2025-06-23
Slip o boxer, di lana o di cotone. L’intimo che scegli dice molto di te
Gli antichi Greci non le portavano, i Romani sì, ma le mutande come noi le conosciamo si diffondono nel Novecento. Occhio a quelle aderenti e ai materiali sintetici: possono causare infezioni e fastidi. E cambiatele ogni giorno.Ospite in studio de L’isola dei famosi, il giornalista Giuseppe Cruciani ha risposto alla domanda di Simona Ventura - «Una curiosità. Le mutande te le cambi una volta a settimana?» - con una conferma: «Le mutande una, barra due volte». Vi invitiamo a non seguire la teoria igienica di Giuseppe, ma cogliamo l’occasione per approfondire un po’ il tema. La parola dice già tutto: mutandae è il plurale femminile gerundivo del verbo latino mutare ossia cambiare. Il sottinteso è vestes. Le vestes mutandae sono le vesti che si devono cambiare, senza ombra di dubbio il senso era che si dovevano cambiare più frequentemente di quelle esterne, soggette, queste ultime, a sostituzione e lavaggio meno frequenti.La storia delle mutande è lunga e affascinante. Gli antichi Greci non le indossavano, gli antichi Romani portavano la subucula, una sorta di sottoveste accessoriata con il supparum e il subligaculum, pezzi di lino che si facevano passare tra le gambe e sulle cosce e poi si annodavano, con lo scopo di proteggere le parti intime. Questi accessori, una specie di protomutande, usate da uomini e donne, arrivarono fino al XVI secolo, quando Caterina de’ Medici inventò delle lunghe mutande da donna che si potevano indossare per cavalcare come gli uomini, ma furono considerate sconvenienti e restarono nel dimenticatoio fino al XIX secolo, quando furono inventate le crinoline, sottogonne che in principio erano fatte di stoffa tenuta larga e rigida da crini di cavallo, poi di stecche di balena e cerchi di acciaio che sostenevano strati di stoffa. Servivano a tenere le gonne lunghe gonfie e sotto di esse si coprivano le pudende e le gambe coi mutandoni di Caterina de’ Medici o, in generale, con braghe a tubo che per gli uomini si chiamavano anche mutande a calzoncino. Il concetto, come si vede, era sempre quello di una sorta di pantalone. Oggi ciò ci sembra assurdo, perché siamo abituati all’idea che la mutanda copra le parti intime, non le gambe, ma questo è il risultato di un’evoluzione. All’inizio del Novecento si sviluppano gli slip, dall’inglese to slip ossia scivolare, mutanda triangolare che si afferma massicciamente dopo la seconda guerra mondiale. Gli slip possono essere di varie altezze: mini quando sono molto sotto l’ombelico, midi quando sfiorano l’ombelico, maxi quando arrivano al punto vita. Per quanto riguarda il posteriore, anche qui abbiamo vari livelli di scopertura. La mutanda normale accompagna la forma del gluteo, coprendolo. Poi, abbiamo il tanga, che diminuisce un po’ di copertura dei glutei e anche di altezza dello slip. Poi, abbiamo la brasiliana, che è un triangolo più ridotto del precedente e ancora c’è il perizoma, che lascia i glutei tutti scoperti e può avere un triangolino di stoffa che si poggia (con funzione decorativa, più che protettiva) proprio sopra l’incavo tra i glutei oppure direttamente un filo. Ci sono poi le mutande a pantaloncino, che possono essere strette, aderenti e contenitive e servono non solo a proteggere le parti intime ma anche a schiacciare pancia, lato b e punto vita per sembrare più magri. Oppure possono non essere aderenti, sebbene siano sempre di tessuto un po’ elasticizzato o, addirittura non aderenti e in tessuto di tela, di cotone o sovente seta: in quest’ultimo caso si chiamano culottes, mentre le precedenti sono anche chiamate boxer da donna. I boxer sono infatti mutande a pantaloncino maschili, anch’essi realizzati in tessuto più rigido oppure in jersey ossia morbido e di conseguenza in quest’ultimo caso possono essere anche aderenti. Il boxer può avere un’apertura sulla patta, che serve ad accedere all’organo maschile senza tirare giù i boxer. Sempre a proposito di architettura della mutanda, spesso vediamo che le mutande, sia maschili che femminili, hanno una specie di fodera centrale, aperta su un lato, che molti chiamano e scambiano per un taschino, in realtà si tratta di una specie di camera d’aria che permette una maggiore traspirazione.Traspirazione è la parola chiave per le mutande. In linea di massima, se alcuni preferiscono non portarle, la maggioranza quasi assoluta delle persone le porta. Ma quali mutande è meglio portare? Premesso che le mutande servono a proteggere le zone intime, bisogna innanzitutto fare in modo che questa protezione non diventi una gabbia