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In Ucraina uteri in affitto low cost per acchiappare la clientela asiatica

Con 5.000 euro una coppia può portarsi a casa un bambino senza intoppi burocratici: un quarto delle tariffe applicate in America. In due anni la richiesta di mamme surrogate si è impennata di oltre il 1.000 per cento

Ad attrarre la maggior parte delle ragazze nel grande circo della maternità surrogata, sono soprattutto quelle 300 grivnie (10 euro) e il rimborso delle spese di viaggio, che vengono promesse a chi si reca in clinica per registrarsi come donatrice ed effettuare la prima visita di routine. È questa la nuova frontiera dell'utero in affitto in Europa. I riflettori sull'Ucraina si sono accesi a inizio 2015, quando i governi di Paesi come l'India, il Nepal e la Thailandia hanno iniziato a chiudere, uno dopo l'altro, i centri di maternità surrogata con l'accusa di sfruttamento delle donne coinvolte. In quegli anni, l'utero in affitto era una pratica già ben conosciuta e sfruttata in Asia. Arrestare un mercato ben collaudato, in cui le richieste di figli «facili» erano sempre più numerose, era pressoché impossibile. Gli intermediari tra le mamme surrogate, le cliniche e gli acquirenti hanno così iniziato a monitorare l'andamento economico di quei Paesi che vivevano difficoltà a causa di guerre e carestie e hanno scelto l'Ucraina come nuova base per quelle coppie in cerca di una mamma surrogata.

L'Ucraina, oltre che per questioni economiche dovute al rapido declino degli standard di vita a causa della recessione tra il 2014 e il 2015, ben si prestava come nuovo polo per le cliniche di surrogazione di maternità grazie a una legge locale, che non solo consente il turismo per maternità surrogata, ma permette alle coppie che entrano nel Paese con la missione di creare una famiglia, di essere riconosciute come genitori biologici fin dal momento del concepimento. Ma non solo. La legge ucraina, che consente solo ed esclusivamente alle donne che hanno già avuto almeno un figlio di diventare surrogate, permette alle stesse portatrici di scegliere la tariffa che più si confà alle proprie esigenze di gravidanza. Il tutto, in un'ottica unica nel suo genere: consentire alla madre la piena gestione a livello economico della trattativa di compravendita del bambino, permetterebbe alla stessa donna di liberarsi più facilmente del neonato e di non provare alcun senso di colpa in un futuro.

Una soluzione «perfetta», soprattutto per quelle piccole cliniche che lavorano come fossero negozi, in cui l'utero in affitto viene venduto come un semplice servizio. In seguito a questo mix di condizioni estremamente favorevoli, la richiesta di mamme surrogate in Ucraina è cresciuta, dal 2016 a oggi, di oltre il 1.000%. A spiegarlo è Sam Everingham, uno dei massimi esperti di surrogazione di maternità che lavora con Families through surrogacy, un'associazione di Sydney dedicata ai futuri genitori, che ha spiegato come «la facilità di trovare un utero in affitto in Ucraina spesso si traduce in un livello molto basso dell'offerta». «Il mercato è così competitivo a livello economico», spiega Everingham, «che molte cliniche per abbattere i prezzi scelgono di effettuare esami in modo superficiale o di non offrire l'assistenza adeguata alla madre durante il parto. Spesso abbiamo sentito di storie di donne che si sono ritrovate a essere portatrici di un embrione sbagliato o bullizzate dai medici e dagli intermediari della clinica perché avevano perso il bambino».

Fare la mamma surrogata o donare ovuli, per le donne ucraine, è un vero e proprio lavoro. Online, si trovano molteplici annunci di lavoro da parte di intermediari di cliniche che offrono poche centinaia di euro al mese a quelle donne che scelgono di intraprendere la via della surrogazione di maternità. Come Olga, disoccupata, da due anni donatrice di ovuli, che online su Facebook, nel gruppo Ip surrogacy support Ukraine, racconta come ogni sei mesi guadagni circa 20.000 grivnie (620 euro circa, ndr) semplicemente per donare i suoi ovuli.

Guardando i listini prezzi di alcune cliniche ucraine, si scopre come con circa 5.000 euro (10.000 nel caso delle cliniche di lusso), una coppia può portarsi a casa il proprio bambino senza incorrere in troppi problemi o intoppi burocratici. Un quarto delle cifre richieste, per esempio, nelle più piccole cliniche americane. Ben un dodicesimo, invece, in rapporto alle cifre stabilite dalle più famose cliniche californiane. Questa convenienza ha fatto dell'Ucraina il nuovo mercato per eccellenza di uteri in affitto al punto che si stima che, solo nel 2016, siano state oltre 5.000 maternità surrogate avvenute - legalmente - nel Paese.

