2023-11-22
L’ultimo stereotipo di «Repubblica»: «I maschi sono tutti delle belve»
Il giornalista di Repubblica, Francesco Piccolo (Getty Images)
La macchina rieducativa dei progressisti non si ferma. Peccato che i suoi dogmi (sessi liquidi, schwa, causa trans e maternità surrogata) provochino nuove sottomissioni femminili. Poi però incolpano la «tradizione».Insomma, siamo tutti belve. Nella semplificazione giornalistica progressistica - che in parte è inevitabile ma che in questo caso è dolosa - le donne sono tutte come Elena Cecchettin (così sostiene Michela Marzano sulla prima pagina di Repubblica) e cioè «pronte a decostruire la cultura dello stupro e a ricostruire le relazioni umane sulla base del reciproco rispetto», mentre gli uomini sono tutti come li descrive poche pagine prima sullo stesso giornale, Francesco Piccolo. In una parola: belve. Esseri piuttosto ripugnanti per cui la redenzione è impossibile; matasse di pura sopraffazione in preda agli istinti inferi.Piccolo lo scrive chiaro. Noi, tutti noi maschi, «siamo stati almeno una volta (e anche di più) nella vita quello che urlava sopra, che non faceva parlare, che doveva parlare prima lui; quello che spiegava come bisogna comportarsi o come fare una cosa o, addirittura, come bisogna vivere; quello che ha cercato di imporre il suo ruolo, quello che si è incazzato di più perché sapeva di avere torto; quello che non ha accettato che si amasse un altro uomo (non ha accettato è poco). Quello che si ricorda che aveva ragione anche due mesi dopo, e chiama, e dice: hai visto che avevo ragione? Quello che, quando parla a una riunione, si rivolge agli altri uomini. Quello che si dimentica come si chiama la collega. Quello che manda messaggi ambigui per tutta la vita. Quello che sul treno si sente in dovere di rivolgere la parola a una donna che siede di fronte solo perché è carina e non riuscirebbe a tornare a casa senza averlo fatto. Quello che si appropria delle idee delle altre, disinvoltamente. Eccetera, eccetera, eccetera».Suggestivo, senza dubbio. Peccato che, una per una, tutte queste patacche stereotipate che vengono appiccicate sulla pelle del maschio siano perfettamente applicabili anche alle donne. Tutte, forse con qualche minuscola eccezione ampiamente compensata da altri atteggiamenti sgradevoli. E questo basterebbe a dimostrare quanto sia semplicistico e ottuso il ragionamento dominante che si muove su queste coordinate. Ma a prescindere dal rimpallo di responsabilità, viene da chiedersi, allora, che cosa ci rende così mostruosi, così inguaribilmente ferini. Forse un gene, un cromosoma, un organo? Se così fosse, sarebbe interessante capire come tutto ciò si concilia con la fluidità dei sessi (anche biologica) che i progressisti vanno predicando da anni. Se un maschio si dichiara donna, con o senza medicalizzazione, resta un bruto con la bava alla bocca? Immaginiamo che questo dubbio continuerà a perseguitarci. In ogni caso il punto è, secondo Piccolo, che gli uomini - persino se si dicono progressisti - non possono cambiare. Se la violenza esiste è colpa loro, sono sempre loro a esercitarla e non c’è verso di mutare l’ordine delle cose.Che fare, dunque? Piccolo suggerisce che per la rieducazione servirà tantissimo tempo e non è nemmeno detto che essa vada a buon fine. E su questo in parte ha ragione: insistere a patologizzare il maschile e a criminalizzarlo senza distinzioni può condurre a un solo approdo, quello della profezia che si autoavvera. Sentenziando che la forza tipica del maschile (la vis da cui irradia la virilità) sia a prescindere dannosa, significa nei fatti svirilizzare intere generazioni di maschi ed esporli a una destabilizzazione che difficilmente avrà un esito diverso dalla violenza, rivolta contro di sé e contro gli altri. Nel frattempo, la macchina rieducativa non ha certo smesso di funzionare e se si fosse almeno un poco onesti, si ammetterebbe che questa opera di ingegneria del pensiero prosegue da parecchio tempo. L’ordine del Padre ha cominciato a essere smantellato non appena si è sancita la morte di Dio, mentre la lotta alla mascolinità (definita tossica nel suo complesso) imperversa su tutti i mezzi di comunicazione e su tutte le piattaforme di intrattenimento. Non risulta, tuttavia, che tale gigantesca impresa di ristrutturazione della realtà abbia eliminato la violenza, compresa quella nei confronti delle donne. Anzi, al contrario, essa ha prodotto nuove forme di oppressione e sopraffazione. Se con lotta al patriarcato si indica la battaglia per liberare le donne da ogni forma di sottomissione, non si capisce come possano giovare le numerose ossessioni imposte negli ultimi anni dalla ideologia progressista.Portiamo qualche piccolo esempio, a cominciare dalla già citata fluidità. Come dovrebbe portare beneficio alle donne la cancellazione della distinzione tra i sessi che prevede la cancellazione della differenza femminile? Se il femminicidio è la distruzione della donna in quanto donna, l’intervento sul linguaggio a colpi di schwa e asterischi non è forse un clamoroso femminicidio culturale? E vogliamo parlare della causa trans? Non è forse «patriarcale» l’idea che un maschio biologico imponga alle donne una nuova definizione di femminilità da lui stabilita? Continuiamo citando la presunta liberazione che dovrebbe derivare dalla glorificazione neofemminista del cosiddetto sex work. La trasformazione dei corpi in oggetti commerciabili sui social o su Onlyfans di sicuro preserva la dignità della carne femminile... Analogo ragionamento si potrebbe articolare riguardo alla maternità surrogata, che tramuta lo specifico femminile della maternità in un bene di scambio e suggerisce la totale non rilevanza della madre biologica. Potremmo persino allargare lo spettro e chiederci come mai i fieri avversari e le fiere avversarie del patriarcato non si battano strenuamente contro l’importazione di migliaia di persone provenienti da nazioni in cui il patriarcato e l’ordine verticale ancora dominano.Forse i progressisti pensano di rieducare pure gli allogeni. Ma se i maschi, come dice Piccolo, non si possono rieducare, come la mettiamo? Per chi arriva da fuori valgono regole diverse? Forse il punto vero è che la categoria del patriarcato non spiega un bel niente e serve soltanto a confondere le acque. Allo stesso modo, generalizzare e demonizzare il maschio a ogni livello produce soltanto rabbia e alimenta il conflitto fra due polarità che dovrebbero, invece, cercare un equilibrio. Comunque si rivolti la questione, qui la grande opera di sovversione e devastazione non è certo condotta dalla presunta «tradizione» o da quel che rimane della cultura conservatrice.A dare le carte è sempre e comunque il progressismo, che stabilisce una regola e poi la contraddice, che si contorce nei suoi mille cortocircuiti e agisce come servo sciocco del capitale e dell’interesse. Già, perché a differenza di ciò che sostiene Francesco Piccolo, i progressisti esistono e fanno un bel po’ di danni. Poi, da bravi narcisisti, danno la colpa agli altri.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.