2025-03-28
La sinistra superiore per decreto divino non sa chiedere scusa
Il frame mandato in onda dalla trasmissione «Dimartedì» (La7) in cui Romano Prodi trattiene per i capelli la giornalista di «Quarta Repubblica», Lavinia Orefici
Anche di fronte all’evidenza, come nel caso Prodi, giornalisti e intellettuali non cessano di dare lezioni o fare risatine.Nel caso di Romano Prodi possiamo perfino farcene una ragione. È, come ha detto lui stesso, un vecchio accademico progressista abituato a essere riverito e obbedito, la parola «scusa», non rientra nel suo vocabolario. Anche se a infilare il giubbotto di pelle fu a suo tempo Matteo Renzi, è Prodi a comportarsi come Fonzie di Happy Days, quello che non riusciva proprio a chiedere perdono poiché questo avrebbe leso la sua immagine di duro. Il Professore è a sua volta una mortadella che non deve chiedere mai. Ciò non lo giustifica, ovviamente: è pur sempre lui che ha deriso e umiliato tirandole i capelli Lavinia Orefici, inviata di Quarta Repubblica, e dopo averla trattata così ha negato di averlo fatto, l’ha accusata prima di mentire, poi di aver scambiato per aggressione un segno di affetto e infine di voler strumentalizzare la vicenda. Diciamo soltanto che non ci sorprende l’atteggiamento del Professore, ecco tutto: non abbiamo mai creduto che fosse buono e mansueto come volevano farci credere, e temiamo che ormai sia difficile fargli cambiare abitudini e posture. E se il nonno nobile è tale, figuriamoci se i suoi figli e nipotini come Enrico Letta, Debora Serracchiani, Nico Stumpo e compagni possono risultare diversi: infatti anche loro, dopo aver difeso il capo oltre ogni decenza, si tengono alla larga dalle scuse. I colleghi giornalisti e i cosiddetti intellettuali, invece, con le parole dovrebbero essere più a loro agio, ed è per questo che dovrebbero rivolgersi alla collega di Mediaset per scusarsi. Ci aspettavamo che lo facessero martedì, subito dopo che Giovanni Floris ha mostrato il filmato del confronto tra Orefici e Prodi che smentiva le balle raccontate dall’ex presidente del Consiglio. Massimo Giannini era presente in studio e avrebbe dovuto domandare perdono per aver inserito l’inviata Mediaset nel novero dei «poveri sicari del giornalismo di regime». Ma si è limitato a biascicare una mezza presa di distanza dal Professore. Non si è scusato nemmeno Luca Bottura, battutista spocchiosetto che fa da autore a tutti i comici più chic, quello che sui social aveva addirittura festeggiato per la tirata di capelli: «Prodi ha fatto benissimo», ha scritto il coraggioso umorista (involontario). «Era ora che qualcuno desse al retequattrismo la risposta che merita. Peccato solo sia toccato a chi esegue ordini e non alla ghenga che ha trasformato una gran parte del giornalismo italiano nella cinghia di trasmissione della produzione di odio». Citiamo soltanto i due più patetici, la punta dell’iceberg di palta, però tanti altri hanno scritto e detto cose simili: chi alla radio, chi nei talk show, chi sui giornali. Ora tutti zitti, i fenomeni. A parte il solerte e loquacissimo Luca Bizzarri, che invece continua a parlare a sproposito e a fare ironia definendo tutta la polemica «infantile». Se i capelli li tirassero a lui chissà se riderebbe allo stesso modo. Lo spettacolo ci disgusta, ma di nuovo non stupisce. La congrega intellettuale (giornalistica o meno) con la puzza al naso è abituata ad agire così, lo fa regolarmente. Se qualcuno sfiora uno di questo gruppetto di sedicenti eletti, tutti corrono a piangere in mondovisione, a firmare appelli, a gridare al ritorno del fascismo. Se perdono un programma Tv (ed è quasi sempre accaduto sotto governi di sinistra), costoro non si fanno scrupoli a cercare la solidarietà dei colleghi di diverso orientamento. Ma in fondo li considerano inferiori. Pensano che siano dei servi, dei mentecatti prezzolati. Lo scrivono, lo teorizzano. Con quanti la pensano diversamente da loro sono spietati: ogni insulto è ammesso, ogni schifezza è consentita. Non parliamo soltanto della sinistra, ma pure dei presunti liberali, che si credono parte dei buoni soltanto perché i dem li tollerano come si sopporta l’utile idiota. Il caso della giornalista di Mediaset è soltanto l’ultimo di una lunga lista. Vogliamo ricordare gli epiteti che stimate firme di ogni colore rivolsero durante la pandemia a chi criticava il regime sanitario? La scienza, non la stregoneria, ha dimostrato quante bestialità abbiano commesso i tifosi delle restrizioni. Eppure non uno che si sia cosparso il capo di cenere: dimenticano, cancellano, e tirano dritto. Del resto qualcuno si è per caso scusato per aver sbattuto in prima pagina, accusandoli di putinismo, fior di inviati e reporter? Ora abbiamo la prova che chi avanzava dubbi sulla guerra a oltranza aveva più di una ragione, ma da subito chiunque deviasse dall’opinione unica veniva denigrato, trattato come un traditore e un venduto. È storia antica. Chi lavorava per i giornali «di destra» decenni fa era descritto come un leccapiedi pagato da Berlusconi, e intanto gli illustri custodi dell’integrità del giornalismo andavano a braccetto con i miliardari illuminati, ben pasciuti e felici di sentirsi nel giusto. Poi, con l’accento dei cosiddetti populismi è cominciata la svalutazione antropologica: chi non apparteneva al circolo del giornalismo democratico non doveva essere considerato un essere umano ma qualcosa di meno, un odiatore, un idiota da zittire. Oggi, seguendo la stessa logica, quelli che si percepiscono come moralmente superiori si permettono di apostrofare quali sicari, gangster e odiatori colleghi che si limitano a svolgere - il più delle volte molto bene - il loro mestiere, cioè fanno domande, realizzano inchieste e esprimono opinioni. Se un intellettuale di sinistra insulta o dice falsità e si piglia una querela, è trattato da vittima del regime. Se una giornalista del programma «cattivo» pone un quesito a un potente e quello la vessa e la offende, la vittima è lui, e lei diventa una serva, una che mente e strumentalizza. Se si dimostra che è il potente a mentire, fa lo stesso: la ghenga dei migliori non si scusa. Visto l’atteggiamento, che si credano superiori fa sorridere, ma che si credano giornalisti anche di più.