
La notte del crollo la manager della Cesi Chiara Murano, che valutò la tenuta del Morandi, scrisse ad Aspi che a causare lo schianto furono «difetti originari». Gli inquirenti ipotizzano una manovra per aiutare i concessionari.Qualcuno ha tentato di mischiare le carte la notte tra il 14 e 15 agosto. Mentre alla luce delle fotocellule si scavava tra le macerie del ponte Morandi, si estraevano i corpi delle vittime e i feriti lottavano in ospedale tra la vita e la morte. Secondo le ipotesi della Procura di Genova, come La Verità aveva anticipato con il pezzo di Giacomo Amadori, fu messo in atto un tentativo di depistaggio, forse per alleggerire Società Autostrade da possibili responsabilità.Ieri Chiara Murano, manager della divisione ambiente, è stata sospesa dal Cesi, la società di consulenza ingegneristica che nel 2016 aveva evidenziato «anomalie nel comportamento degli stralli» del viadotto e suggerito ad Autostrade di «procedere con un sistema di monitoraggio dinamico permanente». Raccomandazione che la concessionaria decise di non seguire, tanto che commissionò immediatamente un nuovo studio al Politecnico di Milano (anch'esso finito sotto la lente di ingrandimento della Procura di Genova).Fu infatti proprio la Murano, come già raccontato dal nostro giornale, a inviare al geometra Enrico Valeri, responsabile del coordinamento della viabilità di Autostrade, alle ore 00.08, una mail con tutti gli allegati degli studi effettuati da Cesi. Come la manager ha riferito durante gli interrogatori, l'invio dello studio le sarebbe stato richiesto da Aspi, tuttavia nel testo d'accompagnamento al messaggio si legge ciò che ha insospettito gli inquirenti: «Le attività di gestione e sorveglianza del ponte sono state adeguate e svolte con la dovuta diligenza». E inoltre: «La causa del crollo va piuttosto ricercata nel vizio progettuale originario». Una conclusione diametralmente opposta a quella certificata dalla sua azienda, che Aspi girò subito al ministero delle Infrastrutture. Da qui gli interrogativi degli investigatori: perché inserire quella frase che accusa del collasso il defunto progettista Riccardo Morandi? Qualcuno le ha chiesto di scriverla per provare a «scagionare» in extremis il concessionario? E poi non è certo usuale l'invio di una mail in piena notte.La manager di Cesi ha detto ai magistrati che si è trattato di una sua personale iniziativa, che è stata una sua idea citare il «vizio progettuale originario». Ma la Procura non è affatto convinta che non siano state esercitate pressioni. Il fatto che la manager sia stata sospesa dal Cesi sembrerebbe confermare che la società di consulenza non sapesse nulla della mail incriminata. Come aveva già sottolineato in un comunicato: «Nei diversi rapporti originariamente consegnati al cliente, tra gennaio e maggio 2016 si è suggerito di aumentare la frequenza di alcune ispezioni e implementare un sistema di monitoraggio dinamico, ossia continuo, della struttura. Pertanto il testo della mail inviata nella notte tra il 14 e il 15 agosto, non rappresenta la posizione ufficiale dell'azienda».Con Chiara Murano sarebbe stato sospeso anche Domenico Andreis, global director Cesi che era stato messo in copia nel messaggio spedito al geometra Valeri. Quest'ultimo interrogato nei giorni scorsi dai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. A Murano è anche stato sequestrato il telefono cellulare per ricostruire i contatti e lo scambio di comunicazioni con i manager di Autostrade. Come è al vaglio della Procura il materiale prelevato al Cesi dalla Guardia di finanzia di Genova, coordinata dal colonello Ivan Bixio.Intanto ieri si è tenuto a Palazzo Chigi la riunione tra il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, il premier Giuseppe Conte e i suoi due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Toti ha riferito di un «incontro costruttivo» e che «resterà operativo il commissario per l'emergenza a cui si affiancherà quello per la ricostruzione, che sceglieremo insieme al premier nei prossimi dieci giorni».
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
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Lo speciale contiene due articoli.
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)
Nasce una società con Edge Group: l’ambizione è diventare un polo centrale dell’area.






