2022-09-17
Soldati russi a spasso in Italia e 55. Le vere insidie non fanno notizia
Momenti di alta tensione con la Nato quando premier era Giuseppe Conte (e Luigi Di Maio agli Esteri): la missione umanitaria dei finti medici militari di Mosca, il blitz per aprire alla tecnologia cinese e l’intesa Spallanzani-Gamaleya. Nel silenzio di chi oggi vede complotti.C’è da scommettere che la questione russa rimarrà a riempire le colonne di molti giornali anche nei prossimi giorni. Non certo perché il report sventolato ma non diffuso dal dipartimento di Stato Usa contenga informazioni relative all’Italia e ai partiti nostrani. A dirlo in tutte le salse sono Mario Draghi, e Franco Gabrielli. Eppure tutte le rassicurazioni terminano sempre con un ma. «Non c’è nulla nel report, ma abbiamo chiesto ad Antony Blinken di verificare se ci siano altri report», ha detto il premier durante la conferenza stampa di ieri pomeriggio. Rassicurando poi che il Segretario di Stato Usa avrebbe controllato e poi fatto sapere. Ora, qualcuno vuole immaginare che Blinken non abbia fatto fare un controllino? Non abbia chiesto a qualche collaboratore informazioni prima di fare la telefonata a Draghi? Probabilmente nessuno lo immagina. Qui sta il tema. Qui sta il fatto che molti giornalisti andranno avanti in attesa o nella speranza che qualcosa esca contro il centrodestra. A qualcuno interessa forzare un racconto che mira a spezzare la campagna elettorale e a creare dei precedenti che magari possano servire al presidente della Repubblica in caso di ballottaggio tra i due blocchi. Se l’esito delle lezioni non dovesse incoronare in modo indiscutibile Giorgia Meloni e lasciare aperte opzioni alternative di maggioranza, c’è da scommettere che qualcuno suggerirà al Colle un governo che non lasci dubbi sulle sanzioni e sul patto atlantico. E qui torneranno utili report, documenti, missive. Qualunque cosa. Noi però vorremmo saperlo adesso. Se c’è qualche rappresentante politico che è pronto a tradire obiettivi strategici del Paese è bene additarlo con le prove. Anche prima delle elezioni. E non assistere a ricami sul nulla. In queste ore vengono storpiate notizie che invece meriterebbero maggiore trasparenza. Nel decreto Aiuti bis è stato inserito un emendamento che mira a garantire continuità alle attività del Copasir tra una legislatura e l’altra. La novità è stata subito interpretata come un alert. Come se il Copasir stia attendendo chissà che tempesta di denunce di interferenze russe. La realtà è che la norma in questione nasce da un lavoro avviato dal Coapsir già a febbraio. Messo nero su bianco allo scoppio della guerra e che serve a garantire il controllo del Parlamento sugli atti del governo. Quali? Ad esempio l’invio di armi all’Ucraina. Il prossimo sarà dopo le elezioni. Senza l’emendamento nessuno avrebbe controllato la lista secretata. Questo dettaglio di travisamento della realtà spiega bene due cose. Il clima attuale e il fatto che la matrice sia politica. Altrimenti da parte dei giornalisti e di molti partiti ci saremmo dovuti aspettare allarmi gridati e urlati ai quattro venti quando il Paese è stato veramente a qualche millimetro dal finire in contrasto con gli alleati atlantici. E gli episodi si sono verificati nel 2020 quando a guidare il governo c’era Giuseppe Conte e a guidare la Farnesina Luigi Di Maio. Poco dopo lo scoppio della pandemia il Conte bis invita a dare una mano un battaglione di militari russi. Molti di questi - si scopre dopo - non sono medici ma esperti di guerra anti Nbc, tra l’altro con esperienza in Siria. Non solo. A posteriori si scopre che la lista ufficiale non collima con quella degli effettivi sbarcati a Pratica di Mare. Si viene a sapere, sempre a posteriori, che lo Stato maggiore della Difesa interviene a modificare gli itinerari per evitare la vicinanza dei russi a obiettivi sensibili. Una cosa mai avvenuta prima e impensabile in un Paese Nato. La cosa però passa sotto silenzio con la scusa della pandemia. Nessuno alza un dito e chi oggi vede complotti ovunque tace. Pochi mesi dopo Giuseppe Conte infila in Gazzetta notte tempo una serie di Dpcm con l’obiettivo di consentire alla tecnologia cinese del 5g di essere utilizzata in Italia e conquistare un pezzo alla volta quote di mercato. Il golden power viene sapientemente misurato a tal fine. Ad agosto del medesimo anno - La Verità era l’unico quotidiano a denunciare i pericoli - succede qualcosa. Evidentemente il governo Conte supera una barriera e finalmente si inverte la tendenza. Il merito va a due ministri, Lorenzo Guerini e Vincenzo Amendola. Entrambe sono del Pd ed entrambe hanno forti relazioni atlantiche. Il ministro Di Maio non pervenuto. Eppure adesso sventola ipotesi di nuovi report e di rischio Paese. Dove era allora? O ci vuol spiegare che la Cina non sia pericolosa per l’Italia. Nessuna denuncia nemmeno quando l’istituto Spallanzani cercò nelle ultime fasi della pandemia di chiudere un accordo con Gamaleya, istituto di Mosca celebre al mondo per lo studio dei virus. Solo nel 2022 qualcuno del Pd provò a criticare la scelta e il rischio di dare ai russi informazioni sensibili. Omettendo però che il beneplacito politico arrivò da Nicola Zingaretti, governatore del Lazio. Ecco, tornando al tema Cina, il Pd (nella sua componente ex diessina) e i 5 stelle non avrebbe potuto lanciare allarmi contro il patto atlantico perché c’erano anche loro quando ai tempi del Conte uno, a marzo 2019, Xi Jinping fu accolto a Roma da Sergio Mattarella e un cerimoniale che non si è visto per nessun capo di Stato americano. Mario Draghi ha ragione quando spiega che le posizioni geopolitiche di un Paese devono essere valutate nei decenni e devono durare decenni. Non possono essere mobili come una banderuola. Ma tutti vanno misurati sui fatti e sui pericoli.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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