Il deputato con gli stivali si sfoga in lacrime fingendo di essere vittima di immaginari attacchi razzisti («Volevate il negro di cortile»). Tace sui fatti contestati alla madre della compagna. Però prende le distanze dalla signora, che gestisce la cooperativa sotto indagine.
Il deputato con gli stivali si sfoga in lacrime fingendo di essere vittima di immaginari attacchi razzisti («Volevate il negro di cortile»). Tace sui fatti contestati alla madre della compagna. Però prende le distanze dalla signora, che gestisce la cooperativa sotto indagine. L’afflato retorico non gli fa difetto, ma meriterebbe miglior causa. Abubakar Soumahoro in un messaggio video pubblicato ieri sui social ha scelto di iniziare la sua filippica in lacrime, quasi fosse una vittima dell’apartheid costretta in ceppi. Ma la sua orazione aveva un obiettivo più prosaico della libertà. Infatti al centro c’erano i presunti maneggi della suocera imprenditrice, la sessantottenne Marie Therese Mukamitsindo, una specie di babbo Renzi in gonnella. E qui dobbiamo ammettere che l’ex premier non ci aveva mai regalato un filmato di questo tipo, né ci aveva accusato di volerlo «seppellire» o addirittura «uccidere» mentre dedicavamo pagine di giornale e libri ai presunti pasticci dei suoi famigliari con società e cooperative gestite più o meno ufficialmente (per la Procura di Firenze in veste di amministratori di fatto). Abubakar ha scelto, per smarcarsi, il registro della tragedia, evocando le battaglie di chi lo ha preceduto. Ma come avvertiva Karl Marx la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Il problema qui è che da almeno tre anni la Procura di Latina sta indagando per malversazione di denaro pubblico la Mukamitsindo. Che per lustri è stata osannata dalla sinistra che piace come storia di riscatto: dal Ruanda in fiamme al successo imprenditoriale anche grazie all’accesso ai fondi Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). E non importa se durante la scalata abbia avuto qualche inciampo, come una denuncia per indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato. Ma adesso i nodi starebbero venendo al pettine. Ci risulta che nella rete degli investigatori siano finiti anche i suoi più stretti collaboratori. In compenso ignoriamo se tra i nomi iscritti sul registro degli indagati ci siano anche quelli delle figlie della donna, tra cui la compagna del deputato dell’Alleanza verdi e sinistra, già sindacalista a tutela dei diritti dei braccianti e cofondatore della Coalizione internazionale sans-papiers, migranti e rifugiati. Non sappiamo neanche se in questi anni siano state effettuate delle intercettazioni e se nel corso delle indagini gli investigatori della Guardia di finanza abbiano scoperto qualcosa di compromettente. O se tra le centinaia di migliaia di euro finite sul conto della suocera, per lo più per spese personali, come sottolineano i risk manager dell’antiriciclaggio, qualcuna di queste sia stata fatta per la famiglia di Soumahoro. Ci domandiamo, però, se questo paladino degli ultimi, così attento a difendere gli sfruttati, non si sia accorto di quanto da almeno tre anni accadeva nelle cooperative gestite da un suo affine. Se non abbia avuto notizia delle denunce degli ispettori del lavoro, delle acquisizioni di documenti nelle cooperative della Mukamitsindo da parte della Guardia di finanza, degli interrogatori e di tutto quello che fa da contorno a un’inchiesta approfondita. Possibile che all’onorevole, mentre combatteva per i diritti degli «invisibili», sia sfuggito tutto questo? Ma anche se fosse rimasto all’oscuro delle iniziative giudiziarie, è possibile che fosse del tutto ignaro delle ingrate condizioni di lavoro dei dipendenti, così come denunciate da ispettorato e sindacato? Forse i dipendenti di sua suocera sono più «invisibili» degli altri «abbandonati»?Non ci risulta che abbia organizzato scioperi, proteste o picchetti per gli operatori della cooperativa Karibu, della cui situazione si sono, invece, accorti gli ispettori del lavoro di Latina e i sindacalisti della Uil. Soumahoro, forse troppo impegnato a far politica, non ha compreso quanto stesse accadendo nel suo cortile. Sotto casa sua. Ieri abbiamo rivelato ai