2019-12-07
Sportivi con la Sla: è colpa dei colpi di testa
Uno studio sui calciatori ha rilevato che il rischio di malattie neurodegenerative per gli atleti professionisti è superiore alla media. Per gli scienziati, che hanno indagato anche su campioni di football e baseball, c'è una connessione con gli urti subiti dal cervello.Nella popolazione generale un moderato esercizio fisico e la partecipazione allo sport hanno importanti benefici sulla salute, tra cui il rallentamento del declino cognitivo e la prevenzione della demenza. Lo sport è anche associato alla riduzione della mortalità per tutte le cause e del rischio di malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni, tuttavia, è stato dimostrato che praticare sport di contatto e di collisione può aumentare il rischio di una compromissione cognitiva e neuropsichiatrica più avanti nella vita, nonché il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative ed encefalopatia traumatica cronica (Cte) a causa dei ripetuti traumi a livello cerebrale. Sembra che non siano solo i «grandi traumi» a provocare le commozioni cerebrali che aumentano il rischio di sviluppare disturbi neurologici più avanti nella vita. Piuttosto, la prolungata esposizione a impatti ripetuti sulla testa, comprese lesioni subconcussive senza sintomi, è stata associata alla neuropatologia, marcatori di neurodegenerazione in vivo e sintomi cognitivi e neuropsichiatrici in età avanzata.Daniel Mackay e colleghi hanno recentemente riportato sul New England Journal of Medicine uno studio su ex calciatori professionisti scozzesi che fornisce buone e cattive notizie notizie sulle potenziali conseguenze a lungo termine dello sport a livello professionale. Gli autori hanno esaminato le storie cliniche di 7.676 ex giocatori e confrontato i controlli della popolazione generale per quanto riguarda la causa di morte e l'uso di farmaci per la demenza. La mortalità per malattie non neurologiche più comuni era minore tra gli ex giocatori di calcio professionisti, ma la mortalità per malattie neurodegenerative era più alta e le prescrizioni di farmaci correlati alla demenza erano più comuni. Questi risultati sono simili a quelli di uno studio condotto su ex giocatori della National football league (Nfl) americana condotto dai Centers for disease control and prevention, in cui la mortalità per tutte le cause era più bassa tra gli ex atleti rispetto alla popolazione generale, ma la mortalità neurodegenerativa era più alta. Un altro studio che ha coinvolto ex giocatori della Nfl ha incluso un gruppo di confronto di ex giocatori della major league di baseball e ha scoperto che la mortalità per tutte le cause, la mortalità cardiovascolare e la mortalità neurodegenerativa erano più elevate tra gli ex giocatori della Nfl. Questi risultati suggeriscono che i fattori che variano tra questi due sport, come l'esposizione agli impatti alla testa, piuttosto che fattori comuni come l'attività fisica complessiva, potrebbero essere responsabili delle differenze nei risultati.I calciatori professionisti non condividono l'habitus corporeo dei giocatori di football americano, ma condividono l'esposizione agli urti ripetuti della palla alla testa. Un giocatore medio viene colpito dalla palla da sei a 12 volte a partita (senza contare gli allenamento), quindi migliaia di volte durante la carriera. In piccoli studi con pochi casi, i colpi alla testa sono stati associati a un'alterata neurochimica cerebrale, ridotta integrità della sostanza bianca e all'assottigliamento corticale nei calciatori professionisti senza evidente commozione cerebrale. Ci sono anche casi di ex calciatori professionisti con demenza i cui cervelli evidenziavano una Cte con o senza altre malattie neurodegenerative concomitanti. Queste nuove scoperte di Mackay e colleghi non dovrebbero generare paura o panico tra i calciatori, i genitori e gli allenatori. Come indicano gli autori di questo studio, non è possibile generalizzare ed estendere in modo automatico le loro scoperte a coloro che praticano il calcio di livello amatoriale. I genitori di bambini che hanno colpito con la testa la palla durante la giovinezza o giocando a calcio alle scuole superiori