Arriva la goccia che fa traboccare un vaso di Pandora destinato a diffondere, se non tutti i mali del mondo, le afflizioni del Chelsea. La Premier League ha annunciato la squalifica del magnate russo Roman Abramovich dall’incarico di presidente dei Blues. La squadra potrà concludere l’attuale stagione, ma con la progressiva chiusura dei rubinetti d’incasso (dai biglietti dello stadio alla vendita di magliette e gadget assortiti, dai diritti televisivi al calciomercato) la prospettiva a medio termine è il fallimento. A meno che la deroga alle restrizioni non permetta al club di essere venduto. Come e a quali condizioni, è da appurare. Tradotto: siamo davanti a un ginepraio senza precedenti. Agli addetti ai lavori non resta che effettuare serpentine acrobatiche tra cessioni di giocatori, riscatti sperati e forse ora congelati, dipendenti fino a giugno stipendiati, poi chissà. Giovedì scorso era giunta la notizia che il ministro degli Esteri del Regno Unito, Liz Truss, avesse congelato i beni di Abramovic: «Annunciamo il blocco totale dei beni e il divieto di viaggio per lui e per altri sette oligarchi tra i più influenti della Russia». Abramovic, ma anche Oleg Deripaska, uomo legato a filo doppio col Cremlino e con Vladimir Putin. Insomma, nessuna transazione sarà più possibile per gli imprenditori russi in terra britannica. Ciò ha innescato la prima grana per i tifosi: solo i possessori di abbonamenti stagionali potranno varcare la soglia dello stadio Stamford Bridge. Dal 31 maggio in poi, pure gli stipendi dei dipendenti sarebbero a rischio. Per non parlare del mercato. I pezzi pregiati della rosa potrebbero partire a zero euro se in scadenza di contratto, per gli altri la formula sarebbe da inventare, dal momento che al Chelsea è impedito di incassare dalle compravendite. Il primo con le valigie idealmente pronte potrebbe essere il gigante belga di origini congolesi Romelu Lukaku. Non è un mistero che l’attaccante non si sia mai ambientato alla corte dell’allenatore Tuchel: un conto è giganteggiare nei bassorilievi statici della Serie A, un altro è imporsi nella frenesia del campionato inglese senza andare d’accordo con l’ambiente e con i fan. Lukaku avrebbe telefonato già a Beppe Marotta: tornerebbe all’Inter attraversando la Manica a nuoto, sarebbe persino disposto a ridursi l’ingaggio da 12 milioni netti a stagione a 7. Mica facile. L’Inter ha ceduto Lukaku al Chelsea per 115 milioni di euro, ora potrebbe - ipotesi senza basi solide - richiamarlo a Milano con un prestito secco o un prestito biennale con obbligo di riscatto, ma a quel punto, tra due anni, i nerazzurri dovrebbero sborsare una cifra significativa per riscattare un atleta che sarà trentunenne. Pure Antonio Conte starebbe corteggiando Lukaku: al solo pensiero di fargli indossare la casacca del Tottenham, il mister pugliese si starebbe sfregando le mani. La Juventus starebbe marcando stretti i centrocampisti Jorginho ed Emerson Palmieri, pedine dorate della Nazionale. Massimiliano Allegri avrebbe espressamente richiesto i loro servigi per rinnovare la mediana bianconera. E però scritturarli non sarebbe semplice: a Jorginho scadrà il contratto nel 2023 e al momento i Blues non possono intavolare trattative, Emerson è in prestito al Lione e il suo destino resta nebuloso. La Juve farebbe un pensierino pure su Antonio Rudiger, ex Roma, che del Chelsea è difensore inamovibile. Il tedesco è tra i calciatori in scadenza di contratto, potrebbe accasarsi altrove senza barriere. Piace anche al Manchester United e al Real Madrid. Con lui, in partenza Cesar Azpilicueta: terzino destro veloce, gran crossatore, lo spagnolo sarebbe nel mirino del Barcellona. Poi ci sarebbe Andreas Christensen, 25 anni, danese, approdato oltremanica quando aveva 18 anni, difensore pugnace. Sarebbero ancora i blaugrana i principali interessati e