nostri lettori l’indagine che va avanti da tre anni sulle attività della suocera e lui è esploso. Ha detto che non guarderebbe in faccia neppure i genitori se i dipendenti non fossero «rispettati», che lotterebbe al fianco dei loro operai (gli è scappato un «contro» ma è stato sicuramente un lapsus) se questo accadesse. E poi ha scaricato la Mukamitsindo: «Figuratevi se questa regola non sarà rispettata da parte mia anche nei confronti della mamma della mia attuale compagna». A questo punto ha aperto una parentesi strappalacrime sulla povera consorte: «Mia moglie attualmente è disoccupata è iscritta all’Inps non possiede allo stato attuale nessuna cooperativa». Quindi ha invitato i giornalisti a rivolgersi a lei e soprattutto alla madre di lei per avere spiegazioni: «Parlate con mia suocera, chiedete a lei che è proprietaria della sua cooperativa. E io sarò il primo ad andare lì a lottare a scioperare con i dipendenti e difendere i loro diritti». Ma come detto non ci risulta che lo abbia fatto in questi anni. Qui non stiamo parlando dell’inchiesta in fase embrionale partita su denuncia del sindacato di cui tutti hanno scritto in questi giorni. No, ci riferiamo a un’indagine che va avanti da anni e che potrebbe presto riservare non poche sorprese. Ed ecco allora che il deputato ha sfoderato tutto l’armamentario retorico appreso forse frequentando l’amico Roberto Saviano: «Voi avete paura delle mie idee perché sapete che in Parlamento non vado lì per pulire la scrivania» ha piagnucolato. Ma dopo essersi reso conto di aver usato un’immagine un po’ classista ha precisato di averla pronunciata «nel rispetto dei dipendenti del Parlamento». Un climax ascendente che ha toccato vette notevoli quando Soumahoro, in tuta nel suo salotto, con la voce del figlioletto in sottofondo, ha ringhiato. «Voi mi disprezzate, mi odiate e io vado fiero con questo vostro odio perché volevate il negro di cortile». La retorica del buon selvaggio, del domestico da Via col vento, sbattuta in faccia a chi semplicemente non fa distinzione tra bianco o nero quando c’è da denunciare le possibili bricconerie dei famigliari dei politici, accusati di sfruttare il lavoro dentro le cooperative. Renzi non ci ha mai regalato perle come questa: «Diceva Peppino Impastato che la mafia è una montagna di merda, ma la montagna di fango non seppellirà le mie idee».La conclusione è stata degna di nota: «Io sono Abubakar Soumahoro, nato 42 anni fa in Costa d’Avorio, lustratore di scarpe, figlio di un contadino e di una casalinga e mi hanno sempre insegnato i valori della ricchezza spirituale e a non essere mai tentato dalla ricchezza materiale. Non ho mai voluto tradire quei valori. Ho sempre lottato e mi sono sempre schierato per la dignità del lavoro. Voi mi volete morto, ma non riuscirete a uccidere le mie idee». Ecco, provate a immaginare Renzi, la cui famiglia è stata bersagliata di cause di lavoro, mentre dice: «Io sono Matteo Renzi, nato 45 anni fa a Firenze, strillone di giornali, figlio di due piccoli imprenditori e mi hanno sempre insegnato i valori della ricchezza spirituale ecc. ecc.». Una risata lo avrebbe seppellito. Con Soumahoro non si può fare. Ma almeno l’onorevole di Latina ci risparmi la retorica degli stivali infangati e del pugno chiuso. La battaglia per la dignità del lavoro si può fare anche lontano dai riflettori. Persino dentro al tinello di casa.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Cinquant’anni fa uscì la prima critica gastronomica del futuro terrore dei ristoratori. Che iniziò come giornalista di omicidi e rapine di cui faceva cronaca sul «Corriere d’informazione». Poi la svolta. Che gli procurò una condanna a morte da parte del boss Turatello.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
Mauro Micillo: «Le iniziative avviate dall’amministrazione americana in ambiti strategici come infrastrutture e intelligenza artificiale offrono nuove opportunità di investimento». Un ponte anche per il made in Italy.
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
All’ex procuratore devono essere restituiti cellulari, tablet, hard disk, computer: non le vecchie agende datate 2017 e 2023. E sulla Squadretta spunta una «famiglia Sempio».