtà nessuna vittima statunitense. E Baghdad svela di essere stata avvisata prima del raid.
Lo speciale comprende due articoli.
Un aereo a 8.000 piedi, 300 miglia orarie. Un'esplosione. Detriti precipitati su un'area piuttosto ampia fuori Teheran. L'unica certezza è legate al numero delle vittime: 176, 167 passeggeri e nove membri dell'equipaggio. Nessuno è sopravvissuto: 82 erano iraniani, 11 di nazionalità ucraina, 63 canadesi, 10 svedesi, quattro afgani, tre tedeschi e tre britannici.
Com'è accaduto? Sarà difficile saperlo visto che il capo dell'aviazione civile iraniana Ali Abedzadeh ha comunicato che Teheran non consegnerà a Boeing le scatole nere del 737-800 della Ukraine Airlines che ieri, decollato dall'aeroporto internazionale Imam Khomeini alle 6.12 locali, ha perso il contatto alle 6.14 precipitando in una zona agricola nella periferia della capitale iraniana.
L'Agenzia federale statunitense per l'aviazione ha vietato a tutti i voli commerciali di entrare nello spazio aereo iraniano e iracheno dopo il lancio di missili contro le basi militari Usa avvenuto verso l'1.20 ora locale, cioè cinque ore prima del disastro aereo. L'Agenzia ha sottolineato il «rischio» di «possibili errori di calcolo e di identificazione» in caso di lancio di missili. Diversi vettori non americani, inoltre, hanno dirottato i loro voli mercoledì per evitare l'Iraq e l'Iran. Non entreranno nello spazio aereo di Iran e Iraq neanche Qantas, Malaysia Airlines, Singapore Airlines, Air France e Lufthansa.
Quindi, quali sono le ragioni del disastro? L'incidente, secondo quanto riferito dal portavoce del ministero dei Trasporti iraniano, Qassem Biniaz, all'agenzia Irna, si sarebbe verificato a causa di un motore che ha preso fuoco, senza che il pilota sia riuscito a riprendere il controllo. Nessun attacco missilistico, quindi, per Teheran.
Tuttavia, se inizialmente l'ambasciata ucraina in Iran aveva dichiarato che a causare lo schianto sarebbe stato un guasto a un motore, escludendo l'ipotesi terrorismo e anche quella del missile, in seguito però Kiev ha ritirato questa dichiarazione. Nessuno pista è esclusa, così il presidente Volodimyr Zelensky ha ordinato un'inchiesta. Ritrattando la posizione iniziale, nel pomeriggio l'ambasciata ucraina in Iran ha precisato come «tutte le informazioni sulla sciagura avvenuta nei pressi di Teheran saranno fornite da una commissione ufficiale».
Il Boeing 737-800 non è stato contrassegnato per problemi durante le ultime verifiche della Boeing: il mezzo coinvolto era stato consegnato nel 2016 e ha sempre passato i controlli di routine. I dubbi circa le responsabilità iraniane, invece, sono diversi. Ne evidenziamo due. Il primo riguarda lo stato dello spazio aereo civile: lasciarlo aperto in un contesto di guerra, con le difese attive per timore di una risposta statunitense, è stato un clamoroso errore da parte dell'Iran. Un atto che mette a repentaglio per prima cosa la vita dei suoi cittadini. Il secondo riguarda i datati sistemi antiaerei iraniani, basati sui missili Sayyad di fabbricazione sovietica, ammodernati dalla Cina e rivenduti all'Iran depotenziati in termini di sistemi per fissare la superiorità di Pechino su Teheran.
Le possibilità sono due: un'altra esplosione del motore Cfm56 montato sul Boeing 737 dopo quella che ha coinvolto un aeroplano nel 2018 (e sarebbe piuttosto clamoroso) o un missile della contraerea iraniana che potrebbe aver «letto» l'aereo di linea come oggetto in movimento da abbattere (ecco a cosa sarebbe servito chiudere lo spazio aereo). Quest'ultima è la tesi dell'emittente televisiva Al Hadath, che fa parte del gruppo della saudita Al Arabiya, secondo cui il Boeing sarebbe stato colpito per errore da un missile sparato dai Guardiani della rivoluzione iraniana, i Pasdaran, ossia l'organizzazione la cui unità d'élite era guidata dal generale Qassem Soleimani, il comandante ucciso la settimana scorsa da un raid statunitense e in nome del quale poche ore prima Teheran aveva aperto il fuoco contro le basi irachene che ospitano militari statunitensi.
A gettare ombre su Teheran è anche l'Ops group, un team di esperti di aviazione, che ha scritto: «Invitiamo a partire dall'assunto che si è trattato di un abbattimento», simile al caso del Volo Malaysia Airlines 17 abbattuto da un missile terra-aria nel 2014. Gli esperti hanno pubblicato alcune foto del luogo dell'incidente che spiegando che «si vedono evidenti fori da proiettile nella fusoliera e su un'ala».
