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2024-12-13
«Soldi per le transizioni dai risparmi privati»
Stéphane Séjourné (Ansa)
«Auto, la Ue apre alle regole», titolava ieri il Corriere della Sera in prima pagina, riassumendo così un’intervista al vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Stéphane Séjourné. Che al quotidiano di via Solferino dichiara di voler fare «tutto il possibile per abbassare i prezzi dell’energia e garantire la certezza del diritto con clausole di salvaguardia». Ammette che «l’industria dell’auto ha gli stessi problemi del resto dell’industria europea, che soffre per i prezzi dell’energia troppo alti, per la sovraccapacità produttiva esterna, in particolare cinese, e per la concorrenza sleale sul mercato».
Assicura che «Ursula von der Leyen avrà un dialogo strategico con i produttori e l’intera filiera nelle prossime settimane per mettere sul tavolo le difficoltà legate alla transizione» e si dichiara «pronto a iniziare a lavorare sulla clausola di revisione nel 2025 in modo da essere pronti nel 2026, perché se iniziamo nel 2026, saremo pronti nel 2027». Per Séjourné «la questione delle multe deve essere risolta in modo pragmatico per non penalizzare i produttori ai quali viene chiesto di fare molto». Ma, c’è sempre un ma, «i target fissati non sono in discussione». Insomma, non un dettaglio da poco. Non solo. Il vicepresidente dice al Corriere che durante il mandato verrà creato anche un fondo per la competitività, il cui scopo sarà quello di finanziare tutte le transizioni. Come verrà finanziato? E qui casca un altro asino. Perché Séjourné risponde che «nel prossimo bilancio Ue dovremo aumentare in modo significativo la quota per le politiche legate alla competitività, che ora vale solo il 15%». E aggiunge che «ci sono poi i risparmi privati europei da mobilitare» e poi «c’è la Banca europea per gli investimenti. Semplificando si potrebbero mobilitare fino a 50 miliardi di euro». Già, semplificando quelle risorse vanno trovate pescando dal risparmio privato.
Il vicepresidente della Commissione, con delega alla prosperità e alla strategia industriale, ha scelto l’Italia come sua prima tappa di un tour che lo porterà poi in Polonia, Francia e Germania. Ha incontrato il ministro del made in Italy, Adolfo Urso, a Bollate nel sito dell’azienda chimica Syensqo. Un sopralluogo anticipato in mattinata da un incontro con i rappresentanti di Confindustria Milano. A corredo di questi incontri, ha rilasciato un’altra serie di dichiarazioni assai accomodanti e concilianti. Sempre all’insegna del «pragmatismo». Tipo: «L’obiettivo è ridurre i prezzi dell’energia e sulla sovracapacità». Sejourné ha pure scritto un messaggio su X: «L’Italia è la culla dell’industria europea. Le aziende italiane creano catene di valore per tutta l’Europa. Oggi dobbiamo accompagnarle nella loro transizione verde, proteggendo competitività e posti di lavoro a livello locale».
Il problema sono le garanzie sul fatto che a queste belle parole seguiranno i fatti. E che ci sia davvero un’inversione di marcia da parte di Bruxelles. Inversione di cui c’è sempre più bisogno. Come confermano alcuni dati trimestrali sul mercato del lavoro rilasciati ieri dall’Istat. Partiamo dalle buone notizie: nel terzo trimestre dell’anno, gli occupati aumentano di 117.000 unità (+0,5%) rispetto al secondo trimestre, a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+111.000, +0,7%) e degli indipendenti (+43.000, +0,8%) che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine (-37.000, -1,3% in tre mesi). L’occupazione cresce anche nel confronto annuo, con +517.000 unità, pari a +2,2% rispetto al terzo trimestre 2023, coinvolgendo ancora i dipendenti a tempo indeterminato (+3,6%) e gli indipendenti (+2,6%) a fronte della diminuzione dei dipendenti a termine (-5,9%). Inoltre, nel terzo trimestre cala il numero di disoccupati (-149.000, -8,7%) . Simile la dinamica per i tassi: quello di occupazione raggiunge il 62,4% (+0,2 punti), il tasso di disoccupazione scende al 6,1% (-0,6 punti) e quello di inattività 15-64 anni sale al 33,4% (+0,2 punti).
Attenzione, però, alle ombre: nel terzo trimestre aumenta infatti il numero degli inattivi di 15-64 anni (+88 mila, +0,7%), nel confronto con il secondo trimestre. Anche nel confronto annuo prosegue il calo del numero di disoccupati (-418.000 in un anno, -22,7%), mentre torna a crescere quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+100 .000, +0,8%). Le ore lavorate per dipendente diminuiscono sia in termini congiunturali (-0,9%) sia tendenziali (-1,0%) e il ricorso alla cassa integrazione sale a 8 ore ogni mille ore lavorate. Quindi sempre più cassa, paghe basse e un aumento del tasso di occupazione che riguarda soprattutto gli over 50.
