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2020-06-09
Svelato il piano Colao: addio al dl Dignità, sanatoria sui contanti e più infrastrutture
Vittorio Colao (Ansa)
Conference call e il piano Colao viene consegnato a Giuseppe Conte. A parlare c'è Vittorio, il titolare della task force assieme a Donatella Bianchi e Maurizia Iachino e Raffaella Sadun. Così, una volta sistemata la questione delle pari opportunità, il premier raccoglie il testo con i suoi sei ambiti di azione divisi in 102 interventi specifici e congeda il gruppo con un arrivederci: «Restate a disposizione». Al di là delle formalità, Conte si appresta a infilare il documento nel cassetto e preparasi alla fase 3 cercando di destreggiarsi tra la task force voluta e sostenuto dal presidente Sergio Mattarella, gli Stati generali che dovrebbero riunirsi a partire da giovedì e le istanze di tutti i partiti che lo sostengono pur minacciandolo di togliergli la poltrona. Si naviga evidentemente a vista e sembra che Palazzo Chigi voglia gestire i vari tavoli come se fossero separati cercando di attribuirsi gli eventuali successi e di scaricare sugli altri (soprattutto Colao) gli insuccessi. In pratica Conte si ritrova stretto tra il Pd e il Colle solo per il fatto di voler tenere i piedi in più scarpe. Quando poi si entrerà nel merito delle proposte della task force (e accadrà quando il testo verrà presentato in conferenza stampa) allora la situazione politica potrà solo che peggiorare. Al di là dell'incipit che vuole l'Italia più «resiliente», «reattiva», «sostenibile ed equa» per «trasformare i costi del rilancio in investimenti per il futuro», poi bisognerà entrare nel dettaglio delle singole proposte. E qui Pd, Italia viva e 5 stelle finiranno con lo scannarsi. Il clima è dei peggiori, hanno fatto uscire in serata un'agenzia per dire di avere appreso i contenuti del piano dai giornalisti.
Un malumore che comincia da Luigi Di Maio, il primo a essere abbattuto dalla task force. Colao suggerisce infatti la sospensione almeno per tutto il 2020 del decreto Dignità, il primo cavallo di battaglia dell'ex leader grillino. In pratica nella scarna paginetta relativa ai contratti a termine si fa capire che lo schema dei 5 stelle è ormai anacronistico e bisognerà trovare soluzioni alternative. Se poi il governo volesse applicare anche l'intero capitolo sulle infrastrutture anche la parte grillina che fa capo ai duri e puri si troverebbe immediatamente all'opposizione. Basta prendere il paragrafo sull'Unità di presidio delle infrastrutture strategiche. L'idea è quella di accentrare a Roma tutte le decisioni nella filiera delle approvazioni. Tradotto, sparisce l'effetto Nimby e tutta la base elettiva dei 5 stelle che campa sui No Tav, No Tap No Muos eccetera si troverebbe piallata in un solo colpo. Per non parlare del tema concessioni. Lo schema in questo caso sarebbe una contrattazione tra Stato e privati per mettere sulla bilancia l'importo degli investimenti con il ritorno delle concessioni. Un'idea molto logica e che può piacere a chi teme il dirigismo statalista, ma che è fumo negli occhi per i ministri grillini che da mesi e anni predicano la nazionalizzazione. Per giunta, lo stesso Conte se accettasse la proposta dovrebbe rimangiarsi più d'una dichiarazione.
