2021-09-02
Perché io, progressista, ora scrivo per «La Verità» e sono contento
Emanuele Bencivenga (Getty images)
Essere progressisti significa stare dalla parte degli oppressi. Cioè, oggi, delle categorie che subiscono la dittatura sanitaria. Di fronte al pericolo, conta aprire spazi di libertà ovunque possibile, pure in un giornale lontano da me come «La Verità»È trascorso un mese da quando ho iniziato la mia collaborazione con La Verità, e non sono mancate le reazioni. Amici hanno elogiato il coraggio che manifesterei non solo per quel che scrivo ma per dove lo scrivo, neanche stessi affrontando con tesi eretiche il tribunale dell'Inquisizione. Ex-amici mi hanno schernito o ingiuriato, ma con scarso effetto: io non partecipo ai social media, non seguo la feccia dell'informazione di regime e se qualcuno si prende la briga di scrivermi in proposito una lettera la archivio nella cartella «Bestialità», disponibile per un'eventuale utilizzazione futura; per il resto, studio e scrivo come sempre (quest'anno ho già pubblicato quattro libri nuovi e sono al lavoro su numerosi altri). Dunque le molestie mi arrivano distanti e ovattate, come potrebbe fare il rombo di un'autostrada lontana che, invece di disturbare, concilia il sonno. Rimane il fatto che devo a me stesso e ai miei lettori una prova di chiarezza, per la quale i tempi, dopo un ragionevole periodo di apprendistato, sono maturi. La Verità è, indiscutibilmente, un giornale di destra e io sono, senza «se» e senza «ma», una persona di sinistra, fieramente atea e progressista. Che ci faccio, dunque, in questa sede? Comincerò con il dire che un «mio» giornale non è mai comparso all'orizzonte: nei trent'anni in cui ho collaborato con varie testate nazionali, l'ho fatto in contrasto, non in accordo, con le loro linee editoriali. Dal 1994 al 1997 ho tenuto una rubrica su l'Unità, sebbene non sia mai stato marxista e anzi in seguito abbia pubblicato un libro (Una rivoluzione senza futuro, nel 2003) in cui descrivevo il marxismo come un'ideologia conservatrice che per un secolo e mezzo aveva ingabbiato tutti i principali movimenti progressisti (operaisti, ecologisti, femministi…). Ho scritto per i quotidiani della Confindustria e della Fiat, sebbene sia convinto che il capitalismo sia una metastasi cancerigna che, se non viene eliminata con una terapia d'urto, devasterà e ucciderà l'organismo ospite. Nessuno di questi giornali si è mai sognato di suggerirmi o censurarmi una parola negli oltre cinquecento pezzi che ho scritto; se ci avessero provato, me ne sarei andato seduta stante. Ma si è trattato di una convivenza scomoda: con l'assistenza di alcuni ottimi professionisti che lavoravano lì dentro, ho cercato e trovato spazi di libertà in ambienti allineati con valori che non condividevo, anzi avversavo. La nozione di spazi di libertà è fondamentale e va approfondita. La libertà assoluta non esiste, credo, e se esistesse sarebbe pericolosa. Penso alla libertà della Rivoluzione francese, e al Terrore che ne seguì; a quella della Rivoluzione russa e alla feroce dittatura che ne fu l'esito. La libertà che fa davvero la differenza in positivo la costruiamo fra un impegno e l'altro, fra un obbligo e l'altro, lavorando con fatica per aprire piccoli o grandi ambiti di discrezione, infilando un piede in una porta socchiusa per evitare che venga sbarrata. Questa è la libertà cui possono (e dovrebbero) aspirare i comuni mortali, e più ancora che con il contenuto di quel che scrivo è attraverso l'esempio di queste mie forme di difficile convivenza che spero di dare loro un contributo. Un contributo a che cosa? Per rispondere torniamo alla mia natura di persona di sinistra. Nel 1992, in Oltre la tolleranza, diedi una definizione di «sinistra» che fu anche citata da Norberto Bobbio: non era molto originale; identificava l'essere di sinistra con lo stare dalla parte degli oppressi. Ad arricchire la definizione c'è il mio riconoscimento del fatto che, come insegnava Sartre, la politica è sempre situazionale, e in particolare chi siano gli oppressi, e i tiranni, è materia di continua evoluzione dialettica. Oggi per me i tiranni sono i burattinai del fascismo sanitario internazionale e gli oppressi sono le varie categorie di infelici che ne subiscono la violenza e l'abuso: bambini privati dell'abbraccio e del gioco, studenti privati dell'istruzione, padri e madri di famiglia privati del lavoro, anziani privati del conforto delle persone care, costretti a vivere e morire da soli. Quindi è per loro che bisogna lottare, con gli strumenti che ciascuno ha. I miei sono il pensiero, il ragionamento e la parola, e ho il dovere di metterli a loro disposizione. A partire dal 20 marzo 2020 scrissi a vari editori con i quali avevo o avrei collaborato proponendo loro un libro sull'argomento, dal titolo La grande paura. Scrissi a Rizzoli, Feltrinelli, Giunti, Utet, Il Saggiatore, Hoepli; scrissi anche, su suggerimento dell'amico Ugo Mattei, a Chiarelettere, con cui non avevo mai avuto contatti. Alcuni non mi risposero; altri si dichiararono non interessati; uno di loro mi disse che il pubblico non sarebbe stato interessato. Siccome nulla è in grado di scoraggiarmi, continuai imperterrito e finalmente, nell'aprile 2021, arrivai ad Angelo Paratico e alla sua Gingko edizioni; il libro uscì dopo un mese. Vuol dire questo che condivido tutta la linea editoriale di Angelo? Niente affatto; ma gli sono grato per lo spazio che mi ha dato e ammiro la sua intraprendenza nel promuovere il nostro libro, di gran lunga maggiore di quella che ho visto in azione negli uffici stampa delle maggiori case editrici. Dopo Angelo, e per suo merito, è arrivata La Verità: al nostro libro furono dedicati un'intervista e un ampio stralcio, e poi fu distribuito in edicola cosicché migliaia di lettori potessero averci accesso. Non avevo intenzione di fermarmi al libro: il fascismo sanitario internazionale va combattuto quotidianamente, con un lavoro costante e ininterrotto. E La Verità mi ha dato spazio per questa lotta, in un momento storico in cui la totalità dei media mainstream ha abdicato al giornalismo e si è trasformata in una truce cassa di risonanza per il regime. In questo giornale ho trovato, come già in altri, ottimi professionisti che, indipendentemente dalle nostre diverse idee, mi hanno accolto con generosità, mi assistono perché la mia comunicazione risulti il più efficace possibile e, quel che più conta, ho incontrato lettori che mi seguono. Nella tragica situazione in cui ci troviamo, sono i migliori compagni di strada che potessi desiderare; poi, chiaramente, ognuno continua a pensarla a suo modo. L'importante è che si crei e si mantenga aperto questo spazio di libertà, mentre gli illusi e i bugiardi che fanno finta di dar vita a media progressisti si adoperano con il loro atteggiamento ottuso e servile per sigillare il carcere imposto dalla nuova tirannia.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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