«C’è un’aria nuova nella Commissione europea. Una visione pragmatica che affronta la realtà coniugando sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale», ha detto ieri il ministro Urso dopo l’incontro con Séjourné.
Speriamo.
Imparato comincia con le promesse: «Stellantis vuole restare in Italia»
Nel pieno della crisi di Stellantis e in attesa che, dopo le dimissioni di Carlos Tavares, si trovi una nuova guida per l’azienda, il capo Emea del gruppo Jean-Philippe Imparato ha incontrato i sindacati dei metalmeccanici a Torino. Con lui sono arrivate le prime promesse: la produzione, innanzitutto, resterà in Italia. Quello di ieri, del resto, è stato un incontro che fa da preludio a quello del prossimo 17 dicembre a Roma con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e alcuni governatori di Regioni dove Stellantis è presente.
«La mia priorità assoluta è mantenere l’attività in Italia», ha detto il manager francoitaliano. «Abbiamo avuto due ore di dialogo costruttivo: uno scambio di idee e proposte per fare dell’Italia il cuore della strategia di Stellantis» ha spiegato Imparato. «Tutti sappiamo che il 2025 sarà un anno cruciale, segnato da grandi trasformazioni: dobbiamo affrontarlo insieme». Riguardo a Maserati, il capo europeo ha precisato: «Maserati merita un piano dedicato. Non possiamo fornire risposte definitive oggi, ma stiamo lavorando per definire un progetto strutturato e di grande impatto. Santo Ficili è impegnato su questo e ci arriveremo il prima possibile». Imparato ha anche parlato dello stabilimento di Mirafiori. «Non si estinguerà», ha detto. «Abbiamo un piano per garantire un futuro allo stabilimento che guarda fino al 2032-2033. A novembre 2025 arriverà la 500 ibrida, ma la vera novità è che la prossima generazione della 500 sarà prodotta proprio a Mirafiori. Durante l’incontro, abbiamo discusso anche della necessità di un ricambio generazionale e dell’importanza di coinvolgere i giovani nella ricerca. Dobbiamo portare non solo prodotti, ma anche le persone che li realizzano. Inoltre, non dimentichiamo che a Mirafiori si sviluppano attività fondamentali come l’economia circolare e l’eDct (cambio a doppia frizione, ndr)». Ancora: «a livello di stabilimenti, nel 2029 l’Italia diventerà il secondo mercato europeo di Stellantis. Non chiuderemo nessuna fabbrica. Ogni marchio ha un piano prodotto. E lo faremo vedere a tutti la prossima settimana». Imparato ha poi affrontato il tema dell’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili: «Abbiamo chiesto di rientrare nell’Acea perché vogliamo agire come una squadra. Una volta rientrati, ci allineeremo alle posizioni dell’associazione e ne sposeremo le decisioni a livello globale. Questo non significa che condivideremo tutto, perché Stellantis mantiene la sua identità, ma è essenziale presentarsi uniti e parlare con una sola voce ai governi e alle autorità europee. Con l’avvicinarsi del 2025, dobbiamo affrontare questa sfida collettivamente». Infine, riguardo alle nuove normative sulle emissioni che entreranno in vigore nel 2025, Imparato ha chiarito: «Attualmente vendiamo il 12% delle auto sul mercato europeo. Con le nuove regole, dovremmo raggiungere il 21%, altrimenti rischieremmo sanzioni fino a 2,7 miliardi di euro. Tuttavia, Stellantis sarà conforme: «non abbiamo intenzione di pagare queste multe», ha specificato.
Il manager, insomma, ha voluto ribadire che il gruppo è solido. «Numero uno: non siamo in crisi, siamo solidi», ha detto. «Numero due: dobbiamo vendere più auto, ricambi, servizi e finanziamenti perché abbiamo bisogno di sviluppo; oggi siamo troppo lenti, perché siamo un’organizzazione complessa», ha spiegato. C’è poi il tema dei modelli elettrici: come ha spiegato Imparato, in primis, in Cina entro tre anni il 90% del mercato sarà a batteria e entro cinque anni il 90% di queste vetture sarà di produzioni cinese. Per i tedeschi, insomma, saranno dolori. Ma per Stellantis no perché il gruppo è pronto con il lancio di 14 modelli a batteria, cioè il 21% dell’offerta totale del gruppo. Per questo il manager crede che l’elettrico sia il futuro, indipendentemente dalle tempistiche che serviranno per questa transizione.