In ogni caso se i 5 stelle piangono, i dem non riderebbero di certo. Sfogliamo il primo grande capitolo del documento, quello relativo alle imprese. Qui Colao prevede ben due sanatorie. La prima è per l'emersione del lavoro nero che, sulla scorta del decreto Rilancio preveda l'emersione del lavoro irregolare in alcuni settori ma anche un mix di premialità (riduzione della contribuzione), paletti (dichiarazione di assenza di lavoro nero) e sanzioni (in caso di dichiarazioni del falso). Una seconda sanatoria sarebbe la voluntary disclosure per «la regolarizzazione del contate con l'obbligo di investimento di una parte dell'ammontare per 5 anni in strumenti di supporto del Paese». Sembrano scritte da Italia viva. Il ministro Teresa Bellanova ha già spinto quella sui braccianti e sulle colf, si tratterebbe di andare avanti. Il maxi condono sul contante è un'idea di Matteo Renzi. Tutte e due le volte bocciata dal Pd. L'ex segretario Pier Luigi Bersani l'aveva definita addirittura degna di Fabrizio Corona. C'è invece una sfilza di pagine che strizza l'occhio a Nicola Zingaretti e ai dem. Dalla lotta al contante allo sviluppo dell'economia circolare fino alle ciclabili come elemento del trasporto urbano.
Va comunque dato atto all'ex manager di Vodafone che su molti aspetti non ha guardato in faccia a nessuno nella maggioranza. Prevede infatti il reshoring, cioè il ritorno in patria di filiere produttive con tanto di incentivi. L'ha fatto Donald Trump per capirsi e potrebbe essere un cavallo di battaglia della Lega, che tra le oltre 100 proposte apprezzerebbe quella di portare gli investimenti privati e il risparmio in veicoli che aiutino la ricapitalizzazione delle Pmi. Seppur l'ultimo pilastro sia tutto dedicato all'inclusione di genere e alla realizzazione dei desideri del mainstream ci sono spunti molto intelligenti e altri che trovano tutti d'accordo. D'altronde chi vorrebbe dire no all'ammodernamento della Pa? Ma per capire meglio gli impatti di un tale piano bisognerà vivisezionare i dettagli. Un esempio su tutti. Nel paragrafo dedicato al cloud (interconnesso con il 5G), si dice che quello pubblico potrà essere affidato ad aziende con capitale a maggioranza italiana. Premesso che è una norma che viola le leggi Ue (accade in Qatar o Nigeria), è forse un modo per tenere fuori i cinesi che tanto bramano il nostro mercato dati? Vedremo e capiremo più avanti. Intanto Forza Italia preme perché il piano finisca in Parlamento. Esattamente quello che Italia viva vorrebbe evitare. È il partito che più si specchia in questo piano e che da una situazione di guerriglia perenne ha più da beneficiare. Insomma, le possibilità che il piano esca dal cassetto del premier sono residuali.
Il premier finisce all’angolo fra il Colle e gli alleati
Il piano Colao si abbatte come una slavina sulla maggioranza di governo. Il rapporto finale della task force, infatti, è destinato ad acuire le tensioni tra Pd, Italia viva, M5s e Leu: il piano elaborato dal suo team è un agglomerato di proposte che innescheranno, è facilmente prevedibile, una marea di polemiche tra i partiti della coalizione che sostiene Giuseppe Conte. Il premier è in un vicolo cieco: se derubrica il lavoro della task force a contributo di riflessione, va incontro all'ira funesta del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che si è speso in prima persona affinché il super manager accettasse l'incarico; se invece si convince a utilizzare il piano elaborato da Vittorio Colao e dai suoi esperti come canovaccio per le politiche dei prossimi mesi, innanzitutto finisce per offuscare completamente la sua stessa immagine di presidente del Consiglio, facendosi di fatto «commissariare» e diventando il mero esecutore delle direttive della task force; in secondo luogo, va incontro ineluttabilmente a settimane di gravi tensioni all'interno della sua coalizione, già fragilissima e divisa praticamente su tutto.
Le prime scintille sono previste in Consiglio dei ministri, che si riunisce oggi alle 10. Quali saranno le reazioni dei big dei partiti di maggioranza alle proposte di Colao? Non si sa: quello che si sa è che il dossier della task force finirà anche, inevitabilmente, per dominare la discussione che Conte avrebbe voluto intavolare in occasione degli Stati generali dell'economia, un'idea che pure ha finito per produrre tensioni all'interno della maggioranza. A criticare apertamente l'iniziativa di Conte era stato, per primo, il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, che aveva avvertito: «Gli Stati generali siano un inizio e non una falsa partenza». Nella tarda serata di ieri, Conte ha riunito a Palazzo Chigi i capidelegazione dei partiti di maggioranza, insieme ai ministri dell'Economia, Roberto Gualtieri e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, per cercare di stemperare le tensioni sorte intorno a questo evento, che dovrebbe (ma il condizionale è d'obbligo) svolgersi giovedì prossimo a Villa Pamphili a Roma.
