2022-10-19
Soltanto la sinistra riesce a far peggio
Bollette e inflazione spaventano famiglie e imprese, ma i dem sono interessati soltanto al loro congresso. Altri mesi persi in una campagna elettorale interna che deve guardarsi dall’assalto di grillini e Terzo polo.La guerra dentro il centrodestra probabilmente durerà ancora un paio di giorni, giusto il tempo di verificare che, se la nuova maggioranza andrà divisa al Quirinale, l’opzione di Sergio Mattarella oscillerà tra lasciare ai propri posti Mario Draghi e la sua variopinta compagine di governo, oppure sciogliere le Camere per tornare in fretta alle elezioni. Ma se Meloni, Berlusconi e Salvini avranno qualche giorno per ricomporsi e decidere se mettersi in posa per la fotografia o mettersi in fila per nuove elezioni, al centrosinistra non saranno sufficienti sei mesi. È da luglio che i vari Conte, Letta, Renzi e Calenda se le suonano e neppure dopo che a suonarli sono stati gli elettori, con il voto del 25 settembre, hanno deciso di mettersi tranquilli. Anzi, più passa il tempo, più affondano nei sondaggi, e più i toni della rissa si alzano. Manca poco che la discussione finisca come mesi fa, quando Albino Ruberti, pezzo grosso del Pd e capo di gabinetto del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, si mise a urlare in mezzo alla strada, minacciando di morte i compagni. L’ultimo episodio riguarda l’elezione dei vicepresidenti delle due Camere. Siccome il Terzo polo è rimasto a bocca asciutta, tagliato fuori da un accordo fra Partito democratico e 5 stelle, il duplex Calenda-Renzi ha addirittura rivolto lo sguardo al Colle, chiedendo l’intervento del capo dello Stato per scongiurare il sopruso, manco fosse minacciata la democrazia. Non va meglio fra Conte e Letta, che pur avendo stretto un patto per spartirsi gli incarichi lasciando fuori il terzo incomodo, si comportano come cane e gatto. Dopo che il primo ha fatto lo sgambetto a Draghi, costringendo l’altro ad andare da solo alle elezioni per non sconfessare la politica filo governativa adottata fin dal primo momento, e dunque condannandolo alla sconfitta e alle dimissioni, il segretario del Pd non ne vuole sentir parlare. Anche perché l’avvocato di Volturara Appula, che tutti fino a prima delle elezioni davano per spacciato (tranne noi, che addirittura profetizzammo un’Opa ostile sul Pd), rischia di scavalcare il Partito democratico se questi continuerà a scendere nei sondaggi, e di diventare il leader della maggioranza di una minoranza. So che sembra un gioco di parole, ma secondo gli esperti Pd e 5 stelle, sono ormai a un’incollatura, con il secondo che tallona il primo e quest’ultimo che perde terreno un giorno dopo l’altro. Dunque, se ci fosse un sorpasso, il grillino scavalcherebbe il piddino. Ma il povero Letta, segretario dimissionato dagli elettori, a cui al posto degli occhi di tigre hanno lasciato solo quelli per piangere, non ha a che fare soltanto con la concorrenza di Conte, ma pure quella interna, che fa di tutto per complicargli la vita e per fargliela pagare. Il Nipotissimo, oltre all’insuccesso che ha sprofondato il partito al 18 per cento, cioè a quel che aveva Renzi ma senza Speranza e compagni, deve farsi perdonare l’esclusione dalle liste di tutti i notabili riformisti, a cominciare da Luca Lotti per finire ad Andrea Marcucci. Qualcuno, come l’ex braccio destro del Rottamatore, non è stato neppure candidato, qualcun altro è stato infilato all’ultimo minuto, ma in un posto da perdente, in modo che non si potesse parlare di esclusione. Risultato, da quel giorno, cioè prima della sconfitta e delle dimissioni di Letta, nel Pd è cominciato il congresso, che ora rischia di trascinarsi fino alla primavera. Ancora non è fissata la data, ma in compenso sono almeno una decina i compagni che accarezzano l’idea di candidarsi per prendere il posto di Letta. Dal governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, a quello della Campania, Vincenzo De Luca, dall’ex ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, a quello tutt’ora in carica del Lavoro, Andrea Orlando, passando per Elly Schlein, Matteo Orfini, Dario Nardella e forse pure Enzo Amendola. Insomma, mezzo partito sta sfogliando la margherita e, da qui al congresso, è probabile che altri si aggiungeranno, al punto che per qualcuno il Pd ha quasi più aspiranti segretari che elettori. In sé la sfida per la leadership potrebbe essere confinata negli affari riservati dei partiti, ma purtroppo la corsa a ostacoli per la guida di ciò che resta del principale gruppo della sinistra, costringe i partecipanti alla competizione ad alzare ogni giorno i toni, proprio come Ruberti. Risultato, mentre il Paese reale fa i conti con le bollette e con un’inflazione che spaventa famiglie e imprese, il Pd fa i conti con le solite beghe. Nel marzo di un anno fa Nicola Zingaretti si dimise da segretario accusando i compagni di scannarsi solo per le poltrone, mentre l’Italia era ancora in pieno Covid. Da allora niente è cambiato, se non il Pd che è peggiorato.
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