2020-09-21
Sui migranti l’Ue sbaglia e ci frega
Ursula von der Leyen annuncia l'ennesimo patto. Ma non ci sarà alcuna redistribuzione: gli immigrati economici resteranno da noi. Mentre la Cina sull'Africa ci dà una lezione.Ci risiamo. Un nuovo piano dell'Europa per l'immigrazione: questa volta è il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a proporlo. Lo farà dopodomani a Bruxelles. Si dovrebbe chiamare «Patto sui migranti». Il discorso sarebbe semplice: visto che la Grecia e l'Italia sono i primi porti di arrivo dei migranti, soprattutto africani, e visto che l'Italia e l'Europa sono Paesi europei, quei migranti dovrebbero essere considerati come migranti che sbarcano in Europa, non in Italia e Grecia, abbandonate da anni a sé stesse. Si chiama redistribuzione, ripartizione equa dei migranti in tutto il Continente. Gli ultimi sbarchi in Sicilia e Sardegna - e le situazioni di totale degrado e disagio con cui sono stati gestiti -, per noi ne sono la conferma, l'ennesima conferma. Non meravigli che i Paesi di Visegrád - la Repubblica Ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, assieme ai Paesi baltici e all'Austria di Sebastian Kurz - siano contrari. Non è questione solo ideologica, è questione di fiducia nell'Europa e nelle sue capacità di intervenire seriamente sulla situazione, cosa che più o meno pensano tutti, anche chi non lo dice. Il cancelliere austriaco Kurz, recentemente, lo ha detto chiaramente: se c'è un problema di redistribuzione di migranti in Europa, esso consiste nel ripartire negli altri Paesi quelli che in Austria e in Germania sono già troppi. La Merkel non ha smentito. Più chiaro di così non poteva essere: il problema dell'Italia riguarda l'Italia, non noi.Del resto il Patto di Malta, siglato a La Valletta nel settembre 2019, non ha sostanzialmente funzionato, o solo in minima parte. Per quanto riguarda poi il Regolamento di Dublino - sciaguratamente firmato anche dall'Italia - su 500.000 sbarcati ne sono stati ricollocati 13.000. Solo una parte dei migranti, quelli richiedenti lo status di rifugiato, e cioè siriani, eritrei, afgani, sudanesi e congolesi, hanno trovato udienza presso i Paesi che hanno deciso di accoglierli. Cioè hanno scelto chi accogliere e chi no, anche in relazione alle esigenze dei loro mercati del lavoro.Ora si riparte. Il punto critico è uno, almeno per noi, infatti sembra che i governi sarebbero obbligati, secondo un sistema di quote obbligatorie di accoglienza, a ripartirsi i migranti che potranno aspirare con chiarezza alla protezione internazionale. Ovvero una minima parte di quelli che arrivano in Italia, che sono migranti economici per la stragrande maggioranza. Quindi, con tutta probabilità (vedi le esperienze precedenti), all'Italia - se così formulato- questo patto non servirà a un bel niente. Vediamo se il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e il premier, Giuseppe Conte, avranno la forza di cambiare ciò che c'è da cambiare, a favore del nostro Paese: il pessimismo non è peregrino. Se uno ha preso da un interlocutore diversi calci in faccia, è difficile che si fidi con la mascella fratturata. In questo caso non c'è neanche da offrire evangelicamente l'altra guancia, perché è stata massacrata anch'essa.Detto questo c'è poi da dire che l'Europa, con l'Africa, invece di imporre dazi e tariffe pesanti alle esportazioni di quei Paesi, avrebbe dovuto imitare la linea che ormai da anni segue la Cina, che è quasi a 300 miliardi di dollari di interscambio con i Paesi africani. Ha costruito infrastrutture, porti e una base militare a Gibuti. Tutti parlano di un Piano Marshall per l'Africa, nel frattempo la Cina lo fa - certo non il Piano Marshall -, ma si muove nella direzione di favorire, ovviamente per interessi economici, lo sviluppo di quei Paesi. Si dirà che lo fa male. L'Europa lo avrebbe fatto meglio. Sì, certamente, ma non lo ha fatto. Ha perso il treno? Molto probabile. «Aiutiamoli a casa loro» l'han detto praticamente tutti. Per ora non lo ha fatto nessuno, almeno nelle dimensioni necessarie.
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