2023-04-25
Il socialista e il prodiano hanno chiuso il cerchio con l’avallo del Quirinale
Romano Prodi (Imagoeconomica)
Gioco di sponda per la promozione di Luigi Di Maio: da Josep Borrell a Stefano Sannino, diplomatico fedelissimo del Professore.La chiave di lettura più interessante per seguire la nomina di Luigi Di Maio a inviato speciale dell’Ue per il Golfo non è quella dell’indignazione, ma del disvelamento. La genesi della candidatura è preziosa per capire cosa siano e come funzionino tanto la Ue quanto ciò che fu il Movimento 5 stelle. Per ricostruirla, occorre tornare al 2019: è in carica il governo gialloblù (di cui Di Maio è vicepremier e ministro del Lavoro) e si fanno i giochi per le leadership delle principali istituzioni comunitarie. Per la fiducia dell’europarlamento alla Commissione guidata da Ursula von der Leyen risultano «decisivi» (così sottolineò Dino Giarrusso) anche i voti del M5s, nella prima epifania della cosiddetta «maggioranza Ursula» (grillini appunto, più Pd e Fi) con cui il partito di Giuseppe Conte si smarca dall’alleato leghista. Di lì a poco, e non a caso, il governo cade, Matteo Salvini cerca invano il voto, e Luigi Di Maio passa agli Esteri nel Conte bis.Secondo flashback: giugno 2022. Il peggio del Covid è passato, a Palazzo Chigi siede da oltre un anno Mario Draghi. Nelle settimane in cui il M5s inizia a sfilarsi dalla maggioranza, Di Maio attacca il suo partito tacciandolo di immaturità in politica estera e, il 21 giugno, dà vita a gruppi parlamentari che spaccano la compagine grillina. È in queste settimane che Josep Borrell, Alto rappresentante della politica estera della Commissione (una specie di ministro degli Esteri, se solo l’Ue potesse esistere come governo politico) comunica l’idea di istituire un inviato speciale per il Golfo. Borrell è uno storico socialista spagnolo, che in due diversi esecutivi nazionali ha ricoperto le cariche di ministro del Lavoro e degli Esteri. Con Di Maio pare avere anche altro in comune: il 3 giugno 2021, su sua proposta, la deputata grillina Emanuela Del Re, sottosegretaria agli Esteri prima con Moavero Milanesi (Conte I) e poi proprio con Di Maio (Conte II) viene nominata Rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel. Torniamo all’estate 2022: il nome di Di Maio non deve destare sorpresa, a meno di non pensare ingenuamente agli esponenti grillini come sprovveduti paladini anti-sistema. Come detto, il ministro vanta crediti diretti con il Quirinale (i rapporti sono eccellenti fin dalla precedente legislatura, quando era vicepresidente della Camera, grazie ai buoni uffici del potente segretario generale Ugo Zampetti) e con Draghi: il gruppo parlamentare sganciato da Conte si rivelerà un tragico autogol, ma lì per lì sembra una grande operazione a sostegno dell’esecutivo. Quanto al legame col Pd, dopo l’exploit di Bibbiano è tutto perdonato. Peccato che il governo cada, e si corra verso le elezioni d’autunno. A cavallo di ottobre, dopo il voto ma prima dell’insediamento di Giorgia Meloni, l’esecutivo uscente avanza la candidatura di Di Maio, appena silurato alle urne, dove si era presentato sostenuto - invano - dal Pd. Fonti Ue spiegano alla Verità che il nome è frutto di una «cooperazione Di Maio, Borrell, Draghi e Sannino», sotto gli auspici del Colle. Se dei primi due si è detto, il terzo nome merita cenno. Stefano Sannino, classe 1959, è un navigatissimo diplomatico nato a Portici (a 12 km in linea d’aria da Pomigliano, già feudo di Di Maio), e punto fermo delle relazioni a sinistra tra Italia e Unione europea, sotto il nume di Romano Prodi. Nel 1996 è nello staff del primo governo del Professore, poi capo di gabinetto dei ministri del Commercio negli esecutivi D’Alema e Amato. Nel 2002 segue Prodi alla Commissione Ue con diversi incarichi (in compagnia di Sandro Gozi, altra vecchia conoscenza dell’ex premier). Quando lo stesso Prodi torna a Palazzo Chigi (2006), Sannino ne diviene consigliere diplomatico. Il ping-pong con Bruxelles lo vede nuovamente in Europa (con delega sul dossier dell’allargamento Ue) dal 2010 al 2013, quando Enrico Letta lo nomina Rappresentante permanente del nostro Paese presso l’Unione. Qui viene sostituito da Carlo Calenda, e compensato con la posizione di ambasciatore in Spagna. Nell’esercizio, tra molte altre cose si aggiudica il premio Transexualia e il premio Lgbt Andalucía (entrambi nel 2016) e, nel 2018, suscita un discreto putiferio quando espone la bandiera arcobaleno in Ambasciata a Madrid per il gay pride. È Borrell, due anni dopo, a sceglierlo come segretario aggiunto del Servizio europeo per l’azione esterna (in pratica il ministero degli Esteri Ue, sempre se solo l’Europa eccetera). Un anno dopo, ne diventa segretario, carica che ricopre tuttora. Il suo intervento diretto sulla pratica Di Maio è dunque contemporaneamente legittimo quanto politicamente significativo. E spiega meglio lo sgarbo (lecito, ma palese) di Borrell, che a novembre 2022, mentre gli equilibri politici italiani sono ribaltati, piazza Di Maio in cima a una shortlist che include il cipriota Markos Kyprianou, l’ex inviato Onu in Libia Jan Kubis e l’ex Commissario Ue, il greco Dimitris Avramopoulos. Nel frattempo, la Meloni è insediata. Ha facoltà di eccepire la mossa, ma a quanto risulta alla Verità né il premier né il ministro degli Esteri avanzano riserve formali: qui si esercita, sempre stando a fonti vicine alla pratica, una ulteriore moral suasion del Quirinale che auspica addirittura un sostegno pubblico del governo: troppo. Il resto, dopo che lo scandalo Qatargate ha sporcato le credenziali di Avramopoulos, è storia d’oggi, con la lettera di Borrell datata 21 aprile che certifica Di Maio come il candidato più idoneo per la missione nel Golfo. La formalizzazione è ora inevitabile? Quasi. Al passaggio formale di dopodomani al Comitato politico e di sicurezza farà seguito quello - altrettanto formale - al Coreper, quindi l’ok definitivo che dovrebbe arrivare dal Consiglio dei ministri degli Esteri Ue. Per il «sì» basta una maggioranza qualificata, dunque l’Italia anche dovesse votare contro (fatto molto inusuale, essendo pur sempre un connazionale) non potrebbe porre alcun veto, a meno che non trovi alleati decisi a sbarrare la strada all’ex ministro. Converrebbe puntare su chi ha interessi forti nell’area mediorientale: a meno che Di Maio non sia esattamente il «loro» uomo, più che il «nostro». In tal caso diventerebbe difficile. Due gli argomenti di appiglio formale: non è una donna (e tra gli inviati speciali la maggioranza è maschile, malgrado gli sbandierati auspici) e non è laureato. Argomenti che al momento non paiono sufficienti.