2020-05-20
Sorpresa: il papà del Me too racconta balle
Ronan Farrow (Getty images)
Il «New York Times», dopo averne sostenuto le battaglie, scarica Ronan Farrow con un durissimo editoriale: «Se scavi sotto le sue storie, ci sono crepe fin nelle fondamenta». Nel frattempo, la caccia alle streghe ha incenerito un'infinità di carriere. «Troppo belli per essere veri». Cinque parole per sgonfiare il soufflé del mito, per far crollare una rivoluzione sociale e mandare nel panico alcune migliaia di femministe militanti. È il titolo di un articolo del New York Times secondo il quale i deliziosi falsi sarebbero gli scoop di Ronan Farrow, il fustigatore dei maschi con tendenza pig, colui che nel 2017 fece tremare Hollywood e poi il retrobottega mondiale delle molestie vere o presunte sul posto di lavoro. Quei reportage spazzarono via il produttore Harvey Weinstein, incendiarono i rapporti fra uomini e donne nel mondo dello spettacolo e crearono i presupposti per il successo planetario del Me too, movimento femminista a difesa dei sacrosanti diritti calpestati, presto sfociato in isterica esibizione sessista (al contrario) secondo cui anche l'apertura della portiera dell'auto per galanteria sarebbe un'offesa alla dignità della donna.Una ventata di acritico conformismo liberal percorse il globo e buona parte del merito era del figlio di Mia Farrow e Woody Allen, enfant prodige del giornalismo d'inchiesta che si laureò in filosofia a 15 anni, entrò a Yale a 16, diventò avvocato dei diritti umani a 24, si specializzò a Oxford a 25, fu consulente di Barack Obama a 26 e passa per bugiardo a 32. censore Su quei colpi di maglio contro il produttore più potente del sistema cinematografico costruì una carriera mediatica da Truman Capote del terzo millennio, pubblicò il bestseller Catch and Kill (tradotto in italiano con il titolo Predatori) e vinse il premio Pulitzer con il New Yorker, che gli pubblicò gli articoli, e il New York Times che sostenne e rinvigorì la campagna contro le prepotenze maschili nel mondo dello spettacolo.Tre anni e decine di carriere incrinate dopo (Kevin Spacey, Casey Affleck, Geoffrey Rush, Gérard Depardieu, Woody Allen, Bryan Singer, anche il regista italiano Fausto Brizzi), proprio la bibbia newyorchese del giornalismo scarica il leone del Me too. «Ci chiediamo se, come Icaro, Ronan Farrow non voli troppo vicino al sole perché se scavi sotto gli articoli che ha scritto per il New Yorker e nel suo bestseller cominci a vedere crepe dalle fondamenta». Non un'accusa da niente al reporter investigativo più cool, liberal e quindi celebrato d'America.L'articolo al vetriolo è firmato dall'esperto di media Ben Smith, ex direttore di BuzzNews (quindi avvezzo a riconoscere le esagerazioni giornalistiche), che serenamente lo fa a pezzi così: «Lui produce narrative irresistibilmente cinematografiche, con eroi e cattivi definiti in bianco e nero, ma spesso omette fatti complicati e dettagli sconvenienti che potrebbero rendere il racconto meno drammatico. A volte non segue gli imperativi giornalistici che esigono di confermare quanto affermato. A volte suggerisce cospirazioni che sono invitanti ma che non può provare». voltafaccia Insomma l'accusa è fare allegramente dello storytelling, quello che andava di moda nelle collezioni autunno-inverno dal 2015 al 2019 anche nella convegnistica editoriale italiana, dove il termine veniva ripetuto dalle 10 alle 15 volte per intervento da direttori senza mezza idea su come togliere i giornali dal guado (guano). Storytelling, l'elogio del verosimile, le notizie spiegate bene purché se ne stiano in disparte per non rovinare il fascino narrativo. L'effetto della denuncia è straniante per due motivi. Arriva a smontare quella che Liam Neeson aveva definito «una stucchevole e pericolosa caccia alle streghe» e che aveva travolto un mondo, dal tenore Placido Domingo al giudice della Corte suprema americana Brett Kavanaugh. Arriva a mettere in dubbio denunce di molestie ad attempati settantenni da parte di antiche compagne di liceo; nei mesi del delirio collettivo era sufficiente uno sguardo storto di Asia Argento per vedere distrutta una carriera. È del tutto scontato ribadire che la violenza sulle donne sia qualcosa di aberrante che merita la massima severità giudiziaria, ma fin dall'esordio del Me too si intuiva l'esagerazione di accuse indiscriminate e iconoclaste.imbarazzo palpabile Il secondo motivo è ancora più imbarazzante. Fu proprio il New York Times a lanciare il sasso, a sostenere la campagna mondiale, a bruciare i vascelli della prudenza sulle spiagge, a vincere il Pulitzer grazie alle denunce che adesso rischiano di diventare gogne. Gogne mediatiche dalle quali l'autorevole newspaper planetario prende le distanze allontanandosi fischiettando, senza sentire il bisogno di chiedere scusa ai lettori e di restituire il premio. Anzi ribadendo, come se Farrow fosse solo un bambinone viziato da altri, che «ha prodotto articoli rivelatori su alcune delle vicende che definiscono il nostro tempo, ma un esame attento rivela le debolezze di quel “giornalismo della resistenza" che sta prosperando nell'era di Donald Trump».cortocircuito radical L'ammissione testimonia una presa di distanza dal fanatismo mediatico che demonizza l'America trumpiana. Ma è ambigua perché proprio il Nyt è capofila della resistenza di redazione al presidente Usa, talvolta così schierato su posizioni progressiste da sembrare un quotidiano mainstream italiano.Da tempo gli scoop di Farrow, tranne che da Meryl Streep e Gwyneth Paltrow, venivano messi silenziosamente in dubbio. Il guru dei media Ken Auletta, stregone della notizia che portò il giovane talento al New Yorker, alla domanda se quei reportage contengano invenzioni ha risposto: «Non ci sono tutti i puntini sulle i, ma se vai in fondo Ronan ti consegna la merce». A difesa del giornalista si fa largo sul Web una tesi originale: il filodemocratico New York Times vorrebbe screditare il suo lavoro d'indagine sulle accuse di molestie sessuali di Tara Reade al candidato alla presidenza Joe Biden. Un corto circuito radical chic, troppo bello per essere vero.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)