2025-04-20
Giornalisti e sinistra in fila per il Maalox: fegato ancora amaro per Meloni e Trump
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Non si danno pace. «Rep» scredita il summit con «l’Amerikano», il Pd sminuisce e pure «Avvenire» critica: «Pericolo trappola».Un contentino a Emmanuel Macron - rosica all’Eliseo perché i volenterosi che gestisce in condominio con Keir Starmer vanno più a passo di gambero che a passo marziale - lo ha dato la Sanofi: il gruppo francese cresce grazie al Maalox; nella sinistra italiana ha avuto un picco di consumo straordinario tra giovedì e oggi. Chi ha preso la pastiglia non riuscendo a prendere la Bastiglia del centrodestra è Massimo Giannini soi disant intellettuale di sinistra in carriera all’ombra degli Elkann. Da Repubblica mena fendenti (inoffensivi, si dia pace e dia uno sguardo ai sondaggi) su Giorgia Meloni. Cita Talleyrand - la gauche caviar parla male inglese al contrario della Meloni e si sente molto francese; è un’eredità di Eugenio Scalfari, nulla di rilevante - apostrofando: «C’è davvero troppo zelo nella celebrazione estatica che la corte dei miracoli meloniana dedica all’incontro della Sorella d’Italia con l’Amico Amerikano.» Siamo tornati agli amerikani con la kappa, nostalgia dei brutti tempi andati. Perdonerà Giannini se torniamo a una ventina di giorni fa quando Romano Prodi - lui ha fatto il dettato col professore nel libro Il dovere della speranza, - ha tirato i capelli a una giornalista. Allora il nostro magnificava «la lezione di Romano Prodi ai poveri sicari del giornalismo di regime» salvo poi scoprire che il Professore - così lo chiama lui - aveva mentito spudoratamente. Ma Giannini non si è dato zelo in condotta! Ieri è andato oltre citando «i gazzettieri di regime» e tenendo il ditino alzato ci ha fatto sapere che «gli opposti estremismi e i soliti provincialismi deformano la realtà». Che secondo «sua scienza» sarebbe una passerella da foto opportunity della Meloni e la protervia del tycoon. Niente più. Rivaleggia con lui un altro dipendente di casa Elkann. Speriamo che li abbiano avvertiti che tra i primi a baciare la pantofola di Donald Trump c’è il giovane John, perché costoro che hanno sempre taciuto sui disastri di Stellantis potrebbero restare spiazzati dalla voce del padrone. Marcello Sorgi - navigatore lungo via del Corso per una certa simpatia verso Bettino Craxi che lì aveva posto la sede del Psi - su La Stampa verga: «Tanti complimenti, ma di concreto che cosa è uscito dall’incontro della Casa Bianca? Sui dazi nulla, al di là della buona volontà di cercare un accordo». Egualmente nulla sul riavvicinamento Ue-Usa. Sorgi per dare spessore al suo giudizio usa il Guardian, Le Monde, El Pais, giornali dei Paesi spiazzati dalla Meloni. Che siano i «soliti provincialismi» alla Giannini? Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano sputa succhi gastrici come il drago sconfitto da San Giorgia. Scrive: per capire come sia andata la visita della Meloni bisognerebbe sapere cosa ci sia andata a fare. Trump aveva dichiarato di voler trattare con l’Ue e se lo farà lo farà con Ursula von der Leyen, non certo con la Meloni. L’unica divergenza è stata sull’Ucraina con la Meloni che «ha ripetuto la solita tiritera sull’aggredito e l’aggressore». Ma in verità - sostiene Travaglio - la Meloni la pensa come Trump, ma non può dirlo sennò deve smetterla di tenere i piedi in due scarpe: «L’asse bellicista Ue-Kiev e i negoziati americani e scegliere finalmente l’interesse dell’Italia». Che secondo Romano Prodi - primo a perorare Pechino nel Wto, primo ad avere una cattedra all’università cinese - è stare con la Cina. Sul Messaggero, se da una parte dice che la Meloni ha raggiunto un risultato d’immagine, dall’altro sostiene che lei si è fatta strumento della muraglia anti-cinese che Trump vuole costruire. Invece - ammonisce Prodi - bisogna definire gli obbiettivi europei quando 150 paesi su 200 commerciano più con Pechino che con gli Usa. «Su questi temi la cortesia mostrata da Trump nei confronti della Meloni sarà messa a dura prova». Dalle parti del Pd il mal di stomaco è da ricovero. La segretaria Elly Schlein dichiara al confindustriale Sole 24 Ore: «La premier si è impegnata ad aumentare la spesa militare e a far investire 10 miliardi alle imprese italiane negli Usa quando non ne ha trovato uno per tutelare quelle colpite dai dazi. In cambio pare abbia ottenuto una visita di Trump in Italia. Non mi pare un gran bilancio. Il problema non è dialogare con Trump, ma farlo a testa alta». Le fa eco Alfredo D’Attorre della segretaria dem: «Del viaggio americano della Meloni resterà qualche foto. Risultati concreti per l’Italia e l’Europa zero, anzi cedimenti alle pretese di Trump su armi, gas e detassazione delle Big Tech». La rosicata più sorprendente viene da Avvenire, il giornale dei vescovi. Francesco non ha simpatici né la Meloni né Trump, ma fa effetto leggere che Danilo Paolini scrive come il Pd e come Prodi: «Per ora oltre a un buon ritorno d’immagine per la Meloni nero su bianco restano solo l’incremento del gas che importeremo», il depotenziamento dell’unica arma dell’Ue e cioè tassare le big-tech Usa e «il pericolo che il rapporto con Trump si riveli una trappola». Il pulpito è quello di chi si fa nominare i vescovi da Xi Jinping.
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