Ma c'è una terza ipotesi. Ad annoverarla è Zeev Sarig, ex direttore dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, in Israele, uno dei più sicuro al mondo. Secondo lui il disastro potrebbe essere stato causato da un esplosivo a bordo.
C'è da augurarsi che l'Iran collabori alle indagini. Anche soltanto per stemperare le voci secondo cui il bilancio della reazione di Teheran all'uccisione di Soleimani sarebbe di 56 (se non di più) morti durante i funerali del generale Pasdaran più i 176 del disastro aereo.
Pioggia di missili (ma annunciata)
«Ottanta terroristi americani». Secondo l'Iran sarebbe questo il bilancio dei raid missilistici avvenuti l'altro ieri notte: colpita la base di Ayn Al Asad, nel deserto dell'Iraq che ospita i marine americani e militari della coalizione (tra cui gli italiani, rimasti illesi), e la base di Erbil, più a Nord del Paese. L'Iran «non cerca un'escalation o una guerra ma si difenderà da ogni aggressione», ha spiegato via Twitter il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif parlando di una risposta «proporzionata» di legittima difesa in linea con l'articolo 51 della Carta Onu.
Stati Uniti e alleati hanno smentito il bilancio iraniano: zero morti. Ma è possibile che un raid da 22 missili abbia fallito? Per prima cosa va sottolineato il fatto che i due obiettivi sono piuttosto grandi: tanto che ci sono al loro interno diverse zone in cui perfino una testata con un raggio d'azione di 100 metri non causerebbe danni. Inoltre, non va dimenticato che le forze della Coalizione, dopo anni di minacce missilistiche e di pericoli attentati suicidi, hanno rafforzato le loro difese. Può bastare un preavviso di 60 secondi per mettere tutti al riparo. Infine, c'è da considerare la possibilità che l'Iran abbia deliberatamente fatto cilecca: una dimostrazione di forza e nulla più.
A rafforzare questa tesi c'è quanto dichiarato dal premier iracheno, il dimissionario Adil Abdul Mahdi, uomo molto vicino all'Iran. Ieri ha rilasciato una dichiarazione affermato di aver ricevuto un «messaggio verbale ufficiale» da Teheran prima dell'attacco missilistico. Sembra quindi che all'Iran bastasse dare un segnale al suo popolo, per distrarlo dalla crisi economica individuando un nemico esterno, gli Stati Uniti, per compattare gli iraniani anche in vista del voto di febbraio.
Teheran sembra aver ottenuto ciò che desiderava. Ha messo nel mirino le basi della Coalizione in Iraq ma senza ampliare il terreno di scontro. Ha mandato un avvertimento ma evitando morti. Ha sparato suoi missili - un segnale chiaro di risposte alla morte del generale Soleimani - ma le dichiarazioni dell'ayatollah Ali Khamenei e del ministro Zarif lasciano intendere l'intenzione di evitare un'escalation.
Tutti felici? L'ayatollah Khamenei può festeggiare lo «schiaffo in faccia» al nemico a stelle e strisce, il presidente Trump può twittare «tutto bene». Tuttavia c'è chi, alla Casa Bianca, invita a una risposta a stelle e strisce: sì, non ci sono stati morti ma Teheran ha dimostrato di poter attaccare le forze statunitensi da dentro l'Iran, dicono. Il timore dei cosiddetti «falchi» ora è che se gli Stati Uniti non rispondono, questo verrà interpretato dal regime degli ayatollah come un segnale di debolezza tale da incoraggiare attentati contro gli interessi statunitensi nel Medio Oriente.
Il caso del drone abbattuto dai Pasdaran a giugno calza a pennello. Allora gli Stati Uniti non risposero. Poi sono arrivate le tensioni nello Stretto di Hormuz con i sequestri iraniani di petroliere, il bombardamento alle infrastrutture energetiche saudite e le proteste davanti all'ambasciata statunitense a Baghdad organizzate dagli sciiti iraniani sotto la regia del generale Qassem Soleimani. L'intento del comandante e del regime era chiaro: internazionalizzare il conflitto. Ma con il raid della scorsa settimana, Washington ha mandato all'aria i loro piani: uccidere il comandante dei Pasdaran è stata una decisione di reciprocità (era l'uomo dietro alle proteste e le mire iraniane sulla cosiddetta Mezzaluna sciita) e punitiva.
Ridimensionare l'Iran è l'obiettivo del presidente Trump, deciso a riscrivere il patto nucleare Jcpoa negoziato dal predecessore Barack Obama, grazie al quale Teheran ha potuto alimentare le sue mire sull'area creando scompiglio nella regione con armi non nucleari. Trump vuole un nuovo accordo che includa anche i missili di media e lunga gittata. Ecco perché, anche nell'intervento di ieri, è sembrato disposto a incontrare i leader iraniani.
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