l’accordo sarebbe quasi definito. Alla lista dei partenti a parametro zero bisogna aggiungere Charly Musonda Jr., centrocampista zambiano, protagonista nel 2015 della vittoria della Youth League con il Chelsea under 19. L’effetto domino agiterebbe le acque pure in casa Roma: la punta Tammy Abraham, prelevata dai giallorossi a titolo definitivo sborsando 40 milioni proprio alla società di Abramovich, aveva nelle settimane scorse epresso il desiderio di tornare in Premier. Il Chelsea godeva del diritto al riacquisto del giocatore per una somma pari a 80 milioni, ma venuta a decadere l’opzione, Abraham sarà per ora «costretto» a rimanere alla corte di José Mourinho. Ogni congettura potrebbe poi essere stravolta se i dollari arabi entrassero a gamba tesa nella faccenda. Indiscrezioni vorrebbero il fondo saudita Saudi Media - gruppo che fattura circa 1 miliardo di dollari all’anno - interessato ad acquistare la società di Stamford Bridge. A capo della cordata mediorientale ci sarebbe Mohamed Alkhereiji, Ceo della società madre Engineer Holding Group, fondata da suo padre Abdulelah. Se l’operazione - non si sa ancora come - andasse in porto, gli arabi bloccherebbero la partenza di Rudiger e di Azpilicueta, particolarmente graditi per la ricostruzione delle ambizioni londinesi, e probabilmente indirizzerebbero il mercato verso altri lidi. Prospettive che per ora non godrebbero di fondamenta sostanziose. Anzi. L’unica certezza fino a oggi, sarebbe che la corsa a boicottare tutto ciò che è russo - magari senza un particolare costrutto - falcidierebbe, in caso di fallimento della società, tutti i dipendenti del Chelsea. Non si parla dei ricchi calciatori o di Abramovich, ma di giardinieri, impiegati, la varia umanità a stipendio fisso (in Inghilterra percepito a cadenza settimanale) che in caso di serrande abbassate, da giugno sarebbe a spasso.
Non è chiaro se l’aggressione all’Ucraina da parte di Putin finirà per rompere l’amicizia che si era creata tra l’oligarca Roman Abramovich e il bel mondo londinese, ma appare ormai evidente che abbia incrinato i rapporti con il governo, visto che ieri l’esecutivo di Boris Johnson ha deciso di comminare al proprietario del Chelsea una serie di sanzioni.
Anzitutto tutte le sue proprietà nel Regno Unito sono state congelate, compreso il Chelsea, di cui è presidente, i negozi e gli immobili a essa collegati. Secondariamente l’oligarca, che è tornato a Mosca pochi giorni dopo l’inizio dell’attacco all’Ucraina, forse perché aveva capito di correre dei rischi, ha il divieto di rientrare a Londra. Infine, gli è negata la possibilità di stipulare affari o intrecciare relazioni finanziare con individui e società britannici. Una specie di ostracismo, che viene meno solo per quanto riguarda le partite di campionato, nel senso che il Chelsea continuerà a giocare nella Premier League. Potrà disputare le partite programmate e nel bar dello stadio si potranno vendere cibo e bevande, ma questo è tutto. Anche i negozi che distribuivano magliette e gadget della squadra sono stati chiusi e non viene neanche contemplata la possibilità che la società sportiva possa essere ceduta a un’altra proprietà, finché il governo non sospenderà queste sanzioni. Nel caso qualcuno si facesse avanti per acquisire lo storico club, che Abramovich ha affidato in gestione a una Fondazione di beneficenza poco dopo l’inizio del conflitto, il governo dovrà dare il suo benestare prima che si proceda alla vendita e comunque Abramovich non potrà incassare i proventi dell’affare. Assieme ad Abramovich, colpiti dalle sanzioni anche Oleg Derispaska, magnate dell’energia, Igor Sech, capo di Rosneft, Alexei Miller, capo di Gazprom, Andrey Kostin, presidente della banca per il commercio estero, Nikolai Tokarev, presidente dell’azienda di oleodotti Transneft, e Dmitri Lebedev, presidente della banca Rossiya.