Numerose le critiche rivolte dagli alleati alla sortita di Conte. «È vietato andare in ordine sparso e giocare al rialzo», ha detto ieri alla Stampa il ministro dell'Agricoltura, Teresa Bellanova, di Italia viva, «perché le persone a cui sono stati chiesti sacrifici enormi non capirebbero e pertanto non ci si può permettere di seminare illusioni e aspettative». «Un po' di scetticismo ce l'ho», ha sottolineato il deputato renziano Luigi Marattin a Sky Tg24, «le riunioni sotto i flash, organizzate in pochi giorni, rischiano di portare più alla forma che alla sostanza».
Nel suo intervento alla direzione nazionale, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha lanciato frecciate in direzione Palazzo Chigi: «Diciamo bene», ha detto Zingaretti a proposito degli Stati generali, «ma attenzione al rigore, al rispetto dei tempi certi, perché ora l'Europa chiede a noi rigore e piani seri, non possiamo sbagliare e quindi chiediamo la collaborazione sincera a tutti».
Molto più duro Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato: «Abbiamo avuto la percezione», ha detto al Corriere della Sera, «che non ci fosse grande serietà e lavoro nella preparazione di questo appuntamento. Abbiamo indicato quale debba essere la strada a nostro avviso, che non può essere certo quella di trasformare gli stati generali in una riunione di qualche ora».
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Piace ai renziani ma spacca Pd e M5s: Conte tentato di chiuderlo in un cassetto. Incentivi per le aziende che tornano in ItaliaQuesta mattina si riunirà il Consiglio dei ministri. Gli Stati generali, già nel mirino di Italia viva e dem, rischiano di saltare.Lo speciale contiene due articoliConference call e il piano Colao viene consegnato a Giuseppe Conte. A parlare c'è Vittorio, il titolare della task force assieme a Donatella Bianchi e Maurizia Iachino e Raffaella Sadun. Così, una volta sistemata la questione delle pari opportunità, il premier raccoglie il testo con i suoi sei ambiti di azione divisi in 102 interventi specifici e congeda il gruppo con un arrivederci: «Restate a disposizione». Al di là delle formalità, Conte si appresta a infilare il documento nel cassetto e preparasi alla fase 3 cercando di destreggiarsi tra la task force voluta e sostenuto dal presidente Sergio Mattarella, gli Stati generali che dovrebbero riunirsi a partire da giovedì e le istanze di tutti i partiti che lo sostengono pur minacciandolo di togliergli la poltrona. Si naviga evidentemente a vista e sembra che Palazzo Chigi voglia gestire i vari tavoli come se fossero separati cercando di attribuirsi gli eventuali successi e di scaricare sugli altri (soprattutto Colao) gli insuccessi. In pratica Conte si ritrova stretto tra il Pd e il Colle solo per il fatto di voler tenere i piedi in più scarpe. Quando poi si entrerà nel merito delle proposte della task force (e accadrà quando il testo verrà presentato in conferenza stampa) allora la situazione politica potrà solo che peggiorare. Al di là dell'incipit che vuole l'Italia più «resiliente», «reattiva», «sostenibile ed equa» per «trasformare i costi del rilancio in investimenti per il futuro», poi bisognerà entrare nel dettaglio delle singole proposte. E qui Pd, Italia viva e 5 stelle finiranno con lo scannarsi. Il clima è dei peggiori, hanno fatto uscire in serata un'agenzia per dire di avere appreso i contenuti del piano dai giornalisti. Un malumore che comincia da Luigi Di Maio, il primo a essere abbattuto dalla task force. Colao suggerisce infatti la sospensione almeno per tutto il 2020 del decreto Dignità, il primo cavallo di battaglia dell'ex leader grillino. In pratica nella scarna paginetta relativa ai contratti a termine si fa capire che lo schema dei 5 stelle è ormai anacronistico e bisognerà trovare soluzioni alternative. Se poi il governo volesse applicare anche