
Ieri mattina le ruspe hanno abbattuto l'insediamento abusivo dietro la stazione Tiburtina a Roma che fungeva da punto d'appoggio per i migranti (specie irregolari). Da Gad Lerner a Laura Boldrini fino al Pd, progressisti sdegnati perché è stata fatta rispettare la legge. Alla fine le ruspe sono arrivate. Ieri mattina, per la ventiduesima e si spera ultima volta, il presidio Baobab di Roma, dietro la stazione Tiburtina, è stato sgomberato. La tendopoli abusiva è stata abbattuta, circa 150-200 persone sono state fermate dalle forze dell'ordine. «Zone franche, senza Stato e legalità, non sono più tollerate. L'avevamo promesso, lo stiamo facendo. E non è finita qui», ha dichiarato raggiante Matteo Salvini, promettendo, per i prossimi giorni, altri 27 sgomberi nella Capitale. Quello che è avvenuto è molto semplice: è stata fatta rispettare la legge. C'era un accampamento irregolare ed è stato smantellato. Per altro, tutto è avvenuto alla presenza di una marea di testimoni. Gli attivisti di Baobab, già alle 7 del mattino, hanno battuto la grancassa: «Il presidio è circondato da blindati, hanno chiuso i cancelli e non consentono a nessuno di entrare o uscire dall'area. Raggiungeteci», hanno scritto su Facebook e Twitter. Sul posto si sono precipitati giornalisti, fotografi, delegati di Amnesty International. Una folla degna di miglior causa. Dopo tutto, in questo Paese, ripristinare la legalità è una cosa eccezionale, fa notizia. E, soprattutto, si trova sempre qualcuno che non è d'accordo. Ieri, infatti, sin dalle prime ore del mattino, è iniziato il diluvio di dichiarazioni indignate dei fan dell'immigrazione selvaggia. Sui social network si sono espressi praticamente tutti i profeti dell'accoglienza, mancava solo Roberto Saviano (era impegnato a promuovere su Facebook il suo show televisivo Kings of Crime). Gad Lerner era davvero furibondo: «Lo sgombero del centro Baobab di Roma, modello esemplare di accoglienza per migranti e italiani, è un ulteriore salto di qualità della politica repressiva che ha già infierito contro Mimmo Lucano a Riace e le Ong del soccorso in mare», ha tuonato, offrendo una sintesi perfetto dal pensiero progressista sull'argomento. Notate il particolare: i casi di Baobab, di Riace e delle Ong sono legati da un filo rosso, cioè, appunto, quello dell'illegalità. Perché quando si tratta di difendere i «diritti dei migranti» fregarsene delle leggi è consentito, anzi caldamente consigliato, pena passare per razzisti o cattivoni. Non per nulla, Monica Cirinnà del Pd ha spiegato che «lo sgombero del Baobab da parte dell'inumano e crudele Matteo Salvini con la complicità di Virginia Raggi è pura propaganda sulla pelle degli ultimi». Capito? Il ministro è «inumano» e «crudele» perché si permette di riportare un pizzichino di ordine a Roma. Sulla stessa linea pure Nicola Zingaretti: «Salvini sgombera i migranti del Baobab senza offrire alcuna soluzione di accoglienza temporanea e quindi senza nessuna risoluzione del problema. Ci aspettiamo la stessa fermezza nel liberare l'immobile occupato abusivamente a Roma da anni da Casapound». Anche qui, notate l'immancabile riferimento a Casapound, tirata in ballo pure da Laura Boldrini («Salvini manda i blindati per sgomberare il Baobab mentre i “fascisti del terzo millennio" occupano abusivamente e a spese nostre un palazzo nel centro di Roma», ha scritto ieri). Piccola differenza: a Casapound vivono famiglie italiane in difficoltà, e non risulta che siano stati commessi crimini, stupri eccetera. In ogni caso, la tiritera buonista ormai l'avete capita: un gran dispendio di lacrime e broncetti per la sorte di Baobab. Lo sgombero di ieri è stato presentato come una specie di disastro umanitario. «I blindati! I blindati!», si struggevano gli impegnati sui social e sui giornali: sembrava che il governo avesse bombardato una sede della Croce rossa.La realtà è un pochino diversa. Baobab, in questi anni, è stato un punto di appoggio per i migranti (regolari o meno) che intendevano transitare nel nostro Paese per poi dirigersi in altri Stati europei. In sostanza, gli attivisti fornivano appoggio a persone intenzionate a passare i confini illegalmente. Da quelle parti sono passate decine di migliaia di persone. Non sono state identificate, non si sa da dove venissero e dove fossero dirette. Alcune - per esempio i migranti scesi dalla nave Diciotti - sono stati gentilmente accompagnate a Ventimiglia, così che potessero tentare l'ingresso in Francia. Ieri, su oltre 150 fermati, solo una trentina hanno esibito documenti o regolare permesso di soggiorno. Dice l'anima bella: «Perché accanirsi su una tendopoli di poveracci senza dimora?». Non per cattiveria, no di sicuro. Anzi, per l'esatto contrario. Chi entra in Italia non deve vivere in una tenda per strada. Deve essere riconosciuto, e se ha diritto ad essere accolto verrà ospitato (a spese nostre) in un apposito centro. Se ha già un permesso di soggiorno, può lavorare o fare richiesta di sostegno pubblico. Se invece non vuole farsi identificare e preferisce vegetare nell'ombra, allora c'è qualcosa che non va. Significa che non ha diritto di stare qui, o che semplicemente vuole farsi gli affari suoi senza essere infastidito dalle forze dell'ordine. Ma tutto ciò al Pd e soci non interessa. Per loro, quando ci sono di mezzo gli stranieri, la legge è solo un fastidioso orpello.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





