2021-04-09
Super Mario tira le orecchie alle Regioni
Mario Draghi (accanto a Locatelli, ma senza Roberto Speranza) se la prende con i saltafila e sollecita i governatori: «Riaperture vincolate alle vaccinazioni delle categorie a rischio». E sul siero anglosvedese insiste: «Continueremo a lanciare messaggi rassicuranti»«Non si possono addossare responsabilità a una parte sola: gli eventi sono stati molto complicati. Ora la fase è dirimente. Vaccinare nelle classi più esposte al rischio è interesse delle Regioni per aprire la loro economia in sicurezza». La linea è chiara. E l'irritazione lampante. Nella sua terza conferenza stampa presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha capito che aprile sarà il test decisivo per la campagna vaccinale. E quindi anche il primo, vero test, per la sua presidenza. Ecco perché ha di fatto messo le Regioni con le spalle al muro. Senza mai affondare il colpo direttamente, senza fare nomi e cognomi ma lanciando un messaggio ben preciso che poi verrà formalizzato nella nuova direttiva firmata dal Commissariato per l'emergenza. «Ci sarà una direttiva di Figliuolo sulle vaccinazioni delle persone fragili e poi vedremo come inserire con i ministri il parametro delle vaccinazioni delle categorie a rischio tra quelli che si usano per autorizzare le riaperture». Non solo. «Se necessario facciamo un altro decreto legge» sulla situazione Covid, qualora si abbassassero i contagi e aumentassero le vaccinazioni alle categorie a rischio. Intanto, però, basta con gli alibi, i vaccini ci sono e le dosi di aprile «sono sufficienti a vaccinare tutta la popolazione che ha più di 80 anni e gran parte degli over 75». Tanto che il presidente del Consiglio ha confermato l'obiettivo delle 500.000 vaccinazioni al giorno («sarà rispettato, anche se al momento il picco raggiunto è di circa 293.000»). Certo, le responsabilità dei disguidi sui vaccini «sono tante, ad esempio una campagna contrattuale un po' leggera. Sarà necessaria una copertura vaccinale per i prossimi anni. I vaccini vanno adattati alle varianti, ci saranno nuove gare per l'avvenire. Assicuro che i contratti saranno fatti meglio», ha aggiunto ricordando anche che Pfizer ha dato 10 milioni di dosi in più all'Unione europea. Quanto ai dati del crollo di fiducia in Astrazeneca, «si vede meno di quanto uno potesse aspettarsi. Continueremo a dare un messaggio rassicurante, che non viene dato a cuor leggero ma con grande serietà, partecipazione, comprensione. Io mi sono vaccinato con Astrazeneca e mia moglie anche», ha ricordato ai giornalisti. Ora è quindi «venuto il momento di prendere decisioni» sulle fasce di età per le vaccinazioni. «Questo è al centro delle riaperture. Se riduciamo il rischio di morte nelle classi più esposte al rischio è chiaro che si riapre con più tranquillità». Il premier non ha attaccato direttamente le Regioni ma ha alzato la voce chiedendosi «con quale coscienza la gente salta la lista sapendo che lascia esposto a rischio concreto di morte persone over 75 o persone fragili?». Domanda che, però, andrebbe rivolta anche a chi ha lasciato le maglie troppo larghe consentendo ai furbetti di saltarla la fila e a chi ha inserito volutamente categorie meno a rischio tra quelle prioritarie sballando la pianificazione e rallentando il completamento dei target vaccinali. Draghi ne è consapevole tanto che sbotta: «Il rischio di decesso è massimo per coloro che hanno più di 75 anni, quindi bisogna vaccinare prioritariamente i più anziani. Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani, i ragazzi, psicologi di 35 anni». Basta con queste «platee di operatori sanitari che si allargano». E ancora: «La prima cosa da capire è seguire le linee guida espresse dal ministro Speranza, ma anche dal Cts in tutte le occasioni di incontro. La raccomandazione è usare Astrazeneca per coloro che hanno più di 60 anni. Quello che deve attirare più l'attenzione è il rischio di decesso che è massimo per coloro che hanno più di 75 anni. Vaccinare prioritariamente» anziani e fragili, «tutto dipenderà da questo». Insomma, l'affondo alle Regioni non è stato diretto - «Non esistono Regioni o Stato: esistiamo noi» - ma chi doveva capire ha capito. Forse già durante l'incontro avuto nel pomeriggio, prima della conferenza stampa, tra lo stesso premier e i vertici delle amministrazioni regionali, comunali e provinciali. Se non si vaccina rispettando lo schema del governo, non si riapre. Sono 12.012.470 le dosi somministrate in Italia, secondo i dati del sito ufficiale del governo aggiornati a ieri sera. In totale sono 3.694.019 le persone vaccinate con due dosi e 8.318.451 con la prima dose. Sui 15.568.730 vaccini distribuiti finora alle Regioni il 77,2% è già stato somministrato. Nell'ultima settimana Astrazeneca è stato usato per gli over 80, secondo le stime, per oltre 6.500 dosi in Veneto - la Regione che l'ha usato di più - per quasi 5.000 dalle Marche, meno di 1.000 dosi in Toscana e per poco più di 500 dosi in tutto il resto d'Italia. Dati che indicano il cambio radicale da fare. «È chiaro che ci sono Regioni più avanzate nelle vaccinazioni, molte diversità abbastanza insospettabili. Questo dovrà influenzare le riaperture: per le Regioni che sono molto avanti con fragili e i più vulnerabili sarà più facile riaprire», ha aggiunto il presidente del Consiglio. Che però «salva» il ministro della Salute ereditato dal governo Conte, Roberto Speranza. «A Salvini ho detto che ho voluto io Speranza nel governo e che ne ho molta stima», ha spiegato rispondendo a una domanda sull'incontro avuto nel pomeriggio con il leader della Lega. Qualche ora prima, in mattinata, Draghi aveva ricevuto a Palazzo Chigi anche il deputato di Leu, Pierluigi Bersani. L'ex ministro ha chiesto al premier di «aggiustare il percorso» e di «non lasciare solo un ministro che tutti i giorni deve prendere decisioni difficili a tutela della salute degli italiani». Accanto a Draghi e davanti ai giornalisti, però, ieri c'era il presidente del Comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli. Non Speranza.
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