Il patron del Chelsea prese la squadra londinese nel 2003 e questo acquisto ha rappresentato per lui una specie di lasciapassare nella società inglese. Secondo la giornalista Catherine Belton, che ha scritto un libro intitolato Putin’s People sulle relazioni sospette dello «zar», l’acquisizione della squadra avrebbe funzionato da grimaldello per consentire ad Abramovich di infiltrarsi nel cuore dell’Occidente. In base alla sua ricostruzione, questa strategia avrebbe avuto non solo il consenso ma il pieno appoggio del presidente russo.
Abramovich ha avvicinato gli inglesi diventando parte di una delle loro passioni e poi ha costruito nel Regno Unito un impero e una rete di relazioni significative. Che sono proprio quelle che le sanzioni di ieri intendono colpire. Oltre al Chelsea, le proprietà dell’oligarca sono molteplici. Nel 2011 aveva dichiarato di possedere 16 proprietà immobiliari nel mondo: sette nel Regno Unito, quattro in Russia, due negli Usa e tre in Francia. Ad oggi, invece, secondo una ricognizione compiuta anche dal Times, solo Oltremanica Abramovich possiede 70 proprietà, che valgono circa 500 milioni di sterline, cui vanno aggiunte quelle sparse per il mondo, che sono stimate più o meno la stessa cifra. La più significativa è la casa con 15 camere da letto a Kensington Palace Gardens, una delle strade più esclusive di Londra, che ha comperato per 90 milioni di sterline nel 2009 e trasformato e arricchito al punto che ora ha un valore di mercato di almeno 150 milioni. Nel suo carnet c’è anche un attico su tre piani sul Waterfront di Chelsea, acquisito nel 2018 per 22 milioni e disegnato dall’architetto Terry Farrell. All’epoca costò 30 milioni di sterline anche perché offre una vista a 360 gradi sul Tamigi, lo Stamford Bridge e ovviamente lo stadio del Chelsea. Secondo fonti del mercato immobiliare, questo attico è stato reso più sicuro con un investimento da 10 milioni di sterline, anche se in realtà l’oligarca non ci ha mai vissuto. Tra le sue altre proprietà inglesi di pregio figurano anche una tenuta da 18 milioni di sterline nella parte ovest del Sussex; una grande villa da 28 milioni che affaccia su Eaton Square e una casa georgiana da cinque piani a Chelsea Square, che vale 10 milioni.
Proprietà che forse sono state date in uso o cedute (questo è da chiarire) alla sua seconda ex moglie Irina, durante il divorzio che si sarebbe chiuso con un accordo da 155 milioni di sterline. Solo alcune delle storie che aleggiano intorno alla figura del miliardario, che sembra il personaggio di un romanzo. Orfano dall’età di tre anni, cresciuto in una situazione difficile, Roman Abramovich ha costruito la sua fortuna nell’epoca di Eltsin ed è stato uno di coloro che hanno ottenuto vantaggi dalle privatizzazioni delle grandi compagnie petrolifere russe. È stato anche uno dei pochi a non subire incarcerazioni, quando Putin ha preso il potere e iniziato la sua ascesa. Secondo la giornalista Catherine Belton, ad evitargli problemi sarebbe stata proprio la sua relazione speciale con il presidente russo. Un’idea probabilmente condivisa anche da diversi altri Paesi, Gran Bretagna compresa, come dimostra il fatto che la scorsa settimana Roman Abramovich sia stato invitato a partecipare ai negoziati di pace come mediatore tra Russia e Ucraina. A renderlo papabile per questo ruolo saranno certo stati gli stretti rapporti del miliardario russo-israeliano con le comunità ebraiche sia in Ucraina sia in Russia. Ma avrà pesato anche la sua figura trasversale, collocata quasi a cavallo tra i due mondi che ora si affrontano sull’orlo di un conflitto globale.