tossica. Quindi anche se l’intimo contenitivo spopola, non sarebbe il caso di indossarlo, perché la costrizione innanzitutto alza la temperatura. Pare che gli uomini che indossano i boxer di tela siano più fertili di quelli che usano gli slip, questo perché gli spermatozoi che vivono nello scroto stanno meglio ad una temperatura più fresca di uno o due gradi rispetto a quella corporea.Se la mutanda stringe come una seconda pelle e lo spazio tra pelle e mutanda è ridotto o addirittura inesistente, l’area di traspirazione del calore corporeo si riduce o scompare proprio e quindi l’area genitale diventa calda, anche più calda del corpo. Il problema non è solo per gli spermatozoi del maschio: la donna che usi tutti i giorni pantaloncini contenitivi potrebbe sviluppare problemi circolatori (ciò vale anche per l’uomo e se si soffre di emorroidi si deve evitare di costringere la circolazione in generale e in particolare in quell’area), infiammazioni delle ghiandole di Bartolini e un surriscaldamento dell’area intima che a sua volta potrebbe portare allo sviluppo di infezioni batteriche e funghi, internamente ed esternamente. Con un intimo troppo stretto, aumenta anche il rischio dermatiti: già le pieghe naturali del corpo sono soggette a questa problematica, se poi le premiamo ancora di più il rischio di sviluppare rossori e irritazioni si alza. Vade retro o comunque non usiamo tutti i giorni intimo che ci strozza. Non va bene nemmeno l’intimo troppo ridotto: in perizoma, tanga e brasiliana, per esempio, quella stoffa schiacciata sulla pelle tra glutei e organo sessuale può contribuire al trasferimento di batteri fecali dalla zona anale a quella vaginale, soprattutto se non si è dediti a una corretta igiene personale. Una mutanda meno compressa addosso, invece, è meno a rischio. Meglio quindi un intimo non aderente, a maggior ragione se già si usano jeans aderenti, perché la combinazione di intimo aderente sotto abbigliamento aderente non è il massimo. Altro aspetto molto importante dell’intimo è il materiale in cui esso è realizzato. Un materiale sintetico, infatti, è altrettanto responsabile di un surriscaldamento e di un impedimento della traspirabilità di un tessuto troppo aderente, con conseguenti rischi che abbiamo visto, e viene da sé che se l’intimo è troppo aderente e anche sintetico è come avere delle mutande… di plastica. Evitatelo. Scegliete mutande comode e di fibre naturali. Il cotone è l’ideale, va bene anche la seta e, in inverno, possono essere una buona idea le mutande di lana, spesso abbinata alla seta. Tutti questi materiali hanno in comune la traspirabilità, che è importante perché un tessuto naturale e traspirante può assorbire l’umidità che le parti intime producono naturalmente e permettere alla pelle di respirare, uno sintetico fa invece effetto serra e sauna. Le mutande in tessuto naturale sono ottime anche in caso si sia già sviluppata una problematica intima. Nel caso di candidosi vaginale o di altre infezioni, per esempio, sono ottimi gli slip di cotone, bianco, che si possono tranquillamente lavare a 90 gradi e stendere ad asciugare al sole. Il colore bianco per la biancheria intima è sempre l’ideale, perché il colore potrebbe stingere e allergizzare. Se non abbiamo problemi in corso, invece, il lavaggio a 40 gradi, con un detergente naturale come sapone di Marsiglia ed un eventuale igienizzante a ossigeno attivo sarà perfetto. Stirate, poi, le mutande: passare il ferro rovente col suo vapore le igienizzerà ulteriormente. La frequenza di cambio, infine: due o peggio ancora una volta in sette giorni, come dice Cruciani? Da parte nostra è un enorme no. Le mutande si cambiano ogni giorno, in caso di impossibilità (vi hanno rapito gli Ufo e in astronave non entrava il trolley col cambio, scherziamo ma nemmeno tanto) si può tenere uno slip poco oltre le 24 ore ma lavandosi le parti intime ogni volta che si va in bagno. Infine, rinnovate il parco mutande una volta l’anno, cercando di acquistarne più che potete in tessuto naturale. Meglio quelle in tessuto completamente naturale e senza una percentuale di elastam ma con elastico ai bordini che quelle con tessuto naturale con aggiunta di filo di elastam, perché anche l’elastam è sintetico. Si tratta infatti di fibra sintetica di poliuretano che si aggiunge al filo del tessuto per creare tessuti elasticizzati. Si può trovare indicata anche come Lycra, Spandex ecc. Va da sé che se il tessuto tutto naturale è migliore del tessuto naturale con aggiunta di elastam per elasticizzare, mentre il sintetico per di più elasticizzato sarebbe decisamente da evitare.