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Riduci
Incontro positivo fra il vicepresidente della Commissione Séjourné e Urso, ma resta l’incognita sul fondo per la competitività e sui target che non saranno modificati. Intanto l’Istat suona la sveglia: aumentano gli inattivi e diminuiscono le ore lavorate.Il responsabile Europa del gruppo Stellantis Imparato incontra i sindacati: «Mirafiori non si estinguerà».Lo speciale contiene due articoli.«Auto, la Ue apre alle regole», titolava ieri il Corriere della Sera in prima pagina, riassumendo così un’intervista al vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Stéphane Séjourné. Che al quotidiano di via Solferino dichiara di voler fare «tutto il possibile per abbassare i prezzi dell’energia e garantire la certezza del diritto con clausole di salvaguardia». Ammette che «l’industria dell’auto ha gli stessi problemi del resto dell’industria europea, che soffre per i prezzi dell’energia troppo alti, per la sovraccapacità produttiva esterna, in particolare cinese, e per la concorrenza sleale sul mercato». Assicura che «Ursula von der Leyen avrà un dialogo strategico con i produttori e l’intera filiera nelle prossime settimane per mettere sul tavolo le difficoltà legate alla transizione» e si dichiara «pronto a iniziare a lavorare sulla clausola di revisione nel 2025 in modo da essere pronti nel 2026, perché se iniziamo nel 2026, saremo pronti nel 2027». Per Séjourné «la questione delle multe deve essere risolta in modo pragmatico per non penalizzare i produttori ai quali viene chiesto di fare molto». Ma, c’è sempre un ma, «i target fissati non sono in discussione». Insomma, non un dettaglio da poco. Non solo. Il vicepresidente dice al Corriere che durante il mandato verrà creato anche un fondo per la competitività, il cui scopo sarà quello di finanziare tutte le transizioni. Come verrà finanziato? E qui casca un altro asino. Perché Séjourné risponde che «nel prossimo bilancio Ue dovremo aumentare in modo significativo la quota per le politiche legate alla competitività, che ora vale solo il 15%». E aggiunge che «ci sono poi i risparmi privati europei da mobilitare» e poi «c’è la Banca europea per gli investimenti. Semplificando si potrebbero mobilitare fino a 50 miliardi di euro». Già, semplificando quelle risorse vanno trovate pescando dal risparmio privato. Il vicepresidente della Commissione, con delega alla prosperità e alla strategia industriale, ha scelto l’Italia come sua prima tappa di un tour che lo porterà poi in Polonia, Francia e Germania. Ha incontrato il ministro del made in Italy, Adolfo Urso, a Bollate nel sito dell’azienda chimica Syensqo. Un sopralluogo anticipato in mattinata da un incontro con i rappresentanti di Confindustria Milano. A corredo di questi incontri, ha rilasciato un’altra serie di dichiarazioni assai accomodanti e concilianti. Sempre all’insegna del «pragmatismo». Tipo: «L’obiettivo è ridurre i prezzi dell’energia e sulla sovracapacità». Sejourné ha pure scritto un messaggio su X: «L’Italia è la culla dell’industria europea. Le aziende italiane creano catene di valore per tutta l’Europa. Oggi dobbiamo accompagnarle nella loro transizione verde, proteggendo competitività e posti di lavoro a livello locale».Il problema sono le garanzie sul fatto che a queste belle parole seguiranno i fatti. E che ci sia davvero un’inversione di marcia da parte di Bruxelles. Inversione di cui c’è sempre più bisogno. Come confermano alcuni dati trimestrali sul mercato del lavoro rilasciati ieri dall’Istat. Partiamo dalle buone notizie: nel terzo trimestre dell’anno, gli occupati aumentano di 117.000 unità (+0,5%) rispetto al secondo trimestre, a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+111.000, +0,7%) e degli indipendenti (+43.000, +0,8%) che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine (-37.000, -1,3% in tre mesi). L’occupazione cresce anche nel confronto annuo, con +517.000 unità, pari a +2,2% rispetto al terzo trimestre 2023, coinvolgendo ancora i dipendenti a tempo indeterminato (+3,6%) e gli indipendenti (+2,6%) a fronte della diminuzione dei dipendenti a termine (-5,9%). Inoltre, nel terzo trimestre cala il numero di disoccupati (-149.000, -8,7%) . Simile la dinamica per i tassi: quello di occupazione raggiunge il 62,4% (+0,2 punti), il tasso di disoccupazione scende al 6,1% (-0,6 punti) e quello di inattività 15-64 anni sale al 33,4% (+0,2 punti). Attenzione, però, alle ombre: nel terzo trimestre aumenta infatti il numero degli