non devono temere che i loro figli siano destinati a soffrire di un declino cognitivo e della demenza più avanti nella vita. Piuttosto, dovrebbero concentrarsi sui sostanziali benefici per la salute dei loro figli derivanti dall'esercizio fisico e dalla partecipazione a uno sport. Tuttavia, è anche importante che i risultati di questo studio portino alla ricerca e a una maggiore consapevolezza delle potenziali conseguenze a breve e a lungo termine del colpire il pallone con la testa nel calcio amatoriale.L'articolo di Mackay e colleghi aggiunge l'evidenza che impatti ripetuti della testa in alcuni sport di contatto e di collisione possono aumentare il rischio di malattie neurodegenerative e demenza. Inoltre, come riferisce Negri News del professor Silvio Garattini, nei laboratori dell'Istituto Mario Negri vengono studiate le cause che sono alla base della Sla, in particolare le cause ambientali, gli stili di vita, l'attività fisica e sportiva che possono, in soggetti predisposti, promuovere l'insorgenza della malattia. È convinzione diffusa che i giocatori di calcio siano più soggetti della popolazione generale a essere colpiti da questa malattia. Diversi lavori scientifici hanno avvalorato questa convinzione, ma fino a oggi in modo non del tutto convincente. Lo studio epidemiologico condotto da Ettore Beghi e da Elisabetta Pupillo del laboratorio delle malattie neurologiche del dipartimento di neuroscienze dell'Istituto Mario Negri in collaborazione con l'Azienda ospedaliera universitaria di Novara (Letizia Mazzini) e l'Istituto superiore di sanità (Nicola Vanacore) ha confermato questa ipotesi: i calciatori si ammalano di Sla molto più della popolazione in generale. Lo studio è stato condotto su un elevato numero di calciatori (23.875) i cui nominativi sono stati identificati in un modo molto particolare ma efficace: erano quelli presenti nelle figurine Panini! Giocatori di Serie A, B e C della stagione 1959-1960 fino a quella 1999-2000 sono stati seguiti fino al 2018. Nel periodo considerato dallo studio sono stati accertati 32 casi di Sla, di cui 14 fra i centrocampisti, più del doppio degli attaccanti. Due sono i dati importanti che emergono da questa indagine: il rischio di Sla è due volte superiore per i calciatori rispetto a quello della popolazione generale (addirittura sei volte per i giocatori di serie A) e l'età di insorgenza della malattia si attesta più precocemente rispetto a chi non ha praticato il calcio: 43 anni per i calciatori, 65 per la popolazione in generale. Questi risultati, importanti dal punto di vista epidemiologico, sottendono delle domande alle quali la ricerca è impegnata a rispondere per capire il ruolo di fattori esterni nel determinare l'insorgenza della Sla e la conoscenza dei meccanismi di malattia sui quali poter intervenire a beneficio degli ammalati. Ettore Beghi ha presentato questi dati all'American academy of neurology annual meeting che si è tenuta a Philadelphia nel maggio 2019. In conclusione, i giocatori di calcio della serie A, soprattutto i centrocampisti (che hanno più spesso traumi cranici rispetto ad altri giocatori per esempio con colpi di testa con palloni che giungono da più lontano e quindi più violenti) e nel football americano della Nfl (rispetto ai giocatori di baseball della Mlf) hanno un'incidenza di Sla superiore alla popolazione generale e in età più precoce.La causa? Il trauma cranico è il più imputato, ma non si possono escludere altre cause concomitanti che ancora non sono conosciute (farmaci? Sostanze chimiche presenti nelle strutture dei campi di gioco?)Sono necessarie ulteriori ricerche sulle conseguenze neurologiche dei colpi di testa nel gioco del calcio, compresi studi che coinvolgono ex calciatori professionisti e calciatori dilettanti maschi e femmine, nonché indagini longitudinali prospettiche per esaminare possibili relazioni tra i colpi di testa e le malattie neurodegenerative al fine di confermare o confutare i risultati di Mackay e colleghi. Forse, tuttavia, esistono già prove sufficienti del fatto che i ripetuti colpi al cervello nel calcio professionistico sono un rischio professionale che deve essere affrontato.
Jose Mourinho (Getty Images)