2019-10-22
Sinistra in guerra con la famiglia. Sogna di imporre il nido ai neonati
Stefano Bonaccini, governatore dem dell'Emilia, lancia l'idea: «Obbligo da 0 a 3 anni». La linea era stata tracciata da Matteo Renzi nel duello con Matteo Salvini: «Asilo pure se i genitori sono a casa». È la matrice sovietica: i figli allo Stato. Vogliono i bambini, in modo che non sbaglino a votare da grandi. Il ragionamento non fa una piega, ma crea una piaga (sociale). Li vogliono sempre, anche da 0 a 3 anni per dare continuità all'indottrinamento, per lavorare sul linguaggio e sui modelli, per provare a sostituire la famiglia con lo Stato. Più che una pianificazione è un'ossessione, un argomento carsico che prende corpo quando la sinistra è al governo e anche questa volta fa pesantemente capolino nell'enunciazione degli intenti e nell'elenco dei programmi. Poi non si realizza niente per l'incapacità cronica del legislatore di passare dalla teoria alla pratica, ma l'idea del fanciullo di Stato sta diventando una mania.L'ultimo a teorizzare la rivoluzione del pannolino è Stefano Bonaccini, presidente dem della Regione Emilia Romagna, che serenamente spiega al Tg2: «Secondo me nei prossimi anni (l'asilo nido, ndr) deve diventare scuola dell'obbligo, perché credo nello 0-3 come servizio educativo e non parcheggio dove le mamme lasciano i bambini». Lo spunto arriva da uno studio del 2017 che sta martellando il Web e dimostrerebbe che i bimbi che vanno al nido prima dei 2 anni perdono tempo e cinque punti di quoziente intellettivo. Così il passaggio sarebbe perfino educativo, secondo una proprietà transitiva tutta da dimostrare: se fosse lo Stato a occuparsi dei nostri figli, questi ultimi crescerebbero più intelligenti. L'avevamo sentita dalle parti di Mosca nel periodo bolscevico, quando il soviet si prendeva cura senza permesso dei pargoli dai 2 mesi di vita alla tomba. Più che una strategia è un grido liberatorio dopo la fine del governo 5 stelle-Lega, quello che aveva messo al centro la famiglia e l'educazione, aveva lucidato pilastri come mamma e papà, aveva sollecitato la Chiesa a schierarsi a protezione dei valori non negoziabili (la risposta è stata un palpabile disinteresse), aveva cominciato a scardinare il potere degli assistenti sociali sostenendo inchieste delicate come quella di Bibbiano. La sterzata è forte, evidente. Il tentativo di appropriarsi dell'educazione dei figli e di dare i compiti a casa ai genitori arriva da una cultura statalista -il finto liberismo dei burocrati è la forma più comica di ipocrisia - che neppure Matteo Renzi riesce a scrollarsi dalle elettriche spalle. Nel faccia a faccia con Matteo Salvini a Porta a Porta, l'ex premier non ha mancato di sottolineare che «tutti devono mandare i figli all'asilo nido, anche coloro che non lavorano».Un obbligo. Anche secondo lui i figli sono dello Stato fin dalla nascita. E la mamma che vuole dare il senso più pieno alla maternità aiutando il piccolo a scoprire il mondo attraverso il suo sguardo e il suo sorriso? Poche favole, lo carichi in auto e lo consegni in orario alle puericultrici maestre. E i nonni che da sempre hanno avuto il compito insostituibile di dare un senso alla percezione del passato, del presente e del futuro di quel bimbo? Meglio se guardano i cantieri e si sostituiscono allo Stato più avanti, quando sarà necessario integrare il welfare famigliare con le loro pensioni. La proposta è cinica, utilitaristica, in piena sintonia con quella di Enrico Letta di abbassare il limite del diritto di voto a 16 anni. L'aveva buttata lì nel giorno in cui le piazze italiane erano piene di ragazzi in corteo dietro la pifferaia Greta Thurnberg, aveva espresso il singulto in automatico dopo aver fatto i conti su quanti voti in più avrebbe potuto portare a casa il Pd per tornare primo partito. Più che strategie, infantili riflessi condizionati. Come se chi ha ricevuto la Legion d'onore da Francois Hollande non avesse letto neppure la prefazione di un libro di Jacques Attali. Sembra che all'asilo debbano tornare i nostri governanti, non i nostri figli.Il fanciullo di Stato, da accudire da zero a 16 anni prima che diventi cittadino responsabile soprattutto nelle urne; da avviare al mondo sempre più globalista e socialdemocratico dominato dalle élite; da plasmare sul pensiero unico progressista in cui genitore 1 e 2 non devono più costituire un problema di genere; da trasformare in pollo d'allevamento dalla nascita alla morte senza il fastidio di avere fra i piedi mamma e papà con le loro convinzioni e i loro valori, è un obiettivo che somiglia a un incubo letterario di Michel Houellebecq. Tutto già visto e già letto. In Sottomissione, quando gli islamici prendono il potere al Parigi, sono interessati solo a due ministeri: l'Interno e l'Istruzione. Eppure la tentazione torna fuori. Nell'autunno 2017 la ministra Valeria Fedeli (Pd, governo di Paolo Gentiloni), festeggiava l'approvazione del «piano pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione da 0 a 6 anni» (che già presentato così mette paura) e faceva capire che la bulimia dello Stato non si sarebbe fermata ai finanziamenti, ma che avrebbe chiesto ore e programmi didattici in cambio di soldi. Lessico e idee riportano indietro nel tempo, agli anni Trenta, quando una pedagogista molto in voga nella steppa teorizzava già una piena attività prescolastica: «Perché il gioco e tutte le altre attività sviluppino il senso del collettivismo, abituino i bambini ad agire in modo organizzato e a rispettare le regole interne». Si chiamava Nadezna Konstantinovna Krupskaja. Era la moglie di Lenin.