2025-01-04
Pakistani stuprano bimbe. Ma i laburisti stanno zitti per salvare l’integrazione
In Uk monta lo scandalo delle bande di adescatori stranieri colpevoli di migliaia di abusi su minori. Casi insabbiati dalla sinistra per proteggere le porte aperte.Le chiamano grooming gangs (bande di adescatori) e l’eufemismo utilizzato la dice lunga sul colpevole imbarazzo che la vicenda suscita. Sarebbe più corretto parlare di gruppi di stupratori e abusatori di ragazzine ma, con tutta evidenza, questa definizione crea problemia sinistra. Eppure il fenomeno è largamente provato e persino studiato. Lo scorso agosto, la nota attivista femminista Julie Bindel ne ha scritto addirittura sul sito di Al Jazeera: «Sono venuta a conoscenza per la prima volta dell’esistenza delle grooming gang nel Regno Unito a metà degli anni Novanta. Gruppi di uomini per lo più pakistani-britannici prendevano di mira ragazze vulnerabili per sfruttarle sessualmente e passarle tra i loro amici e soci in affari a scopo di lucro».A quanto risulta, gruppi di uomini per lo più di origini pakistane si sono resi responsabili di violenza su centinaia di ragazzine bianche inglesi, compiendo quello che, in altre circostanze, sarebbe definito un «crimine razziale». Il caso più sconvolgente è quello della cittadina di Rotherham, nel Nord del Regno Unito. Come spiega Bindel, nell’agosto del 2014 «un rapporto rivoluzionario dell’ex assistente sociale senior Alexis Jay ha rivelato che circa 1.400 minori erano stati abusati sessualmente nella città dal 1997 al 2013, prevalentemente da uomini pakistani-britannici. Ha rivelato che il personale del consiglio cittadino e altri erano a conoscenza degli abusi ma avevano chiuso un occhio su ciò che stava accadendo e si erano rifiutati di identificare i colpevoli in parte per paura di essere etichettati come razzisti». Alcuni di questi casi erano già venuti alla luce nel 2010, quando cinque uomini di origine pakistana erano stati condannati per reati sessuali contro ragazzine di età compresa tra i 12 e i 16 anni.Nel luglio del 2024 un’altra indagine ha svelato che a Rochdale, sobborgo a circa 35 km di distanza da Rotherham, l’unità di crisi del Servizio sanitario nazionale britannico «aveva indirizzato 260 vittime ai servizi di assistenza sociale per l’infanzia e che questi indirizzamenti non hanno avuto seguito nel corso degli anni». Episodi analoghi sono avvenuti anche in altre zone del Regno Unito: Cornovaglia, Derbyshire, Bristol... Ma la politica si è sempre rifiutata di occuparsene seriamente, almeno finora.Il bubbone è esploso nei giorni scorsi, quando si è venuto a sapere che, lo scorso ottobre, la città di Oldham aveva chiesto al governo di svolgere una indagine sulle grooming gangs. Jess Phillips, sottosegretario laburista alla salvaguardia responsabile e il contrasto alla violenza sulle donne, ha fatto sapere al Comune di Oldham che il governo non avrebbe svolto alcuna indagine, ufficialmente perché si tratterebbe di una questione di competenza delle autorità locali. La risposta negativa, divulgata da Gb News, ha fatto divampare le polemiche.Il leader dei conservatori, Kemi Badenoch, ha chiesto un’inchiesta pubblica nazionale su quello che ha definito «scandalo delle bande di stupratori. Negli ultimi anni», ha scritto su X, «si sono svolti processi in tutto il Paese, ma nessuna autorità ha unito i puntini. Il 2025 deve essere l’anno in cui le vittime inizieranno a ottenere giustizia».A dettare l’agenda, in realtà, è stato Elon Musk, che è venuto a conoscenza del caso di Oldham e su X ha attaccato duramente sia il ministro Phillips (sostenendo che dovrebbe «finire in prigione») sia il leader laburista Keir Starmer, che avrebbe evitato di perseguire seriamente le gang quando, negli anni Dieci, guidava il Crown prosecution service. A Musk ha replicato il ministro della Salute britannico, Wes Streeting, accusandolo di fare disinformazione. In realtà, come ha mostrato il Daily Telegraph, Starmer nel 2012 dichiarò pubblicamente che le autorità britanniche avrebbero dovuto fare di più contro gli stupratori, ammettendo di fatto il fallimento della giustizia.Dei bisticci politici, tuttavia, importa poco. Quel che più conta è che il marcio sia finalmente sotto gli occhi di tutti. «L’impunità è finita perché la verità nuda e cruda sta venendo a galla», ha scritto Robert Jenrick sul Telegraph. «Fino all’anno scorso, lo scandalo era ampiamente considerato dalla sinistra come una teoria del complotto di destra. Ma le vittime coraggiose e gli attivisti hanno rifiutato di essere messi a tacere. E una manciata di reporter coraggiosi, come Charlie Peters di GB News, erano disposti a riferire ciò che molti media mainstream non hanno fatto. Nonostante le intimidazioni fisiche, le minacce e le false accuse di islamofobia, hanno continuato a scavare. Ciò che una volta pensavamo fosse limitato a poche tasche, ora sappiamo che ha avuto luogo su e giù per il Paese, ovunque, da Bristol a Glasgow. Per proteggere le “relazioni comunitarie”, lo Stato britannico ha fatto di tutto per insabbiarle. I rapporti sono stati bloccati e deliberatamente tenuti nascosti agli occhi del pubblico. Qualsiasi collegamento con l’etnia, l’immigrazione o l’islam è stato minimizzato. I rapporti che sono stati pubblicati sono stati insabbiati: le prove che gli uomini pakistani britannici erano sovrarappresentati tra gli autori del reato sono state aumentate per evitare verità scomode. Ma uno studio recente ha mostrato che, a Telford, un uomo musulmano su 126 è stato perseguito penalmente tra il 1997 e il 2017, e a Rotherham la cifra era di uno su 73».Ecco il nocciolo della questione: centinaia di casi di abusi sessuali, stupri e vessazioni su ragazzine britanniche sono stati sostanzialmente occultati per timore di causare tensioni etniche. Per non turbare il meraviglioso racconto del multiculturalismo paradisiaco, le autorità hanno fatto finta di non vedere crimini orrendi. La vita di una ragazzina, pare, può essere sacrificata in nome della correttezza politica.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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