l'intero capitolo sulle infrastrutture anche la parte grillina che fa capo ai duri e puri si troverebbe immediatamente all'opposizione. Basta prendere il paragrafo sull'Unità di presidio delle infrastrutture strategiche. L'idea è quella di accentrare a Roma tutte le decisioni nella filiera delle approvazioni. Tradotto, sparisce l'effetto Nimby e tutta la base elettiva dei 5 stelle che campa sui No Tav, No Tap No Muos eccetera si troverebbe piallata in un solo colpo. Per non parlare del tema concessioni. Lo schema in questo caso sarebbe una contrattazione tra Stato e privati per mettere sulla bilancia l'importo degli investimenti con il ritorno delle concessioni. Un'idea molto logica e che può piacere a chi teme il dirigismo statalista, ma che è fumo negli occhi per i ministri grillini che da mesi e anni predicano la nazionalizzazione. Per giunta, lo stesso Conte se accettasse la proposta dovrebbe rimangiarsi più d'una dichiarazione. In ogni caso se i 5 stelle piangono, i dem non riderebbero di certo. Sfogliamo il primo grande capitolo del documento, quello relativo alle imprese. Qui Colao prevede ben due sanatorie. La prima è per l'emersione del lavoro nero che, sulla scorta del decreto Rilancio preveda l'emersione del lavoro irregolare in alcuni settori ma anche un mix di premialità (riduzione della contribuzione), paletti (dichiarazione di assenza di lavoro nero) e sanzioni (in caso di dichiarazioni del falso). Una seconda sanatoria sarebbe la voluntary disclosure per «la regolarizzazione del contate con l'obbligo di investimento di una parte dell'ammontare per 5 anni in strumenti di supporto del Paese». Sembrano scritte da Italia viva. Il ministro Teresa Bellanova ha già spinto quella sui braccianti e sulle colf, si tratterebbe di andare avanti. Il maxi condono sul contante è un'idea di Matteo Renzi. Tutte e due le volte bocciata dal Pd. L'ex segretario Pier Luigi Bersani l'aveva definita addirittura degna di Fabrizio Corona. C'è invece una sfilza di pagine che strizza l'occhio a Nicola Zingaretti e ai dem. Dalla lotta al contante allo sviluppo dell'economia circolare fino alle ciclabili come elemento del trasporto urbano. Va comunque dato atto all'ex manager di Vodafone che su molti aspetti non ha guardato in faccia a nessuno nella maggioranza. Prevede infatti il reshoring, cioè il ritorno in patria di filiere produttive con tanto di incentivi. L'ha fatto Donald Trump per capirsi e potrebbe essere un cavallo di battaglia della Lega, che tra le oltre 100 proposte apprezzerebbe quella di portare gli investimenti privati e il risparmio in veicoli che aiutino la ricapitalizzazione delle Pmi. Seppur l'ultimo pilastro sia tutto dedicato all'inclusione di genere e alla realizzazione dei desideri del mainstream ci sono spunti molto intelligenti e altri che trovano tutti d'accordo. D'altronde chi vorrebbe dire no all'ammodernamento della Pa? Ma per capire meglio gli impatti di un tale piano bisognerà vivisezionare i dettagli. Un esempio su tutti. Nel paragrafo dedicato al cloud (interconnesso con il 5G), si dice che quello pubblico potrà essere affidato ad aziende con capitale a maggioranza italiana. Premesso che è una norma che viola le leggi Ue (accade in Qatar o Nigeria), è forse un modo per tenere fuori i cinesi che tanto bramano il nostro mercato dati? Vedremo e capiremo più avanti. Intanto Forza Italia preme perché il piano finisca in Parlamento. Esattamente quello che Italia viva vorrebbe evitare. È il partito che più si specchia in questo piano e che da una situazione di guerriglia perenne ha più da beneficiare. Insomma, le possibilità che il piano esca dal cassetto del premier sono residuali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/svelato-il-piano-colao-addio-al-dl-dignita-sanatoria-sui-contanti-e-piu-infrastrutture-2646164726.