2022-03-05
Soluzione di D’Amato per i profughi no vax: siringhe schierate alle frontiere ucraine
Psicosi Covid per i rifugiati non vaccinati. Secondo l’assessore vanno inoculati in hub da campo appena usciti dal loro Paese.Anche se attenuata, la guerra in Ucraina non cancella la psicosi Covid. Pasdaran sanitari, talebani della siringa e virostar possono tirare un sospiro di sollievo e rientrare in servizio dopo il congedo dai salotti tv che, loro malgrado, avevano dovuto cedere a veri o presunti «esperti» di geopolitica. Stanno infatti arrivando i primi profughi dall’Est e la stragrande maggioranza di loro non è vaccinata. Tanto basta per tornare a suonare il ritornello dell’emergenza Covid. Il tasso di vaccinazione in Ucraina si aggira infatti attorno al 35%. Dopo le prime rassicurazioni del sottosegretario Pierpaolo Sileri sulla possibilità di ingresso in Italia, nelle strutture d’accoglienza e sui mezzi pubblici senza il green pass rafforzato (a differenza degli italiani), ieri è arrivata la circolare del ministero della Salute, «Crisi Ucraina - Prime indicazioni per Asl» i cui si dispone che «per i cittadini che provengono dall’Ucraina, privi di Digital Passenger Locator Form o di certificazione verde, le Asl provvederanno all’esecuzione dei test diagnostici nelle 48 ore dall’ingresso, laddove non avvenuta al momento dell’entrata nei confini nazionali», inoltre, «Si raccomanda di offrire la vaccinazione anti Covid a tutti i soggetti a partire dai 5 anni di età che dichiarano di non essere vaccinati o non sono in possesso di documentazione attestante la vaccinazione, comprensiva della dose di richiamo per i soggetti a partire dai 12 anni di età». Tutto molto semplice, sulla carta. Chi arriva senza certificazione verde deve essere testato e, se vorrà, potrà ricevere la puntura. Ma, come spesso accaduto in questi due anni di pandemia, la realtà fa a botte con la burocrazia partorita dal ministero competente. Risulta assai improbabile, infatti, che i già pochi vaccinati prima di scappare dalla guerra che infiamma si siano ricordati di mettere in valigia la certificazione vaccinale o abbiano compilato il Plf. Poco male: i rifugiati, giustamente, non sono obbligati, almeno loro, a porgere il braccio per non vedersi togliere i loro diritti fondamentali. E infatti, molti stanno rifiutando non solo l’iniezione, ma anche i tamponi. Quale migliore pretesto per rispolverare un po’ il filone mediatico della «caccia al no vax», scalzata negli ultimi giorni da quella ai «russofili»? Hanno colto la palla al balzo Repubblica e l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato. «Profughi no vax. La crisi incrociata che spaventa il Lazio», titolava ieri l’articolo del quotidiano romano che dava voce alle preoccupazioni e lamentele del personale sanitario dell’hub di Termini, che si «scontra con una maggioranza di no vax e no tamp», a quanto pare. I medici dell’hub sono stizziti: ai profughi appena scappati dalla guerra basta ricevere il tesserino sanitario per stranieri. E, addirittura, racconta un’infermiera, c’è persino una mamma con il figlio in attesa nell’hub che osa non indossare la mascherina. Imperdonabile: come ci si può dimenticare di coprire naso e bocca quando si ha davanti un futuro incerto e alle spalle il proprio Paese messo a ferro e fuoco e ogni avere è stato perduto? Certo, i toni sono molto diversi da quelli usati contro i no vax italiani, ma la psicosi è la stessa. A dimostrarlo, se ci fossero dubbi, è l’intervista a D’Amato. Dopo l’appello alle autorità ortodosse per convincere i fedeli a porgere il braccio, l’assessore fa i conti con la dura realtà: «Non possiamo pensare di andare a rincorrere gli ucraini a Roma con la siringa in mano. Si tratta di flussi molto volatili, oggi sono qui, domani chissà. Non risolveremo le cose così». La soluzione di D’Amato alla fuga dall’iniezione? Presto detto: predisporre gli hub direttamente alle frontiere ucraine: «Bisogna andare nelle aree di prima accoglienza. E non dico in Italia, ma ai confini con l’Ucraina. Ci sono 8 punti dove i profughi si raccolgono, tra Polonia, Romania, e gli altri paesi limitrofi. Ci sono team di medici del Lazio pronti a partire. Lì potremmo allestire degli ospedali da campo, oppure appoggiarci a quelli già esistenti, e vaccinare e tamponare tutti gli ucraini che vogliono venire in Italia. [...] va fatto a monte, non una volta che arrivano qui alla spicciolata»», spiega l’assessore. Per D’Amato, dunque, per i profughi non c’è migliore accoglienza appena fuori dai confini varcati dopo estenuanti attese e incertezze di un hub vaccinale da campo con i sanitari schierati pronti a compilare anamnesi. Certo, forse gli sfollati si aspetterebbero di ricevere altro prima di una dose di Pfizer o Moderna. Ma il dogma vaccinale, in quanto tale, è indiscutibile. Che aspettano quindi i pasdaran sanitari e i talebani della puntura? Si affrettino, non resta che armarsi (di siringhe) e partire alla volta dell’Est Europa.