inattivi di 15-64 anni (+88 mila, +0,7%), nel confronto con il secondo trimestre. Anche nel confronto annuo prosegue il calo del numero di disoccupati (-418.000 in un anno, -22,7%), mentre torna a crescere quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+100 .000, +0,8%). Le ore lavorate per dipendente diminuiscono sia in termini congiunturali (-0,9%) sia tendenziali (-1,0%) e il ricorso alla cassa integrazione sale a 8 ore ogni mille ore lavorate. Quindi sempre più cassa, paghe basse e un aumento del tasso di occupazione che riguarda soprattutto gli over 50. «C’è un’aria nuova nella Commissione europea. Una visione pragmatica che affronta la realtà coniugando sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale», ha detto ieri il ministro Urso dopo l’incontro con Séjourné. 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Quello di ieri, del resto, è stato un incontro che fa da preludio a quello del prossimo 17 dicembre a Roma con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e alcuni governatori di Regioni dove Stellantis è presente. «La mia priorità assoluta è mantenere l’attività in Italia», ha detto il manager francoitaliano. «Abbiamo avuto due ore di dialogo costruttivo: uno scambio di idee e proposte per fare dell’Italia il cuore della strategia di Stellantis» ha spiegato Imparato. «Tutti sappiamo che il 2025 sarà un anno cruciale, segnato da grandi trasformazioni: dobbiamo affrontarlo insieme». Riguardo a Maserati, il capo europeo ha precisato: «Maserati merita un piano dedicato. Non possiamo fornire risposte definitive oggi, ma stiamo lavorando per definire un progetto strutturato e di grande impatto. Santo Ficili è impegnato su questo e ci arriveremo il prima possibile». Imparato ha anche parlato dello stabilimento di Mirafiori. «Non si estinguerà», ha detto. «Abbiamo un piano per garantire un futuro allo stabilimento che guarda fino al 2032-2033. A novembre 2025 arriverà la 500 ibrida, ma la vera novità è che la prossima generazione della 500 sarà prodotta proprio a Mirafiori. Durante l’incontro, abbiamo discusso anche della necessità di un ricambio generazionale e dell’importanza di coinvolgere i giovani nella ricerca. Dobbiamo portare non solo prodotti, ma anche le persone che li realizzano. Inoltre, non dimentichiamo che a Mirafiori si sviluppano attività fondamentali come l’economia circolare e l’eDct (cambio a doppia frizione, ndr)». Ancora: «a livello di stabilimenti, nel 2029 l’Italia diventerà il secondo mercato europeo di Stellantis. Non chiuderemo nessuna fabbrica. Ogni marchio ha un piano prodotto. E lo faremo vedere a tutti la prossima settimana». Imparato ha poi affrontato il tema dell’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili: «Abbiamo chiesto di rientrare nell’Acea perché vogliamo agire come una squadra. Una volta rientrati, ci allineeremo alle posizioni dell’associazione e ne sposeremo le decisioni a livello globale. Questo non significa che condivideremo tutto, perché Stellantis mantiene la sua identità, ma è essenziale presentarsi uniti e parlare con una sola voce ai governi e alle autorità europee. Con l’avvicinarsi del 2025, dobbiamo affrontare questa sfida collettivamente». Infine, riguardo alle nuove normative sulle emissioni che entreranno in vigore nel 2025, Imparato ha chiarito: «Attualmente vendiamo il 12% delle auto sul mercato europeo. Con le nuove regole, dovremmo raggiungere il 21%, altrimenti rischieremmo sanzioni fino a 2,7 miliardi di euro. Tuttavia, Stellantis sarà conforme: «non abbiamo intenzione di pagare queste multe», ha specificato. Il manager, insomma, ha voluto ribadire che il gruppo è solido. «Numero uno: non siamo in crisi, siamo solidi», ha detto. «Numero due: dobbiamo vendere più auto, ricambi, servizi e finanziamenti perché abbiamo bisogno di sviluppo; oggi siamo troppo lenti, perché siamo un’organizzazione complessa», ha spiegato. C’è poi il tema dei modelli elettrici: come ha spiegato Imparato, in primis, in Cina entro tre anni il 90% del mercato sarà a batteria e entro cinque anni il 90% di queste vetture sarà di produzioni cinese. Per i tedeschi, insomma, saranno dolori. Ma per Stellantis no perché il gruppo è pronto con il lancio di 14 modelli a batteria, cioè il 21% dell’offerta totale del gruppo. Per questo il manager crede che l’elettrico sia il futuro, indipendentemente dalle tempistiche che serviranno per questa transizione.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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