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-premier-finisce-allangolo-fra-il-colle-e-gli-alleati" data-post-id="2646164726" data-published-at="1591644144" data-use-pagination="False"> Il premier finisce all’angolo fra il Colle e gli alleati Il piano Colao si abbatte come una slavina sulla maggioranza di governo. Il rapporto finale della task force, infatti, è destinato ad acuire le tensioni tra Pd, Italia viva, M5s e Leu: il piano elaborato dal suo team è un agglomerato di proposte che innescheranno, è facilmente prevedibile, una marea di polemiche tra i partiti della coalizione che sostiene Giuseppe Conte. Il premier è in un vicolo cieco: se derubrica il lavoro della task force a contributo di riflessione, va incontro all'ira funesta del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che si è speso in prima persona affinché il super manager accettasse l'incarico; se invece si convince a utilizzare il piano elaborato da Vittorio Colao e dai suoi esperti come canovaccio per le politiche dei prossimi mesi, innanzitutto finisce per offuscare completamente la sua stessa immagine di presidente del Consiglio, facendosi di fatto «commissariare» e diventando il mero esecutore delle direttive della task force; in secondo luogo, va incontro ineluttabilmente a settimane di gravi tensioni all'interno della sua coalizione, già fragilissima e divisa praticamente su tutto. Le prime scintille sono previste in Consiglio dei ministri, che si riunisce oggi alle 10. Quali saranno le reazioni dei big dei partiti di maggioranza alle proposte di Colao? Non si sa: quello che si sa è che il dossier della task force finirà anche, inevitabilmente, per dominare la discussione che Conte avrebbe voluto intavolare in occasione degli Stati generali dell'economia, un'idea che pure ha finito per produrre tensioni all'interno della maggioranza. A criticare apertamente l'iniziativa di Conte era stato, per primo, il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, che aveva avvertito: «Gli Stati generali siano un inizio e non una falsa partenza». Nella tarda serata di ieri, Conte ha riunito a Palazzo Chigi i capidelegazione dei partiti di maggioranza, insieme ai ministri dell'Economia, Roberto Gualtieri e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, per cercare di stemperare le tensioni sorte intorno a questo evento, che dovrebbe (ma il condizionale è d'obbligo) svolgersi giovedì prossimo a Villa Pamphili a Roma. Numerose le critiche rivolte dagli alleati alla sortita di Conte. «È vietato andare in ordine sparso e giocare al rialzo», ha detto ieri alla Stampa il ministro dell'Agricoltura, Teresa Bellanova, di Italia viva, «perché le persone a cui sono stati chiesti sacrifici enormi non capirebbero e pertanto non ci si può permettere di seminare illusioni e aspettative». «Un po' di scetticismo ce l'ho», ha sottolineato il deputato renziano Luigi Marattin a Sky Tg24, «le riunioni sotto i flash, organizzate in pochi giorni, rischiano di portare più alla forma che alla sostanza». Nel suo intervento alla direzione nazionale, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha lanciato frecciate in direzione Palazzo Chigi: «Diciamo bene», ha detto Zingaretti a proposito degli Stati generali, «ma attenzione al rigore, al rispetto dei tempi certi, perché ora l'Europa chiede a noi rigore e piani seri, non possiamo sbagliare e quindi chiediamo la collaborazione sincera a tutti». Molto più duro Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato: «Abbiamo avuto la percezione», ha detto al Corriere della Sera, «che non ci fosse grande serietà e lavoro nella preparazione di questo appuntamento. Abbiamo indicato quale debba essere la strada a nostro avviso, che non può essere certo quella di trasformare gli stati generali in una riunione di qualche ora».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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