2018-05-10
Sull’Iran Gentiloni mette l’Italia nei pasticci. A rischio 5 miliardi
La svolta di Donald Trump sull'accordo nucleare è un bel problema: Matteo Renzi e il governo ci hanno legato a una nazione che era già a rischio. In ballo ci sono una serie di intese e cooperazioni su ogni livello, più valanghe di commesse pubbliche e tanti business privati. Lo Stato asiatico rappresenta un'importante sponda commerciale per il made in Italy.Lo speciale contiene due articoli.Sarà bene che tutti prendano sul serio la frase di Donald Trump: «Quando faccio una promessa, la mantengo». Il presidente Usa non ha solo cestinato l'accordo sul nucleare di Barack Obama con Teheran, mostrando totale (e motivata) sfiducia nella controparte iraniana. Dal punto di vista geopolitico, il messaggio è chiarissimo: gli Usa confermano la vicinanza a Israele, scelgono un'interlocuzione sempre più forte con l'Arabia Saudita. Ma c'è anche un aspetto economico e commerciale della mossa di Trump, che ha preannunciato misure nei confronti dei Paesi (Europa, Cina, Russia, Turchia, India) che continueranno a fare affari con Teheran. Qui Trump non è entrato nei dettagli, né ha illustrato un cronoprogramma. Ma non è difficile fare previsioni almeno su due fronti.Primo. Trump farà rivivere le sanzioni (già messe nero su bianco dal Congresso Usa nel 2012, ma di fatto sospese) contro il commercio del petrolio iraniano. Ogni 120 giorni, la Casa Bianca deve confermare la sospensione di quelle misure: ovvio che ora (la scadenza era sabato prossimo) la Casa Bianca le ripristinerà, tagliando fuori da qualunque linea di credito e da qualunque rapporto con il sistema bancario Usa chi non ridurrà l'importazione di greggio iraniano.Secondo. C'era un altro pacchetto di sanzioni (anch'esse a lungo sospese) verso più di 400 società, settori industriali e singoli individui iraniani. Anche in questo caso la sospensione doveva essere confermata a breve (l'11 luglio), e sembra scontata un'inversione di rotta. In pratica, in considerazione della svolta di Trump, Teheran è destinata a essere considerata come un «appestato» globale. A causa degli errori commessi prima da Matteo Renzi e poi da Paolo Gentiloni, adesso l'Italia rischia moltissimo. Si badi: non si tratta del folklore delle statue incartate al Campidoglio per non «turbare» l'ospite Hassan Rouhani. Ma di una sequenza di intese e cooperazioni su ogni piano: da quello giuridico a quello militare (perfino con esercitazioni navali congiunte). E soprattutto sono a rischio valanghe di commesse, non solo per i giganti (a partire da Eni) ma anche per imprese di dimensione media che il governo (con missioni a Teheran e perfino con una «Fiera Italia-Iran» organizzata a Roma) aveva incoraggiato in una direzione rischiosa. Sul versante privato, già prima dell'annuncio trumpiano, l'azzardo era evidente agli osservatori più avveduti. Parliamoci chiaro: era perfettamente comprensibile che le nostre aziende cercassero l'accesso a un grande mercato. Ma è stato incauto da parte dei governi incoraggiarle verso un paese a rischio. Mi spiego: che succede se viene fuori (da parte di una corte non italiana) che i denari di un certo affare sono direttamente o indirettamente utilizzati come sostegno al terrore? Un'impresa italiana può agire in modo correttissimo, limpido, ineccepibile: ma avendo a che fare, dall'altra parte, con un'economia controllata dai pasdaran, nessuno può escludere esiti infausti. E non si tratta solo della vergogna «politica»: ma delle conseguenze economiche per le imprese eventualmente messe in mezzo, che una qualunque corte americana può chiamare in causa. Un anno e mezzo fa è arrivato un primo segnale da non sottovalutare, riferito a vicende di diversi anni prima. Sul Financial Times di Londra, a fine 2016, è infatti comparsa la notizia di una megamulta americana di 235 milioni di dollari contro Banca Intesa in relazione a «transactions involving Iran». Qualche mese dopo, a seguito di una interrogazione parlamentare, il governo italiano fu costretto a ammettere la veridicità della notizia.Ma anziché arretrare, il governo Gentiloni ha accelerato, inventandosi uno strumento – è da presumere – utilizzabile soprattutto per le imprese pubbliche. Il fattaccio è accaduto nell'ultima legge di stabilità: attraverso il veicolo Invitalia, il governo ha deciso di usare il denaro dei contribuenti come garanzia pubblica per affari a rischio con gli stati considerati sponsor del terrore e dell'integralismo islamista, a partire dall'Iran. La cosa tragicomica è che le risorse sono state prese dai fondi