2020-10-28
Alle aziende elemosina di 5.000 euro
Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri (Ansa)
Dal decreto Ristori, indennizzi di 5.000 euro ad azienda (e zero certezze per chi non ha chiesto i fondi del Rilancio). Una mancetta: per i ristoratori sarà più conveniente non aprire affatto. Così si realizza il sogno dei giallorossi: trasformare gli autonomi in sussidiati.Lasciate perdere le percentuali promesse dai rappresentanti del governo e fatte circolare sui media per creare un po' di fumo attorno al magro arrosto. Il decreto Ristori in realtà contiene solo degli indennizzi che in media varranno un bonifico più o meno di 5.000 euro. Una tantum. La voce contributi a fondo perduto è destinata infatti a tutte quelle partite Iva che sono finite travolte dal dpcm dello scorso 24 ottobre. Il budget loro destinato viaggia sui 2,4 miliardi di euro, mentre la platea si aggira sulle 460.000 unità. Sebbene il testo del decreto metta un tetto a 150.000 euro per tali erogazioni, non bisogna farsi ingannare. Serve a limitare l'assegno per quelle imprese che fatturano più di 5 milioni di euro. Vale, dunque, il calcolo mediano che è appunto circa 5.200 euro. Poco meno del doppio di quanto il decreto Rilancio aveva concesso alle aziende colpite dal lockdown.Ma nei fatti un'elemosina rispetto a quanto promesso al momento di decretare il coprifuoco. Per ristoranti e bar costretti a chiudere alle 18 significa infatti dover scegliere di non alzare la saracinesca per evitare di avere solo costi e nessun ricavo. Una decisione non certo autonoma, ma imposta dal governo, che ha voluto far ricadere sulle partite Iva il compito di far scendere la curva epidemiologica. Incapace come è stato in questi mesi di intervenire in modo efficace sulla scuola, sui mezzi di trasporto e soprattutto sui sistemi di tracciabilità dei positivi. Per questo il decreto avrebbe dovuto contenere dei rimborsi per il danno economico subito e non soltanto, sebbene quasi raddoppiato, i soliti bonus giallorossi. «Sarà bonificato direttamente sul conto corrente delle aziende da parte dell'Agenzia delle entrate», ha dichiarato ieri in conferenza stampa il premier Giuseppe Conte, «promettendo che gli accrediti avverranno entro il 15 novembre». Almeno per coloro, circa 350.000, che hanno già fatto domanda per i fondi del decreto Rilancio. Per gli altri 110.000 non si sa. Sicuramente ci vorrà più tempo. Così come non sono state specificate le tempistiche per il versamento da 1.000 euro per i lavoratori stagionali e da 5.000 euro destinato alle agenzie viaggi. Nel complesso il decreto include anche il credito d'imposta per tre mesi di affitto, l'esenzione del pagamento della seconda rata Imu e dei contributi per i dipendenti. Circa 100 milioni a pioggia per il comparto ho.re.ca e infine circa 2 miliardi per il prolungamento complessivo della cassa integrazione fino al 31 gennaio prossimo. «Si tratta di un decreto molto corposo», ha aggiunto Conte facendo eco al ministro Stefano Patuanelli presente alla stessa conferenza stampa, salvo poi confermare che la spesa totale si aggira sui 5,4 miliardi, tutti a deficit. Una somma che portentosa non è. Soprattutto per i danni che causerà lo stop di almeno un mese a tutte le attività di intrattenimento. Infatti ciò che lascia perplessi non è tanto l'entità dell'importo ma la logica del sussidio che sta alla base del decreto. Lo Stato ha il dovere di fare qualunque cosa per garantire la libera attività imprenditoriale, anche di fronte a un'epidemia. Invece Conte ha promesso, durante il lockdown di primavera, rimborsi fino al 60% per le spese di messa in sicurezza. Poi, al momento di battere cassa, l'Agenzia delle entrate ha mandato una letterina dicendo che avrebbe rimborsato non più del 9%. E adesso, mentre il commissario Domenico Arcuri ancora deve spiegarci perché ha buttato centinaia di milioni in banchi con le ruote invece di comprare più autobus per gli studenti, si impone la chiusura unilaterale in cambio di un'elemosina che è innanzitutto politica. Le partite Iva non voglio soldi, ma essere lasciate libere di lavorare. Questo non capisce il governo. Sussidiare i lavoratori autonomi significa uccidere la partite Iva. E al tempo stesso eliminare quell'iniziativa economica diffusa che ha reso l'Italia una nazione unica e diversa da tutti gli altri Paesi europei. Molti piccoli imprenditori non riapriranno più. Non basterà un bonifico da 5.000 euro per riaprire i battenti o rilanciare una nuova attività. Per far ripartire l'economia bisogna evitare che si spenga la fiamma dell'iniziativa privata. Un concetto difficile da cogliere per chi vorrebbe tutti percettori di reddito di cittadinanza.