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«Traffico influenze, riabilitatemi»
Luca Palamara (Imagoeconomica)
Luca Palamara patteggiò un anno a Perugia: oggi la Consulta ha giudicato costituzionale la riforma del reato, dandogli l’assist per chiedere la cancellazione della sentenza.

La Corte costituzionale ha stabilito che la riforma attuata dal governo del reato di traffico di influenze illecite è legittima. Con la nuova disciplina, il reato esiste solo se la mediazione è finalizzata alla commissione di un vero e proprio reato da parte di un pubblico ufficiale: non basta più una generica influenza o intermediazione.

La Corte costituzionale ha, invece, chiarito che la scelta del legislatore italiano non viola alcun obbligo internazionale e rientra nella sua piena discrezionalità, anche perché in Italia manca una legge sul lobbying capace di distinguere con chiarezza ciò che è lecito da ciò che non lo è.

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Cirio: «Ci sono tre cordate per Gedi». Spunta anche il nome di Caltagirone
Alberto Cirio (Imagoeconomica)
Alberto Barachini: no ingerenze da ambasciata russa. Leonardo Maria Del Vecchio mira a Rcs.

E meno male che nessuno voleva più i giornali. La cessione di Stampa e Repubblica ai fratelli greci Kyriakou da parte di John Elkann ha improvvisamente acceso i riflettori sulla carta stampata. Leonardo Maria Del Vecchio, la Nem del gruppo veneto Save e il gruppo Caltagirone, almeno secondo le ultime indiscrezioni, sarebbero pronti a sacrificarsi per mantenere la famosa italianità delle due testate. Intanto, la vicenda si colora di assurdo con la Russia che dice la sua sulla libertà d’informazione in Italia e con il sottosegretario con delega all’editoria, Alberto Barachini, costretto a rintuzzare l’ingerenza di Mosca.

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Jaki all’angolo: l’imputazione coatta fa traballare lo scranno di Stellantis
John Elkann (Ansa)
La mancata archiviazione può costare a Elkann pure la guida di Exor. Dall’ordinanza del gip emerge un ritratto machiavellico: avrebbe raggirato Stato italiano, fratelli e il notaio delle dichiarazioni dei redditi della nonna.

Quanto può durare John Elkann al vertice di Stellantis e di Exor, la holding di casa Agnelli? La conseguenza dell’imputazione coatta per dichiarazione fraudolenta imposta dal gip Antonio Borretta può avere conseguenze dirompenti. Infatti i requisiti di onorabilità sono difficilmente negoziabili nei Paesi del Nord Europa in cui l’erede di casa Agnelli ha spostato il core business dei suoi affari, ma soprattutto le sedi legali. Certo, l’Olanda non è come gli Stati Uniti dove chi commette reati contro il fisco finisce in manette, ma le accuse che il giudice ha rivolto a John Elkann non suoneranno come benemerenze neanche ad Amsterdam e dintorni.

L’imprenditore è accusato di avere ordito un piano articolato per evitare il pagamento delle tasse in Italia su «ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità» e, «sotto il profilo ereditario», gli viene contestata «l’omessa regolamentazione della successione di Marella sulla base dell’ordinamento italiano», obiettivo raggiunto apparecchiando una finta residenza in Svizzera per la nonna. Un’«esterovestizione» che gli avrebbe consentito di cancellare la madre Margherita dall’asse ereditario: infatti nella Confederazione elvetica il testamento della nonna, che escludeva la figlia, era perfettamente valido. In Italia no. Per il giudice, lo spostamento della residenza a Lauenen, vicino a Gstaad, ha avuto come ultima e gradita ricaduta il mancato versamento (milionario) dell’imposta di successione. Un risparmio che, a giudizio della Procura, era, invece, la principale finalità degli indagati.

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«Limes» non mette l’elmetto e parte il fango
Lucio Caracciolo (Ansa)
Quattro collaboratori lasciano Lucio Caracciolo, alludendo a presunte posizioni filorusse dell’analista. Il prof Argentieri parla addirittura di «una nube tossica sull’Ucraina». Ma la rivista ha soltanto riportato la realtà, senza ripetere a pappagallo la propaganda bellicista.

La sindrome di Zerocalcare miete vittime a sinistra. Mentre fior di intellettuali si accapigliano sulle sorti della Stampa, ai vertici della prestigiosa rivista Limes si consuma uno psicodramma dei migliori. Alcuni collaboratori piuttosto in vista hanno deciso di mollare la testata di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo accusandola nemmeno troppo dolcemente di putinismo. Federigo Argentieri, professore di scienze politiche e direttore del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, Franz Gustincich e Giorgio Arfaras hanno lasciato il comitato editoriale e il consiglio scientifico di Limes, seguiti a stretto giro dal generale Vincenzo Camporini.

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