per l'imprenditoria giovanile!Ora, dopo l'annuncio di Trump, il pericolo si fa ancora più evidente. Per le imprese pubbliche sono in gioco i soldi dei contribuenti, mentre per quelle private portate in buona fede in Iran c'è il rischio che - magari senza colpa ma con danni devastanti - siano chiamate a rispondere presso le corti Usa. Eppure c'è ancora chi fa finta di non capire. Va forse letto così il tweet con cui Paolo Gentiloni, pochi minuti dopo lo speech di Trump alla Casa Bianca, ha confermato che per l'Italia «l'accordo con l'Iran va mantenuto». Quando arriveranno le sanzioni, telefoniamo a lui?Daniele Capezzone<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sulliran-gentiloni-mette-litalia-nei-pasticci-2567387062.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lasse-roma-teheran-vale-5-miliardi-tutti-gli-scambi-che-stanno-per-saltare" data-post-id="2567387062" data-published-at="1757839931" data-use-pagination="False"> L'asse Roma-Teheran vale 5 miliardi. Tutti gli scambi che stanno per saltare Il ritorno delle sanzioni verso l'Iran rischia di pesare come un macigno sull'economia italiana. Se il presidente americano Donald Trump non tonerà sui suoi passi e uscirà dall'accordo sul nucleare, le conseguenze per la nostra economia potrebbero essere molto pesanti. Lo Stato guidato da Hassan Rouhani rappresenta infatti una ghiotta opportunità in termini commerciali per l'Italia. Secondo le elaborazioni dell'ambasciata d'Italia su dati agenzia Ice, nel 2016 il made in Italy verso l'Iran è cresciuto di quasi il 30% rispetto al 2015, passando da 1,2 a oltre 1,5 miliardi. Nel 2017, una crescita del 12,5%, ci ha portato un export di oltre 1,7 miliardi. Ancora più interessanti i dati sulle importazioni. Anche in questo caso la crescita da un anno con l'altro è stata elevata. Nel 2015 il made in Iran verso il nostro Paese valeva 468,5 milioni, sempre secondo le elaborazioni dell'ambasciata d'Italia su dati dell'agenzia Ice. Già nel 2016, un anno dopo, il valore è più che raddoppiato a quota 1,05 miliardi di euro per arrivare nel 2017 a 3,36 miliardi. In totale, gli scambi commerciali tra Italia e Iran nel 2017 valevano 5,06 miliardi. Un valore in crescita, ma ancora lontano dal picco del 2011, quando l'interscambio era arrivato a quota 7,097 miliardi. Ora, con le scelte di Trump, questa crescita potrebbe arrestarsi. Uno stop che potrebbe dare un duro colpo a diversi settori che beneficiano dei rapporti tra Italia e Iran. Quali? Secondo i dati Ice, l'export italiano di macchinari e apparecchiature (per uso non domestico) nel 2017 è giunto a quota 918,7 milioni, in crescita rispetto agli 844,5 milioni del 2016 e ai 634,2 del 2015. Con il segno più anche il valore delle esportazioni delle apparecchiature per uso domestico che nel 2017 erano a quota 132,3 milioni, in crescita rispetto ai 103,1 milioni del 2016 e ai 90,3 del 2015. Bene anche i prodotti chimici (155,2 milioni nel 2017, 123 nel 2016 e 95 nel 2015). In termini di importazioni, invece, la parte del leone nel 2017 l'hanno fatta i prodotti delle miniere e delle cave. Secondo i dati Ice, su 3,36 miliardi totali, questo settore valeva 2,99 miliardi. Un vero e proprio boom rispetto ai 704,6 milioni del 2016 e ai 37,9 milioni del 2015. Sono invece crollate le importazioni di prodotti della metallurgia: nel 2017 valevano 158,47 milioni, in calo rispetto ai 216,44 milioni del 2016 e ai 287,2 del 2015. Insomma, la lista sia per le esportazioni che per le importazioni potrebbe essere lunga quando si parla di settori in crescita. Del resto, non sono poche le aziende italiane che hanno interessi a Teheran. Basti ricordare l'intesa raggiunta tra Ferrovie dello Stato e le ferrovie iraniane (per un totale di 3,5 miliardi) per la costruzione di una rete ferroviaria ad alta velocità. Senza dimenticare gli accordi raggiunti tra Enel e una società iraniana di esportazione di gas o uno fra la società degli aeroporti di Milano Sea e un'omologa iraniana (Iac) per la costruzione e la gestione dell'aeroporto Mehrabad di Teheran oppure l'operazione con la Danieli che ha per oggetto pezzi di ricambio nel settore automobilistico. Ma, se questi sono accordi già firmati, il problema ora si pone per i progetti futuri. Con questi chiari di luna non mancano le aziende che prima di investire vogliono vedere che ne sarà dei rapporti commerciali con l'Iran. Se qualcosa non cambierà, le commesse subiranno un drastico calo e a perderci non sarà solo l'Iran, ma soprattutto l'Italia (e non solo). Gianluca Baldini
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità