2023-11-19
Sinner si arrende all’ultimo. Non ha ancora il vaccino contro il più forte di sempre
A 36 anni Nole Djokovic resta invincibile e alle Atp Finals di Torino impone la sua legge. L’azzurro esce sconfitto in due set, ma al termine di un torneo che l’ha consacrato.Se la metafisica, come spiegano i manuali di filosofia fin dal liceo, è lo studio dell’ente in quanto ente, Nole Djokovic è «il tennis in quanto il tennis»: c’è qualcosa di davvero metafisico e perfettissimo nel suo trionfo su Jannik Sinner oggi a Torino, nella finale delle Atp Finals. 6-3 6-3 il punteggio a corredo di una gara senza storia, con il numero uno del mondo che quasi mai ha dato l’impressione di affogare in acque paludose. Si sono perse le tracce sui social del dottor Roberto Burioni: niente battute sarcastiche sulle dosi anti Covid mancate dal tennista di Belgrado, come accaduto durante i gironi eliminatori, forse perché il Djokovic atleta è così dirompente da infrangere record, imposizioni dogmatiche, convenzioni. Questo è il suo settimo Atp Finals messo in bacheca con 50 partite vinte complessivamente durante gli anni della manifestazione, ha staccato anche Roger Federer, intascando con il titolo 2.201.000 dollari di montepremi. Per spiegare l’andamento della partita, è azzeccata la metafora culinaria suggerita dal nostro Sinner sulla scorta della carriera da cuoco di papà Hanspeter: «Conoscere gli avversari è come padroneggiare gli ingredienti quando cucini un piatto di pastasciutta. La prima volta imparerai a cuocerla, poi a preparare il sugo di pomodoro, poi aggiungerai il basilico e i condimenti». Ecco. Martedì scorso, durante i gironi eliminatori, Jannik aveva sconfitto Nole, servendo ai commensali giunti per applaudirlo una pastasciutta sopraffina. Ieri però si è dimenticato di spegnere i fornelli ed è stato il fenomenale serbo - gran fanatico della dieta bilanciata, del consumo di verdure a foglia verde brillante come il coccodrilletto del suo completo Lacoste - a cucinarlo per bene sul campo da gioco. La differenza è passata attraverso gli errori non forzati. Verso la conclusione del secondo set, le statistiche ne indicavano 27 per il tennista altoatesino, soltanto dieci per Djokovic, che sarà meticoloso nell’approccio alimentare, ma con la racchetta è un cannibale. Sembra quasi si sia preservato nelle prime partite, per poi dar sfogo alle energie interiori sopite tra semifinale e finale, match in cui ha demolito pure Alcaraz, assieme a Sinner il futuro del tennis mondiale. Al campioncino ventiduenne della Val Pusteria resta la soddisfazione di aver disputato un torneo formidabile, senza perdere mai un incontro tranne quello di ieri, e di aver imparato quel che dovrà fare per agguantare il suo primo trofeo del Grande Slam, impresa alla sua portata già dalla prossima stagione: servire prime battute con percentuali sopra l’80% quando conta davvero, e soprattutto attingere dal servizio dell’avversario la forza cinetica necessaria per calibrare delle risposte da ribattitore di baseball. Djokovic ha in quelle due caratteristiche la sua corazza inscalfibile. Tra i suoi allenatori, del resto, figura quel Goran Ivanisevic che era capace di servire un ace sulla sua seconda di servizio annullando dei match point. Contro Sinner, Djoker piazzava risposte di dritto e di rovescio ai limiti della precisione chirurgica, aggiungendo un saltino sul posto durante l’impatto con la pallina, aggredendo l’aggressione pur mantenendo un sorriso quasi ieratico stampato sul viso. Tratti distintivi di un controllo mentale perfezionato negli anni, alternato a sapienti malizie tattiche: quando aveva bisogno di rifiatare, il serbo ingaggiava una battaglia metaforica col pubblico, tutto schierato per Sinner, prendeva tempo, indicava all’arbitro qualche spettatore non seduto correttamente, insomma spezzava il ritmo a suo favore. C’è chi sostiene che se Sinner, dall’alto del suo rigore asburgico, avesse perso di proposito la sua sfida con Rune, eliminando ai punti il vincitore di quest’edizione prima di disputare contro di lui la finale, si sarebbe fregiato di un’arguzia ancora maggiore. Ma questo non è nello stile del nostro tennista, e non lo sarebbe stato neanche in quello di Djokovic. Quel che si è visto ieri però, è stato un confronto tra il razionalismo illuminista (Sinner) che ancora deve imparare a padroneggiare quella bellissima e terribile sensazione del «sublime», una vetta emozionale che consente di osare l’inosabile senza commettere errori, e il romanticismo intriso di tempesta e impeto tipico della schiatta balcanica, governato però da un’intelligenza e da un talento che fanno intendere come Nole non sia intenzionato ad abdicare facilmente.Quando cederà, sarà proprio il nostro eroe nazionale ad agguantare il testimone, puntando al primo posto Atp. Con la finale di ieri, consolida il suo quarto posto mondiale a 6.490 punti, mettendo nel mirino il russo Medvedev (superato agevolmente nelle semifinali) che vacilla al terzo posto. Non scordando una stagione in cui ha vinto ben quattro tornei (Montpellier, Toronto, Pechino e Vienna), oltre a disputare le finali a Torino, Rotterdam e Miami, accumulando un montepremi complessivo di circa 8 milioni di euro nel 2023. Non scordando i 15 milioni derivanti dall’accordo con Nike, e le sponsorizzazioni, tra le tante, di Gucci, Rolex, Alfa Romeo. Una sintesi di nomi in parole povere, a indicare un futuro ricco non solo agonisticamente, oltre alla responsabilità di aver elevato il tennis da sport di semi-élite per appassionati a nuovo contenitore d’aggregazione nazional-popolare. Prima di tornare a lavorare con i maestri Vagnozzi e Cahill, Jannik sarà atteso dalla Coppa Davis: già il 23 novembre gli azzurri sfideranno l’Olanda nei quarti di finale. Poi, a evento concluso, qualche settimana di riposo. Dopo Natale comincerà la nuova annata in terra australiana, con la scelta dei tornei propedeutici all’Australian Open. Considerata la superficie veloce dello Slam oceanico, potrebbe già essere un obiettivo alla sua portata. Cannibali serbi permettendo.
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